L'estrema carta

L'estrema carta r e a Ore drammatiche di una lunga giornata L'estrema carta (DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE) ADDIS ABEBA', ottobre. Martedì, 7 luglio... ...Ore dodici e trenta. ...Afi dicono che poco fa un altro indigeno, di quei ch'erano con noi sul treno, è uscito anche lui, come gli altri stamane, dal quadrato della nostra difesa; e promesso di un ricco donativo, tenterebbe anche lui di portare notieie nostre agli Addàs, sollecitando i soccorsi. Or ora è morto lo zaptié — cioè Carabiniere indigeno — Maconnèn Negurù, quell'Eritreo che era stato ferito da una pallottola al basso ventre, jersera, qui sul fronte nord, accanto a me. Aveva sofferto atrocemente tutta notte e stamane, disteso- su qual- bvcsdmtmtbpfsccnaceche coperta, in una delle stanze Iddel casello, lamentandosi affanno-l samente, gonfiatogli il ventre in modo spropositato, per conseguenza, presumo, della peritonite, che gli s'era sviluppata dalla ferita, Un pajo d'ore fa, sentendosi venir meno, mandò a chiamare il suo superiore immediato, Vice-brigadiere dei Carabinieri. — Signùr Brigadiere, io morire. Morto per l'Italia Quello cercò, naturalmente, di rincuorarlo; ma il morente «cofeva il capo, come un ragazzo che voglian contraddirlo a tortoìB ingannarlo. Pregò il Vice-brigadiere di frugargli nella tasca, trovargli il portafogli e qualc'altro aggettino. Con quella meticolosità che gl'indigeni pongono in queste cose, gli fece constatare e contare il danaro del portafogli, poco più di duecento lire; gli enumerò e fece controllare quegli altri oggettini; una medaglietta, una croce copta d'argento, non so che altro, Poi disse, sforzandosi di spiccicar le parole più distintamente possi bile: — Brigadieri, tu sapere, ricordare: io Maconnèn Negurù, di fu Negurù Carù e di fu Torfé Uoldegaber, nato a Adi Sciùm A.leale, nel Seme, di trentaquattro anni, zaptié eritreo, numero 37 di ruolo; io stare ammogliato con Belasse Bahatà... Belasse Bahatà, mia moglie; e avere due piccoli figli... miei figli... ad Adi Sciùm, mio paese, nel Seraé.. Brigadiere: questo danaro essere per mia fa miglia: farlo avere a mia moglie, con queste cose... Ai miei figli... Si ristette, ansimando, con occhi gonfi di lagrime, e come se l'ambascia lo soffocasse. Poi improvvisamente, con uno sforzo di volontà, con un'energia di cui non lo si sarebbe più creduto capace, sollevò dritto il capo, si alzò con le spalle; e a voce forte, guardando in alto, pronunziò solennemente: — Ai miei figli... dire soltanto che io morto per l'Italia. Ricadde esausto. E non aprì più bocca che per lamentarsi fioco, anfanando angosciosamente. Finché anche quel lamentp si esaurì, E un'ora fa agonizzava, inerte. E or ora è spirato. ■ Entriamo nella stanza del casello, per salutare militarmente la salma dello zaptié eritreo Maconnèn Negurù — morto per l'Italia Ore sedici e quindici. La situazione al casello perdura pressoché invariata. Ma non per questo mancano le novità, più che rilevanti; e una anzi, che s'annunzia decisamente risolutiva. Come dice il Fante, — O la va, o la spacca. Aeroplano in nostro aiuto Verso le quattordici e trenta, un nostro apparecchio, un « RO », da ricognizione veloce, venendo dalla direzione di Addis Abebà, ha sorvolato la ferrovia e noi, scendendo a bassa quota, e girandoci sopra. Aveva evidentemente lo scopo di riconoscere le nostre condizioni. Ci siamo fatti vedere, a rischio di buscarci una pallottola dai « Cecchini » appostati qui presso, abbiamo sbandierato ogni drappo che ci trovassimo a mano Studiavamo e discutevamo il modo di combinare qualche comunicazione più esplicita, mentre ci aspettavamo che gli aeronauti lanciassero qualche messaggio; quando l'apparecchio ha allargato suoi aerei giri, e allontanandosi di poco di su noi, e trascorrendo la campagna intorno, ha cominciato a mitragliare tra le vegetazioni e i tucul. Aveva identificato, eviden temente, qualche gruppetto di no etri assalitori, e I'inna//iava cosi delle sue scroscianti raffiche di pallottole. Dalla fucileria che l'ha accolto a lo seguiva da ierrat ab- AsfsnqcalrvrAducdicsvsUmbdvqvmrèaaotsmtcqidscspqsc biamo constatato che i nostri avversari son sempre numerosi, e che la loro cerchia, intorno a noi, si distende continua; e più profonda che non supponessimo. Abbiamo anche distinto le scariche da terra, dagli Abissini, d'una 'o due mitragliatrici, o più probabilmente fucili-mitragliatrice. L'àvrebber riservati per il tiro antiaerei. Dopo pochi minuti d'anione, l'apparecchio si risollevava; ed ha fatto rotta verso occidente e maestro, verso Addis Abebà. Resta come un gran vuoto, su noi, dopo che s'è dileguato: ci sentiamo di nuovo terribilmente soli. Il cielo, stamane già sereno, è andato rannuvolandosi. Il vento, che scuote i tremuli e fruscianti eucalipti, intorno al casello, odora d% Poggia. E " tr€na M soccorso, da Addis e i i a - Abebà, di cui tanto si discorreva stamattina t che ci dava tanto affidamento f Nessuno più ne parla; se non per asserire, ciascuno, di non avere mai prestato fede a quell'illusione di trasognati. Qualche mezz'ora fa, però, non so chi avrebbe percepito fragor di fucileria, lontano lontano, in quella direzione appunto, donde sarebbe venuto il favoleggiato treno, la direzione cioè di Duchàm, Acachi, Addis Abebà. Ad Acachi, tra quindici e venti chilometri di qua, c'è un nostro presidio, un battaglione, credo, del Sessantesimo Fanteria, della Sabauda, la Divisione di cui il nostro Generale Broglia è vicecomandante. Che quelle truppe siano in movimento, alla nostra volta t Ma a proposito del treno fantasma, che cos'è.mai la suggestione! Un carabiniere e io, a certo momento, 'contemporaneamente, abbiamo avuto-l'impressione di vederlo, per un attimo, realmente vederlo, oggi ancora, che girava quel promontorio all'orizzonte, dove sarebbe già stato scorto stamane: un fenomeno a due, di curiosissima allucinazione. E ciò che è più strano, entrambi abbiamo avuto la stessa impressione, che si allontanasse, marciando a ritroso, ossia la locomotiva in coda, e voltata da questa nostra parte. Ci siamo guardati stupefatti; ci siamo scambiate poche parole, controllando questi particolari della comune allucinazione. Decisione risolutiva Il fatto mi dà il senso che, dopo quasi ventiquattr'ore di emozioni incalzanti e rodenti, quasi ventiquattr'ore di combattimento e di veglia in arme, la notte insonne, e senz'aver messo un briciolo di niente nello stomaco, e sotto il flagello stanotte del tem porale, e quest'angosciosa vicenda tra speranza e timore; dopo tutto questo, così prolungato e convulso stremante, i nostri nervi sono scossi, senza che pur ci rendiamo conto di quanto il nostro fisico co mincia a cedere, la nostra mente non è forse più perfettamente serena. E certo bisogna reagire, alméno moralmente, con tutte le risorse dello spirito: perché guai se ci abbandoniamo alla stanchezza del corpo, se ci lasciamo deprimere nella volontà, se lasciamo che nostri nervi, forse già un po' vulnerati, si rilassino ancora. Su, uomo: sii uomo. E certo anche per tali conside razioni, il Generale ha deciso di risolvere la situazione. Mancato il soccorso dall'esterno, per ragioni che ignoriamo, ma che non possono che riconnettersi con fatti nuo vi generali, determinatisi in vasto settore — forse l'attacco. dei ribelli abissini contro la capitale di Addis Abebà; forse la rivolta in massa della popolazione indigena per quest'intera plaga; chissà qua li complicazioni, difficoltà estreme, \ fors'anche rovesci; — mancato dunque il soccorso esterno, per liberarci, bisogna c'industriamo a liberarci da noi. Bisogna necessariamente: non abbiamo viveri di sorta; le munizioni da fuoco, già così scarse fin dapprincipio, vanno rapidamente riducendosi, impressionantemente — calcolo che non disponiamo più che di tre o quattro caricatori per fucile o moschetto, e di qualche bomba a mano; — e dato il numero ridottissimo di uomini, appena sufficiente per guarnire le .poche diecine di metri dei quattro fronti della nostra difesa, non è possibile pensare a turni di guardia, non è possibile concedere riposo nemmeno a un uomo. In queste condizioni, quanto potremo ancora durare, nesedostmulprdimglbigivaQstsotiIlavretostspè teqmccdtpasdrttfcqLcbcmncCetml'lioqmritngppgfeilcEfdnfsGddDrifsfrdqgsSscqmtsqlpglitpeidscMG ella, nostra resistenza t Oggi, staera, sì; e magari stanotte. Ma omattina saremmo tutti affranti, tremati; e verosimilmente avremmo sparato le ultime cartucce. Le ltime, fino alla penultima comresa: che l'ultima ultima, in casi i questo genere, con questo nemico, la si conserva per sé. Melio giuocare sùbito, mentre abiamo ancora energia e mezzi, iuocare il tutto per il tutto. O la a, dicevo, o la spacca. Quando sarà fatto buio... Così il Generale ha deciso che tasera, a bujo fatto, prima che orga la Luna, tenteremo la sorita e il ripiegamento sugli Addàs. l Tenente-colonnello Martinàt, vendo ricevuto le opportune diettive del Generale, ha coordinao le modalità del movimento, e ta impartendo le particolari diposizioni. Ciascuno di quanti siamo qua, è già informato: appena sia note oscura, usciremo da questo quadrato della nostra difesa, per marciare verso Gli Addàs — a circa sei chilometri di qua. Un nucleo d'avanguardia, comandato dal Centurióne Dragoni, costituito dalle sue Camicie Nere, ci aprirebbe la via, a colpi di bombe a mano e con le baionette; due squadre in fila, procedendo per i due lati della ferrovia, proteggerebbero sui fianchi il nucleo centrale, composto dei passeggeri del treno, donne, ahimé, bambini, i feriti, i dieci detenuti politici, e con qualche Carabiniere, per l'inquadramento e la sorveglianza, Le due squadre fiancheggiatiti controbatterebbero il fuoco dei ribelli con nutrite scariche di fucileria, possibilmente senza fermarsi, respingerebbero alla baionetta eventuali attacchi sui fianchi. Di retroguardia, i rimanenti Carabinieri, col Tenente Papisca, e le Guardie di Finanza. Personalmente, io sono lusingato: perchè il Generale mi ha comandato suo ufficiale addetto, con 'incarico speciale, e sopratutto deicato e di responsabilità, in una operazione di questo genere, in queste condizioni, di vigilare e mantenere i collegamenti tra i vari elementi della colonna. Mi sento di saperlo fare; e meglio che non il pacchiano mestiere del giornalista; e certo con immenso più entusiasmo. Circa alle quindici, vari gruppetti di Abissini si vanno raccògliendo davanti • a questo mio fronte nord; riprendono ij- fuoco, e cercano avanzare. Noi ripetiamo l nostro fortunoso espediente della mattina: il fuoco mirato, alle corte distanze, la caccia all'uomo. E riusciamo a tenerli a bada, infliggendo loro perdite. Un altro nostro morto In questo frattempo, la perdita di un uomo, purtroppo, da parte nostra; ma non su questo mio fronte; ma alle mie spalle, da ostro, sulla facciata del casello. La Guardia di Finanza Efisio Satta, da Ruinas (Cagliari), della classe del '90i, della Tenenza di Dire Daua, era entrato nel casello per riposare qualche momento e rinfrancarsi, perchè estenuato e visibilmente sconcertato. Sentendo fuori infittirsi il fuoco di fucileria, con l'attacco abissino, questo diretto più specialmente contro questo fronte nord, ma accompagnato da un po' di disordinata sparatoria da tutte le parti, il Satta uscì dal casello, appunto sulla facciata, e montò sulla locomotiva di coda al nostro treno, quella dell'investimento, trasformata da noi in ridotto. Gli uomini postati sulla locamo tiva avvertirono il Satta, che stesse attento, soprattutto per via di quei Cecchini, dai tucùl verso la lampisteria e il magazzino di deposito. Ma lui si sporgeva per guardare; e fu colto da una pai lottala, di striscio, tra l'orecchia e il collo: poco più di una sgraffiatura, un solco sanguinante nella pelle. Ma parve che quel sangue esasperasse, inebriasse l'uomo; imbracciò il moschetto per rispondere, più sporgendosi, eccitato dalla temerità. Non fece a tempo a sparare: una seconda pallottola, colpendolo stavolta in pieno alla testa, lo fulminava... Mario Bassi MINISTERO EDUCAZIONE NAZIONALE: Inventarlo degli oggetti d'Arte d'Italia: «Comune di Padova s. (Libre ria dello Stato, Roma) L. 60. G. V. T.'i «1 Latonali della Cultura e dell'Arte dell'Anno XIV» (a cura del G.V.T. di Napoli},

Luoghi citati: Cagliari, Italia, Napoli, Padova, Roma, Ruinas