CRONACHE DEL TEATRO E DELLA RADIO

CRONACHE DEL TEATRO E DELLA RADIO CRONACHE DEL TEATRO E DELLA RADIO La proposta Pavolini per un "Ceatro dello Stato,, - Intenzioni e pratica - Problema insoluto Corrado Pavolini pubblica sul Meridiano di Roma, il battagliero settimanale sorto sulle rovine de L'Italia letteraria, un interessante articolo sul teatro italiano. Veramente si tratta di una « Proposta per un teatro dello Stato ». Dello Stato, e non di Stato. Ma, a nostro parere, a parte il progetto che esamineremo, l'articolo dev'essere letto da quanti si interessano del teatro: costoro vi troveranno idee chiare e persuasive, espresse con vigorosa franchezza, che non sono soltanto giuste ma assolutamente essenziali, se vogliamo che il teatro italiano si disincanti e, invece di correr dietro a miraggi esotici, e chieder pietà, a stregonerie di laboratorio, susciti e potenzi le qualità e le virtù native, le sole che possono dargli contenuto e forma italiani. Perchè oggi il problema del teatro italiano è un problema di sostanza — e non oggi, sempre: soltanto in periodi di smarrimento e di debolezza, si ricorre ai surrogati —, vorremmo dire, di coscienza. Ecco perchè crediamo che debba essere molto utile la lettura di quanto il Pavolini scrive sulla regìa, sugli attori italiani, sul teatro e sugli attori dialettali; idee sacrosante che sarebbe bene entrassero una volta per tutte nel cervello dei teatranti: perderemmo minor tempo in chiacchiere e in disguisisioni grosse o sottili che non cavano un ragno dal solito buco, e servono solo a mantenere quel torbido nel quale i furbi riescono sempre a pescare. E veniamo alla « proposti per un Teatro dello Stato >, C'erano finora tre progetti. Il progetto Fracchia-Chiarelli, patrocinato da Pirandello: compagnia unica, sotto unico direttore, che agisca contemporaneamente in tre teatri di Roma, Milano e Torino, distribuendo ogni volta qua e là gli attori necessari, in spettacoli determinati a priori con date fisse; il progetto Berrini, patrocinato anch'esso da Pirandello: ogni regione d'Italia abbia il suo teatro e la sua Compagnia di Stato diretta da un regista scelto da una Commissione centrale residente a Roma; il progetto D'Amico: un direttore generale, tre grandi Compagnie, a Roma Milano Torino, dirette da tre registi scelti dal direttore generale, e alternantisi di tre in tre mesi tra le suddette città. Una Compagnia, tante Compagnie, tre Compagnie. Nessuna di queste soluzioni soddisfa il Pavolini: nessuna stabile — egli dice — nessuno. Compagnia stabile, perchè la stabile incori* negli inevitabili e gravissimi difetti che sono connaturati col pnvilegio e col monopolio, costa troppo, sopravvaluta, senza giustificazione, le funzioni del regista, perpetua un criterio antivitale col determinale a priori un repertorio scegliere a priori regista attori scenografi. E' possibile invece dare allo Stato un suo ottimo teatro, senza che questo gravi con cifre iperboliche sul bilancio pubblico, senza cadere nella stabile, nel carosello delle figure immobili, nel monopolio dei pòchi, nella « cifra » di realizzazione spettacolare; anzi lasciando aperte tutte le vie a tutte le inistative. Ed ecco il progetto. Attraverso persone di sua fiducia lo Stato: a) sceglie nel repertorio esistente delle Compagnie i lavori che a qualunque titolo lo interessino, nelle esecuzioni che più gli piacciano. Mette a disposizioìie delle Compagnie interessate, per ciascuno di detti lavori nell'esecuzione scelta, un contributo in denaro, da valere: 1°, per compenso al direttore artistico designato a « rivedere » lo spettacolo; 2°, per eventuale migliorìa o mutamento della messinscena, dei costumi ecc.; 3°, per eventuale opportunità di aggregare alla Compagnia qualche elemento estraneo, e via dicendo; b) stende un succinto elenco delle opere, soprattutto classiche, che non siano in repertorio e che abbia interesse a far allestire; le distribuisce alle Compagnie più adatte, e concede per esse, oltre alla normale sovvenzione, un premio speciale di rimborso, come più avanti specificato: c) costituito così un «suo» repertorio, compila un calendario di rotazione delle Compagnie nelle sale prestabilite per l'attività del Teatro dello Stato nelle diverse città (nei teatri comunali rammodernati a cura e a spese delle rispettive Provincie). Non dunque Compagnie di Stato ò dello Stato (in fondo son sottigliezze!) ma repertorio di Stato o dello Stato, affidato, a criterio discrezionale di un fiduciario, a questa o a quella Compagnia. Praticamente — osserva il Pavolini — lo Stato ha impegnato, poniamo, dalla Compagnia Ruggeri quattro spettacoli. Poniamo anche che a Roma, il teatro prescelto sia l'Argentina. Ciascuno dei quattro spettacoli si giudica che debba tenere il cartellone una settimana. Vuol dire che la Compagnia Ruggeri starà all'Argentina un mese giusto. Della Compagnia RaCppgrtfitlftlpsnppdtrrsdCvdespgadtqcsvs n , , ; e o o a , i e a a Ricci, sempre per ipotesi, lo Stato assume un solo spettacolo. Questa Compagnia agisce ad esempio, per proprio conto al Quirino; di là passa per una settimana all'Argentina, a darvi le recite del lavoro prescelto. Il progetto del Pavolini permetterebbe insomma- allo Stato di affidare le commedie del suo repertorio alle Compagnie meglio qualificate pei' rappresentarle, e offrirebbe agli attori, a tutti gli attori, in determinate circostanze, la possibilità e la soddisfazione di partecipare alle grandi manifestazioni teatrali dèlia Nazione. La nobiltà e l'utilità artistica della proposta, è fuor di dubbio; ma praticamente essa urta contro difficoltà di carattere organizzativo che, a, nostro parere, non sarà facile superare. Anzitutto un dubbio da chiarire. Quando parla, di « normale sovvenzione » ir PavoZini intende dire che le Compagnie, tutte le Compagnie, debbono essere sovvenzionate dallo Stato, a, prescindere dal compito che lo Stato può eventualmente assegnare a ciascuna di esse? Se sì, avremmo in partenza quindici o venti Compagnie sovvenzionate dallo Stato, alle quali sarebbe fatto obbligo di rappresentare le opere prescelte dal fiduciario dello Stato. E questo sarebbe bene; ma i conti, che difficilmente tornano, in questo caso non tornerebbero affatto, perchè oltre alla « normale sovvenzione », lo Stato dovrebbe volta per volta dare un premio per migliorie e abbellimenti. E a questo proposito il criterio di scegliere le novità dopo la prova scenica fatta da una Compagnia normale, e dopo il successo, ci sembra assurdo. Quando uno spettacolo è andato con successo, la Compagnia non ha più bisogno delle diecimila lire dello Stato perchè la commedia si paga da sè dieci venti cinquanta volte le spe se, con gli interessi più che com posti. Che merito avrebbe lo Stato nei confronti dell'arte se il suo compito si dovesse limitare a impadronirsi degli spettacoli meglio riusciti e a sfruttarli in regime di monopolio nei suoi teatri ? Lo Stato ha diritto di scegliersi il repertorio che vuole, e di ricrearlo con i mezzi che crede più acconci; ma perchè deve esser permesso a un capocomico il diritto di giudicare preventivamente le possibilità- sceniche di una commedia, e l'identico diritto deve essere inibito allo Stato o ai suoi fiduciari f Perchè, cioè, lo Stato non deve intervenire attivamente e positivamente nella vita del teatro invece di limitarsi a ripassare una mano di vernice e ad appendere un cartello stili' opera compiuta? Perchè non deve affrontare anche il rischio, che è vita, invece di attendere con le mani in tasca che il pubblico dica la 3ua, che noti sempre poi è la giusta? Pavolini regista dice: può lo Stato proporre alle folle come cosa sua un lavoro di cui ignora in sostanza il valore (perchè ignora la speciale « prospettiva » che questo acquisterà alla recita?). Può Stato accollarsi la iniziativa di un « tentativo », per intelligente che esso appaia alla lettura? Ma Pavolini studioso e scrittore ci aveva detto avanti: « il teatro è prima di tutto parola ». E se è parola, se è, cioè, contenuto, è possibile che un uomo di teatro s'inganni alla lettura? Si può ingannare quando la « prospettiva », in difetto di rea le sostanza e di solida costruzione, s'affida al talento, talvolta fe lìce e tal altra no, del regista. Ma Pavolini è d'accordo che al regista dev'essere riservata una parte accessoria nel teatro. E poi, se la Compagnia Ruggeri, viene impegnata dallo Stato per quattro spettacoli, e potrà perciò fare il suo mese al teatro Argentina, non vede il Pavolini che egli, senza volerlo, ha creato una Compagnia di Stato? Perchè è chiaro che con quattro spettacoli ben riusciti la Compagnia Ruggeri, in qualsiasi piazza si trovi, non avrà bisogno di ricorrere ad altro repertorio. Una stabile girovaga, ma sempre una stabile. E allora è meglio una Stabile di Stato, perchè Ruggeri è Ruggeri; ma non è detto che di una Stabile di Stato tutti gli attori della attuale Compagnia Ruggeri debbano e possano far parte. Ce ne sarebbero di migliori da scegliere. E il vantaggio pelle stesse quattro opere rappresentate non sarebbe indifferente, che lo spettacolo avrebbe allora veramente una * cifra », non un'etichetta, quale deve averla uno spettacolo presentato sotto l'eaida dello Stato. Nel caso della Compagnia Ricci la faccenda si complicherebbe ancor di più. Il giudizio dello Stato — che naturalmente, in casi simili, dovrebbe essere infallibile, sotto pena del discredito — non può non creare una scala di valori assolutamente perniciosa. E non tanto per ali attori, quanto per le opere. Perchè, se è stabilito che la commedia X è quella che la Compagnia Ricci interpreta meglio, è chiaro che le altre commedie presentate dalla l stessa Compagnia sono su un piano più basso. Tutti vorranno vedere la Compagnia Ricci all'Argentina; non tutti andranno a vederla al Quirino. Magari avranno torto; ma il fenomeno non potrà non prodursi. E allora quello che entra da una parte esce dall'altra: la Compagnia .Ricci sarebbe probabilmente costretta nei venti giorni che deve passare al Quirino a ripiegare su un repertorio di fascile presa, probabilmente straniero, per solleticare in qualche modo l'epidermide del pubblico. E lo squilibrio nel quale le Compagnie sarebbero costrette a barcamenarsi, lo mette in nulla Par volini? Se passiamo poi al piano finanziario, le cose non migliorano affatto. Pavolini crede che con diecimila lire, in media, di sovvenzione si possa avere uno spettacolo degno di essere assunto in proprio dallo Stato. Certo che se lo Stato se la potesse cavare a così buon mercato, sarebbe l'ideale; ma così non è. Si spende troppo nel teatro, ma diecimila lire potranno bastare a mettere in scena una commedia borghese, non certo ad allestire una commedia in costume. Con mezzo milione Pavolini crede di poter gestire un grandioso Teatro dello Stato. Certo, se sì potesse applicare il suo sistema, non ci sarebbe bisogno nemmeno del mezzo milione: ci impegniamo noi di gestire un Teatro cosi fatto, e di garantire allo Stato mezzo milione di utili. Come non ci sarebbe affatto bisogno che lo Stato escogitasse ingegnose procedure per rientrare nel suo con una qualsiasi forma di partecipazione agli in* traiti: lo Stato vedrebbe aumentare automaticamente i diritti erariali, e rientrerebbe nel suo senza nemmeno farlo capire. Sacrosanta nelle premesse e nelle intenzioni, la proposta, del Pavolini ci sembra praticamente inattuabile, almeno così come è stata- formulata dal suo autore. Il problema del Teatro di Stato non è un problema che attende soluzioni estrose e originali. Tutti i paesi hanno un Teatro di Stato; si tratta per noi italiani di adattare Z'istitusione alle contingenze: comunque a noi sembra che di una vera e propria Compagnia di Stato, magari rinnovabile di anno in anno, non possa farsi a meno. Come non si potrà fare a meno di un direttore. Una volta proponemmo di costringere Ruggeri a smetterla di recitare, o, quanto meno, a comparire soltanto in qualche opera, e a fare il direttore. Una Compagnia di Stato diretta, da. Ruggeri, che avesse sede nel Teatro di Stato, e facesse il suo giro annuale per i teatri d'Italia, sarebbe probabilmente una soluzione. E quando la Compagnia di Stato è in giro, il Teatro di Stato rimarrà chiuso? Nossignori; ci sarebbero sempre due o ire Compagnie, sovvenzionate dallo Stato, che potrebbero alternarsi nel Teatro dello Stato durante tutta la stagione, per vari mesi. Ad esse lo Stato potrebbe consigliare un repertorio, e dovrebbe, quando le Compagnie recitano nel suo teatro, aver facoltà di scelta nel repertorio stesso. Per concludere la lunga chiacchierata, noi condividiamo pienamente i criteri informativi della proposta Pavolini, nobilmente e coraggiosamente ispirati all'interesse dell'arte, e poiché egli ha dichiarato di desiderare la discussione abbiamo discusso; ma se un Teatro di Stato deve farsi in Italia non c'è dubbio che le idee esposte dal Pavolini intorno alla natura e all'essenza del Teatro italiano debbono essere tenute in gran conto. s. s. *** Curio Mortali ha consegnato alla Compagnia Mei-lini-Cialente una commedia :n quattro atti che ha per titolo: « Wana-Wana ». Il nostro valoroso scrittore ha finito inoltre un dramma: «Estremo Occidente », che r-arà affidato a una delle nostre com. pagaie drammatiche. ante Una buona notizia. Gli abbonati alla Radio italiana hanno raggiunto i 700.000, con un aunnento, nel 19S6, di 170.000 nuovi abbonati. E' ancora poco; ma l'aumento verificatosi nell'ultimo anno fa bene sperare per l'avvenire, specialmente se le nostre trasmissioni continueranno a migliorare e ad assumere sempre più quello stile che deve chiaramente contraddistinguere, superando in tutte le espressioni le radiofonie straniere, la Radio italiana. # Volete «putire la Radio senza esser molestati e senza, molestare i vostri vicini? Fate rivestire le pareti della vortra rasa di uno strato d'asfalto rivestito da un isolatore metallico. Onesta ^ l'ultima trovata del professore danese Larsen. Ma dicono che costi piuttosto cara.