LA CORSICA SE NE VA e Francia non diventa

LA CORSICA SE NE VA e Francia non diventa LA CORSICA SE NE VA e Francia non diventa Il dramma di un popolo che nella sua terra ha soltanto i vecchi e i bambini (Dal nostro inviato) BASTIA, dicembre. Vn cavaliere scozzese, Giacomo Boswell, lasciando nel settembre del 1765 Livorno, a bordo di un vascello toscano per navigare sino a Bastia, aveva un solo timore, e lo confessa nelle prime pagine di un suo strampalato resoconto: d'esser preso da qualche corsaro e ridotto alla schiavitù dai Turchi o dagli Algerini. E si teneva ben caro certo suo « ampio e particolare passaporto », con cui sperava' di poter salvare la pelle e la libertà anche di fronte ai corsari. L'altra notte andando verso il porto di Livorno e così imbarcarmi per rifare lo stesso viaggio dello scozzese, non avevo sicuramente lo stesso suo timore. «Ma vedrai » mi diceva un amico che mi accompagnava e che già più volte ha fatto la spola tra Livorno e Bastia, « vedrai che allo sbarco qualcosa di noioso ti accadrà. Preparati a sentirti fare domande strane ». Passaporti alla mano... Il mattino dopo a Bastia, nello stanzone della dogana, mi misi in coda assieme con gli altri passeggeri, ed attesi il mio turno. Ahc domande strane non pensavo più. Lo stanzone era nudo e sporco, un lungo banco stava addossato ad una parete e la voce di quattro o cinque doganieri risonava acidula e stanca. Dalla finestra intravvedevo la banchina deserta e desolata: la domenica e il riposo mettevano dappertutto l'aria d'un triste abbandono. Di quando in quando un pacioccone con baffi ottocenteschi, rigogliosi e umidì, baffi che oramai anche i marescialli di montagna disdegnano, gridava: «Passaporti alla mano»; ma non so perchè ripetesse il suo avvertimento, che ognuno di noi agitava sotto gli occhi il passaporto per dirgli che avevamo capito. Venne il mio momento. Un tavolino tutto rosicchiato mi stava davanti, e mi stava davanti anche un ometto infagottato nel paletò. cappello in capo, penna sospesa a mezz'aria tra dite dita sporche. Sta li a leggere, a curiosare, a decifrare, quasi abbia tra le mani un misterioso documento e non un chiaro passaporto, pulito e in regola. «Vi chiamate Emanuelli?» dice l'ometto, alla fine del suo gran scrutare. Rispondo che questa è cosa certissima. L'ometto volta le pagine del passaporto con la cautela di un bibliofilo, sta per scriverci qualcosa, ma ha un pentimento. Alza gli occhi, vedo occhi insonnoliti, cisposi. Dice ancora: «Avete dei parenti in Corsica, voi ». Con la min solita leggerezza rispondo: « Può anche darsi ». (Intanto penso che, questa, è forse una domanda strana). « Come, come» dice l'ometto, punto c risentito e svegliato. « Dite può darsi. Ci sono o non ci sono. Perchè venite in Corsica*». Rispondo che vengo a vedere com'è fatta la Corsica, ogni tanto vado a vedere com'è fatto un paese, dia un'occhiata ai bolli timbri visti del passaporto, gli dico. « E voi non avete nessun traffico con la Corsica? voi — riprende serio l'ometto, — voi non avete proprio parenti qui? ». Deve essere una sita fissazione, penso; e, se l'avessi già saputo, avrei detto ch'egli era nato a Meria, piccolo paese del Capo Corso, che ha fama di citrullaggine. Gli rispondo di no. Affermo che non ho parenti, non ho amici in Corsica. Allora egli si china sul tavolo e scrive, perchè non hanno ancora pensato che si possa fare un timbro e spicciarsi, scrive: « Vu au débarquement à Bastia... ». Mette una gran firma, asciuga, richiude il passaporto, me lo consegna, ma con uno sguardo cattivo. L'ometto crede che io abbia parenti in Corsica e questo mi fa sorridere. Ma voglio dire che non era una sua fissazione. I nomi delle famiglie che vivono tra la pun ta del capo Corso e Bonifacio so no duecento: ho trovato un tabaccaio a Bastia, un albergatore a Calvi, Un panettiere ad Ajaccio, e due morti sulla lapide che ricorda, coloro che non tornarono a Corte dopo la grande guerra, tutti Emanuela; e Pasquale Paoli, aveva un capitano di qualche merito; e sulla guida telefonica dell'isola, e nelle prefetture ci sono gli Emanuelli. (Ma ugual sorte, ugual domanda si sentirebbero fare Martinelli, Marinetti, il mio amico Rocca, e tutti coloro che si chiamano Albini, Alessandrini; anzi credo che, alla fin dei conti, quasi tutti gli italiani si sentirebbero 'fare quella tal domanda sul parenti! do, se andassero a Bastia e se consegnassero il loro passaporto nelle mani di quell'ometto). « Bon viaggia » < Buon viaggio » mi aveva detto l'amico, mentre a Livorno mi imbarcavo. « Avete fatu bon viaggili? » «li chiede adesso la cameriera sulle buie scale dell'albergo « Voi siete nata a Bastia ? » le dico, con quella pigrizia che mettiamo nei discorsi troppo mattutini ed inutili. Se trovate un còrso in Francia, e gli chiedete se è còrso, fa la boccuccia sorridente e dice: « Je suis de la petite France », oppure dice: «oh, si peu!». Sono sul continente da molti anni, e poi ho un fratello e tre cugini che du molto tempo son funzionari del governo ». Cosi dico:io i còrsi smaliziali, quelli che partono a diciotto anni agili, capricciosi, vergini e tornano a sessanta pensionati, molli, e al buon vino del capo Corso hanno imparato a sostituire il pernod; e portano giacchettini corti galerie Lafayette, sanno i misteri della politica, e amano le chiacchiere ai caffè, amano parlare del signor Daladieri' e del signor Bonnetti; ma la mia donna, che intanto mi aveva detto d'esser nata a Nonza (dal latino Nuntia, spiege Radié, vescovo d'Ajaccio), non ha vergogna d'esser còrsa. « Bene >; le rispondo, « adesso vorrei un giornate di Bastia, o due, o tre, tutto quello che trovate ». E, quando ho questi giornali sott'occhio — « Il piccolo bastiese », « Il giornale di Bustia » — non ci trovo gran che da leggere non trovo il modo di far passare un'ora. Quattro paginette, di formato ridotto, dal sapore provinciale, dove tutto pare pettego'ezzo, e mal stampate. In uno vedo che su sei processi del giorno precedente, quattro erano contro certe madame, per istigazione di minorenni a vita libertina. In un secondo leggo « una lettara da u paese » con questo passo: « Si sbagli au conte Cianu s'ellu crede chi a Corsica appartenè a la Francia, è a Francia- chi appartenè a la Corsica: l'avemu seminata a impiegati e semu tutti pusiziunati e ricchi ». Chi scrive si firma Mai strale, e deve essere anche lui uo mo « pusiziunato » e ricco, poeta davanti al vino, a quel saporito Fior di Macchia, sodo mangiatore, qualche volta umorista, e così me lo sono scoperto più tardi, sfo gliando un suo almanacco per il 19S9. In questo libretto, specie di Pescatore di Chiaravalle, dice che la Corsica « mica per vantalla è a più bell'isula di l'universu, u paese più meraviglioso di u mondu intieru >. Dice anche che la popolazione è di S22.8M, abitanti « tutti nati par cumandà u gener-umano » e poi, qui viene il bello, ed 10 rispetto la punteggiatura, l'ordine, la grafia, dice che vi sono « 4 circundari, 62 cantoni, 364 cumune; 4 deputati, 3 senatori, 5200 cavalli, 18.000 sumeri, 255.000 pecore, 160.000 capre, 47.000 vaccine, 37.000 porci, 6300 muli ». Ma venitela a vedere questa città di « pusiziunati » e di ricchi dopo un secolo e mezzo di malgoverno; e dire città è dir troppo, resta un grosso paese: la piazza con il chiosco in ferro per la banda musicale; con un solito Napoleone « en Romain » cosi brutto I che finalmente, mi hanno assicurato, qualcuno propone di levarlo; con il suo corso, su cui dal lunedì al sabato si cammina, e la domenica si passeggia. Ma con due passi, il tempo di fumar una sigaretta, e tutta Bastia, questa che chiamano Terra Nuova, è veduta: con i suoi negozietti spelacchiati, con la roba che par sempre rimediata ad un'asta, con i suoi caffè in cui 11 grammofono dal trombone dorato raramente ha ceduto il posto alla radio, per fare un po' di bailamme e stuzzicare i giovanotti alla gran vita. Quando si è vecchi Ma, per fare la gran vita, è necessario andare sul continente, o in qualche colonia, per poi tornare dopo quarant'anni di sergentello, di scrivano, di poliziotto, di alto o basso funzionario e sentirsi, finalmente, francesi, perchè c'è il gusto al giornaletto con le foto di donnine, c'è quel pernod da bere tre volte il giorno, c'è l'e'eganza di Tolone, di Marsiglia da imitare. Partono questi giovanotti che sono còrsi, e tornano che non sono più nulla: ma, se la Francia non è riuscita a farli francesi che alla superficie, nei vizi, nelle pigre abitudini, e ha dato loro gusto al tran-tran, li rimanda a casa che non sono nemmeno più còrsi. Li ha rovinati, li ha succhiati ben bene in tutti quei servisi che al francese sembrano scomodi o faticosi 0 pò-) dignitosi, poi li ha riman-\ dati i cam «pn.mit/nati» cornei anch' accade, se finisci in un qual-\ siasi ricovero di vecchi, e questo'^ al gt"erno di Parigi pare che ba-| sti. li continentale, quando trovai uno di questi còrsi, mormora «eh,! encon un francais de première zone i e sorride. Aveva ragione quelh scrittore il quale sosteneva che, i questo modo, la Corsica sei ne vi, e Francia non diventa. Coiiro che se ne infischiano, e! son s rdi ai richiami, e non hanno] mai l'zato gii occhi ad ammirare' 1 nuli erosi manifesti a vivaci co-\ lori, '.ove un agghindato sottuffi-ì ciale, oasco in testa e divisa bian-l ca, campeggia su uno sfondo di! palpi' di donne more dal petto oc-\ chiegiiante al limite della futa, dii pagoii o di capanne da esposizio-ì ne pa igina, pare che dica: « Come' me h godo, adesso che mi sono arruoiito nell'esercito coloniale »; quei mi, che non cedono alle lusinghe di un arruolamento del tutto mircennrio, sollecitato con un imbonmento da agenzia Cook, quei tali abitano la città bassa, la Terra Vecchia. Ci son capitato da quella parte, dov'è l'antico porto, e i genovesi, come hanno costruito in Liguria, hanno costruito qui. Un'architettura caotica, che par sempre il risultato d'un terremoto il quale sposti le case, le cacci una sull'altra, una contro l'altra, le metta di trai:erso, le incastri un poco una nell'altra, senza però distruggerle. Piccole case, con piccole finestre, con piccole porte, con piccoli archi; ed il vedo che sta sulla soglia, e le donne che curiosano mille volte il giorno che cosa c'è nella strada, e i bambini, i bambini a frotte, numero.-i. numerosissimi, che pare sempre d'esser capitati nei pressi d'una scuola all'ora dell'uscita; bambini e cani, che corrono e gridano, da padroni. C'è anche una chiesa, da quelle parti, non so nemmeno a- quale santo l'abbiano regalata; e trovai un prete con cui chiacchierare. Annusò in me il turista, e gli seccava parlar còrso. Avevamo davanti a noi una stradetta sporca, un tempo lastricata di sassi ora divelti, un leggero vento recava odor di cose marce, i muri delle case più che vecchiaia rivelavano incuria, e quel prete a spiegarmi che oramai non c'era più niente da fare, « nessuno ci pensa, nessuno provvede » diceva. « La Corsica deve restar misera, e questa nostra miseria fa parte d'un calcolo politico » diceva ancora il prete con aria risentita; « ed é questa miseria, nella pianura e sui monti, che me li fa scappare tutti. L'agricoltura non è aiutata, l'industria poi è boicottata. La politica qui non serve che a far fare baldoria durante le elezioni, allora si mangia, si beve, fioccano danari da tutte le parti. Con cinque milioni da spendere, anch'io, anche voi potremmo essere nominati senatori ». Gli parve d'aver detto troppo, e buttò ancora gli occhi su quella triste strada che ci stava davanti, volle fare lo spiritoso. Disse: « Le dèlabremcnt tei est general, mais il est si singnlier! ». Enrico Emaniteli! A Calvi: tmanuelli, Santori, nomi italiani, faccie italiane.