LA MORTE DI GIUSEPPE VERDI di Mario Gromo

LA MORTE DI GIUSEPPE VERDI LA MORTE DI GIUSEPPE VERDI Tnverno del 'novecentouno. 23 gennaio: La Regina Vittoria si è spenta martedì, da lunedì il illustro Verdi è in gran pericolo. Il mondo non ha potuto orni parai d'altri argomenti. Già l'ombra di questi due sovrani che /ninno dominato quasi tutto il secolo XIX si diffonde sulle Còse, e le assorbe. 25 gennaio: Ci sembra che. desistenza nostro diminuisca; clic. vn.demone ri trascini dì un grado al di sotto: ci sembra che, d'intorno, non restino che mediocri. Egli muore. 28 gennaio: Alcuni degli 'untori, i quali sì credevano in obbligo di comini-in orari- Verdi allo Camera, si ri-ano inscritti prima the Verdi morisse: e quando egli ancora agonizza va-ave nana fatto conoscere, i loro discorsi, per sentire se. ondo nino bene. * * Era tornato a Milano verso la metà del dicembre. Il proprietario' dell'albergo, l'impettito signor Spatz, aveva atteso sulla soglia il Maestro ; e dopo un primo rìgido inchino, avvicinandosi per aiutarlo a scendere dalla carrozza, si era proteso in un cenno, quasi soltanto d'ossequio. Ma il vecchio, un po' brusco, l'aveva scostato. Ora appena diceva di sì, con il mento, a un altro suo inchino: e nel vestìbolo l'ascoltava, certo d'udirne un immancabile «im-nie-tia-ta-men-te». Il signor Spatz gli garantiva infatti kn-me-tia-ta-men-te il solito appartamento — benedetto uomo che per far presto, per dire sùbito, adoperava la parola pdù svelta. Serene giornate, d'un inverno Bercilo. Alle nove si alza ; poi la Visita del medico, poi una passeggiata in fiacre; alle undici la colazione. Al pomeriggio, qual che amico ; e più tardi il pianoforte, nella morbida penombra, le. lampade spente. Alle diciannove, il pranzo. Alle venti la lettura dei giornali, fatta dalla nipote. Alle ventidue e trenta, la buonanotte. E' questa disciplina, sono queste giornate per mesi e mesi scandite come da un metrònomo, a concedergli i suoi ottantasette anni. Anche ieri mattina il dottor Caporali l'ha visitato, e il signor Spatz ha potuto dar ordine, che im-me-tia-ta-men-te si faccia at taccare, il Maestro uscirà per la passeggiata. Sale con un piccolo scatto, un po' duro, che un poco tentenna, ma vorrebbe essere un piccolo balzo. Uno degli sportelli dev'essere tutto abbassato, lui esce per lavarsi i polmoni, non per farsi rotolare da una scatola a quattro "ruote. Piazza della Srala, via Dante, il Foro Bonaparte. Il mattino è roseo, al Par co soltanto i viali sono sgombri, ■prati e radure sono ancóra. bian chi di neve. Per un po' di salita i cavalli dal trotto si pongono a passo ; e nei guanti di felpa, sotto la coperta di lana, le dita tentano sulle ginocchia un ritmo più grave. L'introduzione potrebbe accordarsi così. La preghiera Bcritta dalla regina Margherita la notte di Monza, e respinta dalla Chiesa, egli l'ha accolta per darle una musica. Un ragazzetto procede di fian co alla carrozza, ogni tre passi salta un mucchio di neve. Ha dato appena un'occhiata a qiiel Vecchio ; e il vecchio non può distogliere lo sguardo da quelle scarpe sfondate, dagli sbrèndoli di quei calzoni. Eppure, a ogni salto, il ragazzo arriccia il naso, contento. Sta certo facendosi un giro più lungo per tornare a bottega ; e, le guance come una mela, fischia e rifischia poche note, sempre le stesse, sempre da capo, sempre con una strìdula stecca finale. Il vecchio si ostina a seguirle, come a volerle decifrare, forse ha trovato, ma sì, vorrebbero essere del Falstaff, quan d'ero paggio del duca di Norfolk Ah, 'sassino. E quello, impeitér rito, fischia e rifischia il suo mozzicone, ridotto all'altalena d'una malcerta. Un mucchio di neve sì, un mucchio di neve no quand'ero paggio, quand'ero pag gio ; un mucchio di neve no, un mucchio di neve sì, la stecca puntuale; ed è diventato il fastìdio d'uno stupido ritornello, quasi un rumore intermittente, come il cigolìo d'una ruota, fin quando i cavalli riprendono 1 trotto, e se lo lasciano indietro Intanto, quell'accordo per la preghiera, è svanito. Riapparirà al pianoforte, nel pomeriggio Ma chi l'avrebbe detto, la sera della a prima i, che anche il Falstaff l'avrebbero storpiato per la strada? Malgrado gli applausi lunghi, ripetuti, non era stato un successo, l'aveva sùbito sentito. Lui omaggio ai suoi capelli bianchi, alle altre sue opere, non alla sua musica nuova. Dopo 1 fischi che a Venezia avevano accolto la prima della Tra fiata, una delle due, la colpa o era sua o dei cantanti, il tempo avrebbe giudicato ; dopo gli applausi che avevano accolto la prima del pancione, una delle due, la colpa o era sua o del pub blico. Ma ormai, il tempo, non gli avrebbe forse più concesso di saperlo. Che notte. S'era riletto tutto lo spartito. Lui non s era mai chinato di fronte a «mssuno»- e proprio quando credeva d'aver finito, d'aver intravvisto la più vera schiarita, ancóra una volta doveva chinarsi a giudicare se stesso. All'alba, con 1 ultima fuga «Tutto nel mondo è burlai, a era ritrovato sereno. Non 1 avevano capito, la sua ultima opera era la più giovane, il petto tornava a gonfiarsi d'un lungo respiro Altrimenti, gli sarebbe sembrato d dover già un poco morire, * * potrostapiazioPiRiSed'strriscela staRisuredivamavdies•itcosotapNilgVEtzLlfqctletpernBcacbrisor Foro Bonaparte, via Dante Eiazza della Scala. All'albergo un iglietto dell'avvocato Campa nari, gli alberelli per la Casa sono arrivati. Il vecchio s'illumina. Il naso aduiuo non sembra più affilato di diàfane cartilàgini, lo sguardo si ravviva, pare tornato quello del ritratto di Boldini. La sua Casa di riposo per gli artisti è ormai finita, sono pronti anche gli arbusti per le aiuole, già li vede, protetti da ceppi di paglia, in un canto dell'ampio cortile. Una di queste mattine, quando il gelo sarà scemato, sorveglierà lui stesso la vanga rompere la zolla, e un po' di concime, ma non troppo, perché le radici trovino sùbito iu primavera il nutrimento. Gli sembrerà d'essere a Sant'Agata, come quando, d'in verno, imbacuccato in una gran , a , o a i n a , e, po' inutili — ma bisogna pur trovare qualcosa, nella brutta stagione, per quei poveretti. Al pomeriggio si rimette al pianoforte, riannoda l'introduzione, ritempra le prime frasi. Più tardi vengono la Stolz, Boito, Ricordi ; Pascarella è già partito. Sempre lo stesso, gran matto d'ingegno, la sera di San Silvestro gli aveva strappato risate e risate. Il vecchio lacrimava, faceva cenno con il fazzoletto, che la smettesse; ma quest'oggi e stato lui, a far ridere gli altri. Ricordando quell'impresario che sui manifesti aveva fatto stampare «Aida, dell'Oli. Senatore Verdi»; e quell'altro che pretendeva d'essersi innamorato della sua musica fin dal • 'trentasei, dopo aver sentito il Xabneco: — Scusi tanto signor mio, gli dico, ci pensi bene, ciò non può essere. Conio come, risponde se•io, io ho sentito il Xabucco nel trentasei ! Ma. io credeva, gli dico, d'averlo fatto rappresentare soltanto nel marzo del 'quarantadue: 'quarantadue! Ebbene, pensate che se ne fosse convinto 1 Nient'affatto, crollava incredulo il capo, eva un piacere vederlo. Nella serata, gli si leggono ì giornali. Quella povera regina Vittoria. Adesso salirà al trono Edoardo, se lo ricorda, un po troppo grasso, un po' troppo az zimàto ; e torna a parlare Londra: — In qualsiasi altro paese. co: loro che vogliono gli autografi, ti fanno presentare gli album da qualche amico. Là, niente. Me li chiedevano per lettera-, con dentro l'enveloppe per la rispostale l'indirizzo già fatto. Per di più, erano tutte in inglese; e cosi, altro flagello per la povera 1 eppina, che doveva tradurle. cacciatora, la barba imperlata diI cbrina fra manovali e giardinieri nsorveglia lavori e lavori, forse un is-'cfpdmltfaddi * * Stamane il dottor Caporali è entrato nella camera con un sorridente bella giornata, un inverno straordinario. 11 vecchio si laBcia volentieri auscultare, la macchina va, si potrà uscire, scen- dendo il dottore ne avvertirà herr Spatz, che im-me-tia-tamen-te darà ordine di far attaccare. Ora sta abbottonandosi il panciotto, ma è distratto, non bada alle àsole, pensa che a Sant'Agata il laghetto dev'essere gelato ; è Teresa, ia vecchia cameriera, gli sta spazzolando la giacca, a impazientirsi per lui: — Attento, s'è sbagliato! E fa per aiutarlo, che modi, come se fosse un bambino. Si scosta burbero, faccio da me, curva la barba sul petto ; e borbotta : — Bottone più, bottone meno... Saranno le sue ultime parole Una fitta calda all'occìpite. La r a l . , . o e e e i. e area o li uò eel ire ne, 1 iI camera gli si annebbia d attori no. Una mano ancora sente la n isponda del letto, la guancia un -'cuscino sfatto. E scende, sprofonda, come in un gorgo. Così è rimasto, fino alle tre del pomeriggio : un attimo, meno d'un lungo respiro. Poi, lentamente, quasi l'ombra d'un dolore lontano. S'appressa, si diffonde, torna a svanire. Ora è una luce fosca, si dilata e si spegne, torna a fìggersi in uno spàsimo acuto, dà al respiro il peso di uu'immane fatica. Gli pare d'aver socchiuso le palpebre, vorrebbe vedere, ma la nebbia ondeggia, crepita di strìda incandescenti. Tra le labbra un freddo metallico, gliene viene un po] di conforto che sùbito s'inaridisce. Vorrebbe deglutire, non può. Il respirò si fa meno pesante, s'adagia in un lento abbandono. Dopo un altro attimo, e sono trascorse, parecchie altre ore, un suono grave, lontano. Ha un sussulto, fa per muovere un braccio, non l'ha più. Eppure gli pare di vedere la sua mano,-sulla coperta. Fa uno sforzo, vuol muoverla, la muove, e sta ferma. Un rintocco alla nuca di nuovo lo abbatte. La notizia è corsa, corre per il mondo. E all'appressarsi dell'inevitabile morte, negli animi si ridestano più vivi i suoi canti. Estasi d'amore e paurose minacce, terrori di vittime e attese d'angoscia, i tremendi accenti della vendetta e il primo pàlpito d'un dolce mattino, l'ira sfolgorante funesta e l'ultimo anelito di chi non vuol morire: tutto ha sofferto, per trarne quei canti. Il frèmere e il prorompere dei suoi drammi, quel poderoso travolge re, quelle turbinose rovine, quei disperati schianti, sono tutte voci del dolore; e su gli uomini poi si stende e si placa una profonda pietà, sommessa a un volo di violini, accorata a un gèmito di violoncelli, forse presaga di un'altra luce, dell'albeggiare d'un altro canto. Uomo del suo popolo, della sua terra, proteso a ogni sussurro dei suoi campi, a ogni lento rascoi orarsi delle stagioni : le voi da lui donate non hanno front Te ; e chi le ha donate ora finisc. In ria triste camera d'albergo. Filtri:un gole scialbo per le tendine lìmesse. Dalle scale, dai corrici^ rumori estranei, lontani. Sipubblica il secondo bollettino, 'innato Crocco, Caporali. Odesrlchi. Ogni due ore sale il marclse D'Adda, chiedo notizie a non del Re. Al sindaco di Milano li, telegrafato il podestà di Triest, la sala di quel consiglio comunle ancóra echeggia dell'ulti]:) «viva Verdi•. Alle dieci l'iiermo ha socchiuso un occhio, >rse ha riconosciuto il professor5rocco. Poi più nulla, fino all sera dopo: e alla sera della tcii lunga giornata, il bollettini numero sei. E' un po' scema, la paralisi della deglutizione,a psiche ha avuto un leggero iiveglio. E' fluttuare di un'onda inconsci che sospinge e allontana istante ricordi. Risorge dall'opaco ia frase «Da me Stefano Cavalci... Da me Stefano Cavaletti.., come una parvenza, un indizi' é si stacca, e respira, quasi i presàgio. «Da me Stefano (valerti fu fato di nuovo questiiltarelli...»: e la scritta che il vero artigiano lasciò sulla prii spinetta del ragazzo povero, nulla volle per averla riattai «vedendo la bona disposizionche ha il giovanetto d'imparare sonare i. Ecci'impiantìto d'acciottolato deLcascina alle Róncole, le sedie (paglia, il nero armadio. Volti ipaiono fra i pioppi di Sant'Atà, i pioppi scompigliati dal nto li cancellano; e da! fossatcel giardino l'acqua sale gorglia, tutto sommerge in un ulto, denso torpore. All'-a del ventiquattro, del quartoorno, si chiama il parroco dan Fedele. Il bollettino delle se e trenta dice la catastrofmminente ; per quanto possa istere la fibra eccezionale, conultima crisi s'è spenta ogni cedenza. E' l'agonìa. Dinanzi lalbergo i veicoli procedono aiasso, nell'atrio i registri si ino coprendo di firme. La giù, municipale aveva disposto • far cospargere di paglia qi tratto di via Manzoni e dellaroce Rossa ; ma poi vi si rinua, sarebbe ormai inutile. Pij vie, in Galleria, frotte sileniej in attesa. Anche nei caffè deentro vengono sùbito recati illettini, li attende una ressa, Jàfra le specchiere. Si spiano sai e i volti degli amici, dei mei. Stamane il professor Grocco uscito per una breve passeggi, in un baléno s'è sparsa voce d'un miglioramento quello era invece uscito conio? un po' di riposo, dopo aveascorso-tutta la notte a quel ezzai e. All'a del venticinque, del quinto no, il morente apre un occhio, un istante. Il polso è te hi fIl oi e ei ci oi ndi di alalo, ni filifornnia mano a tratti ripete, comò d'automa, un gesto abil: liscia la fronte, scende s una guancia, e poi risale. Spendono le inalazioni d,'oss>. La Stolz, Boito, Ricordi.ncini, Giacosa, più non s'al nano. Verso le dieci è intridi il pittore Hòbenstein, apcartella, s'appoggia a una se All'albi ventisei, del sesto giorn pupille sono inerti. Giun;telegrammi da ogni paese dondo. La direzione dei telegia sospeso ogni va- ni'cauza agpiegati. Tardano a La malattia di Verdi - Esposizione dèi bollettini all'ingresso dell'Albergo. Lajprima Un avafp: l'ultima frase ^Falstaff ». uscire i giornali del pomeriggio, questa sera la Scala rimarrà chiusa. Nella camera, al crepuscolo, si sgrana il mormorio delle preghiere. Ancóra si prolunga l'agonìa-. All'una e quaranta del ventisette, del sci timo giorno, un'ultima crisi. Il respiro ha lente pause, sempre più lunghe. Verso lo due e venti, un sordo colpo di tosse. Alle due e cinquanta, un sospiro, un sussulto. Grocco si china. * * TI mattino si desta, quasi primaverile. Stamane, nelle aiuole della Casa, si sarebbero potuti piantare gli arbusti. Sul portale del Duomo pende una bandiera a mezz'asta. f,a via Manzoni si ànima. Ma in tutti è silenzio, giunti dinanzi all'albergo guardano in allo: a quella finestra, ancóra rischiarata da una luce gialla, sempre più fioca. Poi la persiana si è chiusa. Mario Gromo.

Luoghi citati: Londra, Milano, Monza, Sant'agata, Venezia