La fine dell'impero del negus in un libro di Alessandro Lessona

La fine dell'impero del negus in un libro di Alessandro Lessona La fine dell'impero del negus in un libro di Alessandro Lessona Preparativi per la marcia sulla capitale - Previsioni di trattative dirette e colloqui di Dessie col Maresciallo Badoglio - Inizio e svolgimento della marcia - Operazioni sul fronte meridionale - Ingresso in Addis Abeba Esce oggi, edito dalla Casa Sansoni di Firenze, il libro di S. E. Alessandro Lessona Verso l'Impero. Sono delle memorie per la storia politica del conflitto italo-etìopico scritte da chi fu allora per parecchi anni diretto collaboratore del Duce quale Sottosegretario' al Ministero delle Colonie. Per gentile concessione dell'Autore, illustre collaboratore de La Stampa, pubblichiamo uno dei più interessanti capitoli, quello della marcia su Addis Abeba a cui S. E. Alessandro Lessona partecipò a fianco del Maresciallo Badoglio. H 13 marzo (era terminata la campagna vittoriosa del Tigrai e si preparava quella che doveva aprirci la via di Dessie), 11 Maresciallo Badoglio mi telegrafava: « Sto maturando un progetto che ti comunicherò, che sbalordirà. Perchè non vieni giù in modo da trovarti a Macallé il 20" Assisteresti al dramma finale ». L'invito del Maresciallo mi lusingò, e mi Indusse a chiedere al Duce l'autorizzazione a partire; con grande mia soddisfazione, mi fu concessa. La sicurezza di Badoglio Quale era 11 progetto cui il Maresciallo mi accennava nel suo telegramma? Quelli che aveva finora messo in atto avevano già sbalordito l'Italia e il mondo, ma v'era senza dubbio qualche cosa che si preparava di più sorprendente. Lo seppi poi da lui stesso durante i nostri colloqui nella sua tenda sulle alture di Enda Jesus flagellate dal vento. Pochi giorni prima di telegrafarmi (era appena terminata la battaglia dello Sciré) il Maresciallo aveva convocato l'Intendente Generale ed 11 Comandante Generale del Genio e parlato loro di una grande colonna autocarrata che per la cosiddetta strada imperiale, al momento opportuno, avrebbe dovuto marciare su Addis Abeba. Occorreva quindi che si predisponessero per tempo i mezzi adeguati all'impresa per realizzare la quale da un calcolo approssimativo occorrevano 1700 autocarri. Già da due mesi, prima che il prodigioso avvenimento si compisse, il Condottiero ne aveva la visione come di cosa in atto. Eppure le difficoltà non mancavano: a malgrado delle vittorie del Tigrai, la via di Dessie era ancora occupata da forti gruppi di armati, verso Ascianghl era ancora concentrata l'armata del Negus, Dessie presidiata dalle truppe del Principe Ereditarlo, più oltre le popolazioni scloane i cui sentimenti ostili non si sapeva quali Incognite potessero rlserbare. Il Maresciallo intuiva che avrebbe avuto ragione di tutti questi ostacoli e che ormai nulla più lo avrebbe potuto arrestare. Ai suoi occhi esperti appariva l'inevitabile dramma finale per il crollante Impero abissino: per noi la mèta radiosa. Mi trovavo ad Assab 11 31 marzo dove ero andato per rendermi conto sul posto della importanza di quella rada dal punto di vista militare, quando mi giunse la notizia dell'attacco e quindi della sconfitta abissina a Passo Mecan. La disfatta abissina, togliendo all'Impero ogni possibilità di salvezza, accreditò la notizia che il Principe Ereditario avrebbe inviato messi per trattare la pace. In slmile evenienza Badoglio desiderava che lo fossi presente come membro del Governo, trattandosi di responsabilità di natura essenzialmente politica. Soldato, egli era venuto a prendere il comando delle armi Italiane per dare la vittoria alla Patria. Di politica preferiva non occuparsi, e più volte ebbe a dirmi che di tali faccende parlassi al suo Capo di Stato Maggiore, Generale Gabba. Questi, profondo conoscitore della vita abissina per avere lungamente soggiornato in Eritrea, aveva preparato un suo progetto per una soddisfacente soluzione finale del conflitto dopo la vittoria: egli ce lo presentò il 6 aprile. Il progetto Gabba Le soluzioni proposte nel progetto tenevano conto di: 1) Territori da annettere all'Eritrea: a ) Tigrai, in senso largo, sino al lago Asclanghi; e) il Uag, il Lasta, l'Jeggiù. il Uollo,. 11 Bassoplano orientale, abitato dalle popolazioni dancale consanguinee delle nostre; annes sione necessaria per formare 11 retroterra economico ad Assab, e per sviluppare una linea di occupazione indipendente dalla ferrovia di Gibuti; c) la regione Beghemeder. Quarà, Alefà, necessarie per dare 11 dominio del Tana. 2) Territori da annettere alla Somalia: Sidamo, Borana, Baie, Ogaden, Hararghié per troncare l'azione svolta dal Chenia verso l'Etiopia e troncare allo Scloa ogni speranza di sbocco al mare. l'Hararghié per la giunzione territoriale tra le colonie e per assicurare oltre i supposti giacimenti petroliferi, il controllo della ferrovia di Gibuti. 3) Territori sotto protettorato Italiano: il Goggiam restituito alla famiglia originarla. 4) Tutte le regioni comprese nel basso corso del Nilo Azzurro fino al Lago Rodolfo, come Beni Sclangul, Uollega, Gimma, Gherar, Limma, Caffa, affidate in mandato tipo C. tetrprreedgichmreetmniniliaindie abpciScicepmddpzidsovnlodgbagnvcrtemrrlinnftumavnntvtIaslsdvdazsnszdnftcpsatarmsbgv e i a a a o l . a o, e i i a. e a, o e e. ù. e, e 11 e or. re a e, re so oa e. rinrto lse ro ni en 5) Un regno nello Scloa autonomo, ma disarmato e sotto nostro controllo, con l'attuale famiglia regnante. Il Gabba sosteneva che erano per noi da scartarsi « le soluzioni dirette a mantenere l'artificiosa unità dell'Etiopia (come per esempio quella di sottoporre l'Intero territorio ad un unico mandato o protettorato) in primo luogo perchè urtavano contro la tesi sempre da noi sostenuta in sede internazionale; in secondo luogo, perchè, conservando questa enorme massa centrale, essa per forza naturale continuerebbe a gravitare con peso preponderante sulle due vecchie colonie, Eritrea e Somalia. « Senza voler parlare di un problema irredentistico, non sarebbero completamente eliminate ed anzi si riprodurrebbero le ragioni di sicurezza e di equilibrio che mossero la nostra impresa militare: dobbiamo invece cercare di frantumare l'Irreale unità etiopica per poi ricomporla Insieme alle due nostre vecchie colonie nella più alta ed organica unità dell'Africa Orientale Italiana ». La soluzione prospettata era ingegnosa e confermava la fama di studioso di problemi coloniali e di esperto conoscitore di cose abissine di cui godeva 11 Generale. Ma io non condividevo il suo punto di vista. Pensavo che poco ci si dovesse preoccupare della S. d. N., data la nostra schiacciante vittoria militare e la quasi certezza che ormai avevamo di poter raggiungere la capitale nemica. D'altra parte, non mi nascondevo che una soluzione diretta del conflitto fra l'Italia e l'Etiopia avrebbe influito nella situazione internazionale in maniera decisiva nei nostri confronti, risolvendo d'un tratto ogni controversia e togliendo a tutti^i nostri nemici il motivo di giustificare la loro animosità. Se quindi si fossero volute soddisfare queste esigenze, la mag giore concessione a cui si sareb be potuti giungere sarebbe stata, a mio avviso, pur sempre raggiungendo Addis Abeba con !e nostre armate, 11 lasciare sopravvivere un piccolo stato scioano contornato completamente da territori italiani e posto sotto il protettorato italiano, con la proclamazione del Re d'Italia ad Imperatore d'Etiopia. Tale soluzione, che avrebbe garantito per sempre le terre Italiane nella loro sicurezza Interna, non avrebbe però nè interpretato nè soddisfatto i combattenti d'Africa che dopo i risultati ottenuti non sapevano concepire se non una soluzione integrale. Queste mie considerazioni feci presenti al Duce. Eventuali proposte a Tafari I protettorati, 1 mandati potevano soddisfare 1 corridoi di GÌ nevra e delle cancellerie europee, non l'Italia che aveva combattuto e sofferto con fede e con volontà insuperabili. D'altra par te conoscevo il pensiero del Duce In materia coloniale. Egli non ammetteva un regime di capi sotto qualsiasi forma, anche quella di protettorato. Le popolazioni stesse non lo avrebbero certo desiderato, esse che di quel regime avevano tanto sofferto. Tra i fini della nostra guerra v'era stato anche quello di liberare le popolazioni da un giogo, che nel loro stato di avvilimento spesso ormai neanche più avvertivano, di instaurare un novus ordo di giustizia e di umanità, di garantire che degli abusi e delle oppressioni non sopravvivessero neanche '.e forme esteriori. Lo spirito dell'Italia nuova doveva entrare in contatto diretto col popolo, non per desiderio di accentrare e burocratizzare e tanto meno per | sfruttarlo a suo profitto, ma per adempiere quella missione di civiltà che avrebbe dovuto succedere alle necessarie durezze della guerra. Il compito era arduo e grave, ma era doveroso affrontarlo insieme con tutte quelle responsabilità che ci eravamo assunte. II 14 aprile 11 Maresciallo telegrafava al Capo del Governo: « Generale Pirzio Biroli che trovasi in marcia su Dessie dove arriverà probabilmente oggi mi informa che suoi inessi di ritomo da Dessie asseriscono che mentre città è sgombra di truppe e popolazione si troverebbe invece colà Principe Ereditario con alcuni dignitari. Ho lanciato un messaggio a Pirzio Biroli prescrivendogli, qualora notizia sia esatta, di trattare Principe e dignitari con massimi riguardi evitando ogni trattativa politica sino mio arrivo a Dessie. Ho in pari tempo telefonato Asinara perchè S. E. Lessona venga subito in volo Macallé. La notizia può essere falsa ma vi può essere qualche probabilità dato dissidio nato tra Negus e Principe Ereditano ». Il Corpo d'Armata eritreo non trovò nessuno entrando a Dessie: il Principe aveva lasciato la città il giorno prima e, difendendosi a malapena dagli attacchi delle popolazioni ostili, tentava di raggiungere la capitale. Il giorno dopo l'occupazione di Dessie, quando non potevamo pensare che il Negus avrebbe commesso l'errore di fuggire, decidemmo col Maresciallo di inviare questo telegramma al Capo del Governo: v Quanto ora telegrafo è stato redatto in perfetto accordo con S. E. Lessona e rappresenta perciò nostro comune pensiero. Non appena saprò dove si trova Negus e beninteso dopo successo di Gra¬ zipezicistAmsfsugudemplsoAnaneziDpepatranvimpastpuziUdomcachvcstpsabstfaravesvsslirVsmdnImnearmnlumcvcslttlsmqgicppalgtmqgDpe2ucIsC e o o a i a a i a , e o a, o n e i e, n e n pi ni iani o ao ai nie ni e In n uer | er lre re, naeornmo n e ce usna, ri o io po E. asa aus on e: tà a ogdi nmcire el to on ron us a¬ ziani, avrei in animo di fargli pervenire la seguente comunicazione: — « Afi trovo a Dessie con un esercito imponente che Vostra Maestà ben conosce. Ora marcerò su Addis Abeba. Vostra Maestà non mi può opporre che scarse truppe sfiduciate dalle gravi sconfitte subite. Perchè versare ancora sangue cristiano? Se Vostra Maestà desidera entrare in trattative con me, sono pronto ad inviare i miei plenipotenziari. Resta però inteso che io marcio egualmente su Addis Abeba per garantire persona Vostra Maestà e tranquillità nella Capitale ». « Se V. E. approvi darò esecuzione appena mi sarà possibile. Dal momento che sta per rompersi gancio ginevrino, è bene prepararne uno qui che ci permetta trattative dirette. Ciò corrisponde anche alla consuetudine che parte vittoriosa ha sempre a un dato momento fatto pervenire voce di pace alla parte vinta. Questo no stro passo d'altra parte non ci può che giovare dal lato internazionale. Se Negus accetta tratta^ Uve saranno naturalmente condotte secondo istruzioni che V. E, mi farà pervenire ». Il Duce ha sempre ragione Del Negus seguitavano a mancare notizie sicure: correva voce che si fosse ritirato in un convento a pregare. Comunque il Duce non accolse con favore la nostra proposta ed ebbe, come sempre, ragione. Il Negus, quando anche il messaggio lo avesse raggiunto, non avrebbe ascoltato quello che 11 buon senso suggeriva nel suo stesso interesse. Le dichiarazioni fatte nel giorni seguenti dai suoi rappresentanti a Ginevra lo provarono. Il 23 aprile da Dessie, dove gli elementi per la storica colonna si stavano concentrando, telegrafavo al Capo del Governo: « Ricognizioni compiute in questi giorni et interrogatori di paesani et capi influenti, uno dei quali persona di fiducia Principe Eredltarlo, mi permettono riferire V. E. alcune notizie interessanti: 1) Nostra vittoria militare e scomparsa del Negus, completamente esautorato dalla sconfitta e disonorante fuga precipitosa, hanno rotto vincoli di fedeltà verso Imperatore et confermato nell'animo di tutti che fine Abisslnla est ormai segnata; 2) Est ritenuto impossibile che anche battendo chitet si possano riunire non dico 200 mila uomini, ma neanche poche migliaia; 3) Spirito religioso e tradizionalista fa ritenere Dio abbia voluto che Ablssinla passi sotto dominio italiano che est ormai accettato, atteso e In molte parti invocato. Fa eccezione soltanto piccolo nucleo politicastri ancora csistenti Addis Abeba; 4) Scomparsa Governo centrale, che non può essere rappresentato da Ministro Esteri con relativo suggeritore Barton, darebhe luogo ad anarchia et lotte intestine se non vi fosse presenza armi italiane che assicurino tranquillità popolazione e la salvaguardino da razzie. Recentissima intercettazione ha raccolto invocazione arrivo italiani da parte presidio scioano assediato da paesani; 5) Concludendo si può quindi affermare che popolazioni, nella loro grande maggioranza, ritengono ormai dominio italiano naturale conseguenza della vittoria militare e da- esso attendono quella giustizia e quella pace che governo abissino mai dette loro ». Il giorno seguente partiva da Dessie il primo scaglione, il gruppo di formazione dei battaglioni eritrei e rinforzi di artiglieria; il 25, la prima Brigata eritrea su un percorso di 310 km.; il 26, !a colonna autocarrata sulla strada Imperiale Macfud-Debra Brehan su circa 400 km. di percorso. Con questa si incolonnava il Comando Superiore e con esso io col mio piccolo seguito. La marcia è stata già più volte autorevolmente narrata in tutti i suol particolari; ben poco lo potrei aggiungere oggi, oltre la testimonianza del miracolo compiuto. Fu chiamata la marcia della ferrea volontà. La volontà di arrivare ad ogni costo era in tutti, dal Comandante al più modesto fante: una energia fisica e morale collettiva nuova, superiore alla somma di quella dei sin goli si era ormai sprigionata e non avrebbe potuto essere contenuta da alcun ostacolo. Ma ci fu anche l'audacia. Il Maresciallo era sereno e sicuro come sempre, la sola sua preoccupazione visibile era che a Ginevra si riuscisse a strappare una promessa di trattative diplomatiche, e i soldati fossero defraudati del premio che loro spettava: l'occupazione della capitale nemica. Io lo rassicuravo dicendogli che il Duce mai avrebbe accettato alcunché di simile. « Non troveremo nulla » Se trattative fossero state possibili dovevano essere tra sovrano vinto e condottiero vincitore. La pace sarebbe stata dettata da questo in nome del Duce. Ma la audacia doveva avere 11 suo peso. Ne vedevo espressi gli effetti sui volti della popolazione che si affollava sul nostro passaggio sulla orrida carrareccia (chiamata per ironia strada Imperiale) e attraverso 1 torrenti dove 1 pesanti furgoni sembravano sprofondarsi con chi 11 spingeva per mi racolosamente riemergere. Nelle brevissime soste la radio mevecoNacoNaDaGeraDaAgrareTaDemmmdeprstatgrsiriogusoaupolaaltoprstmIllaErinvogtanretaermafonl'mdcofiutcnfgNtvdslamistpprrcduvsonr«ssbpnigoqtsmncapsprubretsrvs•pncplMraccoglieva le notizie del fronte e o a e o , e a e a i a a o e . a i l u a a n o. o e i a a à n e e u o e a i ae lo a a a o. ui fla e nni io meridionale sul quale Graziani aveva sferrato alla metà d'aprile contro le forze ancora intatte di Nasibù l'offensiva su tre colonne convergenti: quella del Generale Nasi in direzione Danane Segag Daja, Medò-Dagabur; quella del Generale Frusci In direzione Gorrahei - Gabredarre - SassabanehDagabur; e queiia del Generale Agostini da Gherlogubi per Curati e Bullale su Dagabur. Giungevano notizie che nostri reparti partiti dalla regione del Tana occupavano pacificamente Debra Tabor, capoluogo dell'Amhara centrale e già sede del comando di Ras Cassa e del suo primogenito. Il 26 aprile il Sultato dell'Aussa, Mohamed Yajo, si era presentato al Comando delle nostre forze nella regione per fare atto di sottomissione. H 2 maggio mi giunge un telegramma di Graziani : « A conclusione prima fase battaglia vittoriosa Ogaden ringraziati per auguri rivoltimi dopo Gunu vradu e sopratutto ancora una volta per ausilio sempre datomi a che io potessi qui agire e concorrere alla vittoria finale. A te in bocca al lupo costà ». E' con sentimento di orgoglio e di soddisfazione profonda che io rileggo oggi queste parole. Giungevano anche voci di ammassamenti nemici per resistere. Il Maresciallo era incrollabile nella fede che non l'ha mai lasciato. Egli ascoltava gli informatori e ripeteva: « Non troveremo nulla, ne sono sicuro ». Anch'io dividevo la sua fiducia e sentivo che ciò gli'era di conforto: fiducia basata più sulla certezza radiosa del nostro destino che sulle certezze reali. Nel breve tempo di meditazione, più che di riposo, che ci era lasciato nelle soste notturne mi veniva fatto di pensare che ancora, se in mezzo al nemico fosse sorto l'uomo capace di rianimare gli Imbelli, risvegliare l'antico istinto guerriero tra la massa dispersa, riunire un pugno di uomini risoluti a vibrare un colpo contro di noi, la marcia finale si sarebbe trasformata in una gara mirabile di audacia contrapposta ad audacia, con difficoltà non lievi da superare. Ma nulla doveva accadere e nulla infatti accadde. Prime visioni di Addis Abeba italiana Nel pomeriggio dei 2 maggio giunse la notizia della fuga del Negus. Ormai era lo sbandamento generale. L'antico impero avrebbe potuto finire in modo più degno. Il nemico era sparito, ma lasclava però del gravi Intralci sulla strada. L'interruzione veramente importante del Termaber ci impensieriva per il ritardo Imposto dalle riparazioni. Il franamento era lungo 30 metri circa in un punto particolarmente difficile per la natura precipitosa del terreno, per la mancanza del materiale, per la strettezza delle curve che si inerpicavano sull'alto colle di dove si era pensato di tentare un'ultima difesa della capitale. In verità gli ufficiali europei della scnola di Oletta avevano fatto ogni sforzo per organizzarla, ma non erano riusciti che a praticare questa grave interruzione. Era un esasperante arresto. « Governo francese avverte — cosi telegrafava il Duce 11 2 — che situazione stranieri in Addis Abeba diventa di ora in ora sempre più grave essendo legazioni straniere attaccate dalla popolazione in rivolta. Governo francese prega vivamente sollecitare nostra occupazione. Veda V. E. fare quello che può per venire in aiuto più presto possibile colonie straniere minacciate ». I tempi sono accelerati ancora, ma vi è un limite segnato dalla natura anche per la miracolosa colonna. Nelle soste Inesorabili avevamo agio di osservare la popolazione. I superbi scioani erano fiduciosi e tranquilli. Offrivano i loro prodotti, e ci osservavano con curiosità. Il bestiame pascolava in una pacifica campagna che sembrava non aver mal conosciuto la razzia. Alcuni mandavano saluti e auguri in buon italiano. La notizia della fuga del Negus si era sparsa ed era accolta con Indifferenza. Dopo 36 ore di ininterrotto lavoro, la colonna ricominciava a sfilare spinta a braccia nel passi •più aspri. Poi, raggiunto il piano, marciò rapidamente verso la capitale. La mattina del 5 un alto pennacchio di fumo ce ne indicò la direzione. Alle 16 circa la colonna, col Maresciallo in testa, era alle porte della città. Il Maresciallo fermava la vettura e scriveva rapidamente su un foglietto alcune righe che mi porgeva da leggere. Era lo storico telegramma al Duce. Proseguimmo. Folla schierata, e volti di diverse espressioni: profondi Inchini orientali, saluti fascisti, sguardi ambìgui e gesti festosi di levantini, fiori e trilli gutturali di donne, residui vagabondi della guardia imperlale, folla europea dietro i reticolati delle legazioni, volti impassibili tra i britannici, acclamazioni al Duce dalle terrazze affollate dai germanici, il Ministro francese che, col gesto di cerimonioso castellano, presentò al Maresciallo le chiavi della Legazione lasciategli da Vinci otto mesi addietro. E finalmente la bandiera issata In cospetto delle truppe schierate. Queste le prime, rapide visioni di Addis Abeba italiana che nulla potrà più cancellare. Entram ImprgnziuecasatàceladifaregrRte mo Badoglio ed io soli nel salone inrersferizoegmcolee fdadmndrnezdoatqcastlbsIsTcrnsgttctppmtesfrdmztlIaglndbqcScdclnlgcsipcdffasnEddqdv della Legazione. I nostri visi avevano 1 seghi della stanchezza ma esprimevano la nostra grande commozione. Badoglio mi abbracciò e mi disse: «Possiamo andare a riposarci tranquilli. Abbiamo servito entrambi fedelmente l'Italia ». Prima di riposarmi, dalla villetta in cui avevo preso alloggio, dettai 11 seguente telegramma al Duce: « Entrato Addis Abeba mio primo pensiero vn a Voi che tenacemente voleste contro tutto e contro tutti la ijrande storica impresa del Fascinino italiano. Voi donaste all'Italia il Fascismo per la sua salvezza, oggi le donate un Impero che l'esercito da Voi temprato ha gloriosamente guadagnato. « Le accoglienze delle popolazioni sono conferma irrefutauile uelìa bontà e della giustizia uella causa da Voi strenuamente difesa che è di liberazione, di umanità, di pace. Poiché mi avete concesso l'onore di vivere accanto alla Vostra passione e alla Vostra diuturna fatino, consentitemi di farVi giungere da questa terra irrevocabilmente italiana, il mio grato e deferente saluto ». Alessandro Lessona