FIGLI D'ITALIA in Tunisia e in Algeria di Italo Zingarelli

FIGLI D'ITALIA in Tunisia e in Algeria FIGLI D'ITALIA in Tunisia e in Algeria Oltre un secolo di lavoro e di sofferenze Le vaste correnti migratorie prima e dopo l'unità - Parole chiare di Giuseppe Garibaldi Ci saremmo occupati della Tunisia nel corso della nostra inchiesta sugl'italiani in Francia, anche senza il gran clamore che negli ultimi giorni s'è levato a Parigi in conseguenza di una manifestazione romana. Si può muovere rimprovero agl'Italiani se rivolgono il pensiero ai fratelli «he in terre straniere hanno potentemente contribuito e contribuiscono alla creazione di opere di civiltà? Si può privarli della soddisfazione di dire che se terre dissodate e deserte oggi sono feconde e popolose, questo è merito di gente del loro sangue? Anche deve riuscire comprensibile il rimpianto col quale gl'Italiani constatano che cecità e debolezze di passati regimi impedirono che su queste terre sventolasse la loro bandiera. Agli inizi del secolo XIX Alle relazioni stabilitesi fra Italia e la Tunisia in più di un secolo Corrado Masi ha dedicato il libro « Gente nostra nel Mediterraneo occidentale », è uscito a Bologna, coi tipi di Licinio Cappelli, nello scorso maggio. Il libro raccoglie studi fatti dall'autore, in varie epoche, ih archivii e nella stessa Tunisi, dove per lunghi anni diresse il giornale L'Unione, e va considerato da chi ami documentarvi sul serio una eccellente fonte. Già nel '27, premuroso di stabilire la verità sulle prime libere migrazioni italiane nel Nord Africa, il Masi dimostrava che agl'inizii del XLX secolo si diressero verso l'Algeria e la Tunisia torinesi, genovesi, sardi e livornesi, nonché siciliani, i quali furono, al principio, soprattutto dei pescatori; seguirono più tardi, dei contadini. Nel 1826 la polizia del Regno delle due Sicilie rilasciò 106 passaporti per la Tunisia e nel '30 ne rilasciò 120. Pure dalle Calabrie e dalle Puglie affluivano, però, in Tunisia uomini in cerca di lavoro e sembra che le barche dei pescatori di corallo tarantini abbiano cominciato a comparire in quelle acque per farvi la stagione, nel 1820. I moti del '48 determinarono un aumento della colonia italiana in Tunisia, perchè mol te persone compromessesi vi tro. varono rapidamente asilo: verso la fine del '49 il console generale delle Due Sicilie segnalava la presenza di più di 500 emigrati. Nei confronti dell'Algeria le cose sono andate su per giù allo stesso modo, e chi voglia conoscere fatti degni di riflessione rammenti che nel 1831, quando fu formata la Legione straniera, uno dei sette battaglioni, e precisamente il V, era tutto composto d'Italiani. Rammenti anche che a quell'epoca la Francia non ancora travagliata dalla crisi demografica che oggi sempre più l'allarma, vedeva annual mente emigrare circa trentami la suoi figli, dei quali nessuno si dirigeva in Africa, non riscontrandosi nelle regioni africane possibilità di assicurare alla svelta un impiego a coloro che si volevano utilizzare. Nel '52, su 132.980 abitanti dell'Algeria, si contavano 7.607 Italiani ; nel '58 Cesare Correnti ne contava 15.000 e se questa ci fra appare sospetta, perchè data da un italiano, prendiamo in considerazione quella di 12.575 data dal francese Duval. I nostri pescatori di corallo erano tanto numerosi, che nel 1837 le statistiche registravano 209 battelli italiani contro 10 fran cesi; l'anno appresso gl'Italiani erano diventati 253 ed i francesi erano rimasti a 10. Per osteggiare i nostri connazionali, il Governo francese ebbe allora l'idea di colpire con gravissime tasse i pescatori stranieri, e raggiunse l'intento: nel '40 gli Italiani s'erano ridotti a 95. Però i Francesi non se ne avvan taggiarono affatto ed i loro 10 battelli, invece di moltiplicarsi si ridussero a uno. Il Masi, a questo punto, sente il bisogno di commentare : « Sacrifizii continui, dure lotte con gli uomini e con gli elementi, perdite di vite umane sotto il ferro e il piombo dell'arabo; e allo stringere dei conti tutta questa immane fati ca si è risolta in una gravosissi ma perdita per l'Italia, giacchè gran parte di tale nostra emigrazione è stata dalla Francia tratta a sè, con ogni arte e con ogni mezzo, ed ha finito con lo scomparire nel grande crogiuolo in cui si è fusa l'odierna popò lazione algerina ». Un'istruzione di V. Gioberti L'Italia, viceversa, sebbene la Penisola a quel tempo pullulasse di piccoli Stati e subisse gio: ghi stranieri, considerava quegli emigrati tutti suoi figli, alla stessa stregua, e Vincenzo Gioberti, Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri del Regno di Sardegna, nel gennaio del '49, dando istruzioni al console generale a Tunisi, gli diceva di non distinguere fra sudditi del Regno di Sardegna, sudditi dei Ducati di Parma e Modena e via di seguito : « Anche questi sono Italiani — « scriveva — e quindi nel vincolo « morale di questa Patria comune, « l'Italia, che è sorta a rivendicare « la propria dignità di Nazione, e « la propria indipendenza dallo « straniero ». Durante il glorioso periodo del Risorgimento i nuclei italiani in Tunisia si rivelarono focolari di patriottismo magnifico: Giuseppe Mazzini si occupò di essi con particolare interesse. Il Masi riporta, a titolo di saggio dell'amore nutrito per la Patria dagli emigrati, una poesiola composta nel '61 dal signor Vinecnzo Ghinasst, poeta non pas stcrR<naddotrsF«««««««i«ttatcvcnc'vddCsdngflTmrcCnstnghsgptgnuzlcA a e a a . a e e o e e o o l e n 5 o e 9 i l a e e i 0 a i e e o i è a n o o a : i a e o , n i — o , e e o o : i l o a a sato alla storia della nostra letteratura, per salutare il console che per primo aveva l'onore di rappresentare a Tunisi il nuovo Regno d'Italia: Sangue di Scipio correre Sentiam dentro le vene: Se fummo un volgo anonimo Sparso su stranie arene, Ora saremo un popolo Gagliardamente unito, Dalla vergogna uscito, Di lunga servitù. Giuseppe Garibaldi sentì la < questione tunisina » appassionatamente e si oppose come potè alla presa di possesso da parte della Francia, sebbene dolente di dover parlare un linguaggio ostile a una Nazione da lui amata. Nell'80, in una lettera al direttore de La Capitale, Dobelli, scriveva : « La Francia, con la distruzione della potenza barbaresca d'Algeri, meritò la gratitudine del mondo civile. Essa possiede coteste immense regioni ' e può estendere sul vasto continente africano il benefico suo dominio. Nella Tunisia poi è un altro affare. La Francia padrona di cotesto cuneo che si avanza a settentrione fra la Sicilia é la Sardegna, sarebbe una minaccia continua all'integrità del nostro Paese. Coi dì lei sistema invadente poi a danno degli antichi Iloti (cioè a dire gl'Italiani) come lo prova nel voler francesare i nostri corallini, essa non dà prova di sincera fratellanza. La colonia italiana a Tunisi è più numerosa di tutte le altre colonie europee insieme. E considerando il piccolo tratto di mare che ci divide da quel paese, tutto insomma spinge l'Italia a dover sostenere l'indipendenza assoluta di mtesta Reggenza ». In un'altra lettera, ad Achille Fazzari, l'anno dopo insisteva: « Io sono amico della Francia e credo si debba fare il possibile « per conservare la di lei amicizia. « Però siccome sono Italiano, in« nanzi tutto, darò certamente que« sto resto di vita, acciò l'Italia « non sia oltraggiata da chicches« sia. E se si permettesse alla « Francia d'impadronirsi della Tuie nisia, l'Italia sarebbe non sola« mente oltraggiata, ma minacciatta nei suoi interessi e nella sua t sicurezza ». Al suo « fratello d'armi » coonnello Michard di Chambéry aveva poi fatto sapere che sventuratamente l'azione della Francia in Tunisia provava che si volevano dominare i popoli vicini a dispetto della più ragionata giustizia. Ed era stato anche Garibaldi, nell'agosto del '79, trovandosi malato a Civitavecchia, a rilasciare una lettera di raccomandazione per il Presidente del Consiglio Benedetto Cairoli al triestino Guido Ravasini che, assieme ad un gruppo di amici, aveva elaborato un piano (non realizzato) per fronteggiare, mediante la creazione di forti interessi economici italiani, la manomissione francese della Tunisia. Ostilità mai smentita In uno degli ultimi scritti raccolti nel volume, il Masi, tornando ad occuparsi del trattamento usato dalla Francia ai nostri fratelli nell'Africa settentrionale, dice che l'ambiente italiano è stato instancabilmente lavorato a suo profitto dalla Francia « per amalgamare sempre più la massa straniera a quella dei francesi di origine o naturalizzati e costituire « le bloc franqais » auspicato da tutti i colonialisti della vicina Repubblica. Le vie e i modi con che la Francia, nello scorso secolo, riuscì ad attrarre a sè tanta parte delle nostre colonie algerine non sono stati mai illustrati convenientemente in Italia, benché poche pagine del nostro duro travaglio migratorio siano tanto e così drammaticamente interessanti ». Ma in fondo la colpa è pure dei Governi che precedettero il Fascista ed è lo stesso Masi a ricordare che nel 1920, o giù di lì,' ad Algeri, un italiano di Tunisia ricevè dalle nostre autorità consolari il consiglio di non esporre sopra uno stallo della fiera campionaria la bandiera nazionale... Piemontesi e lombardi hanno costruito ferrovie e la strada da Costantina alla grande galleria di Adelia, il serbatoio scavato nel punto in cui il fiume Hamits sbocca nella pianura della Metigia, e hanno valorizzato le miniere di Um-Rebut. Napoletani, genovesi, livornesi e siciliani hanno pescato il corallo e il pesce, hanno formato gli equipaggi dei battelli delle coste e dei porti, hanno eseguito lavori portuali e coltivato i giardini di Algeria. La loro vita era così estenuante che nel dicembre del '70 un console richiamava l'attenzione delle autorità centrali sulla forte percentuale di Italiani che anno per anno moriva in Algeria, o rimpatriava per malattia; nè allora si realizzavano risparmi che compensassero la inumana fatica. Quando poi nel 1911 l'Italia fu in guerra con l'Impero ottomano, la Francia lasciò tranquillamente passare per la Tunisia fatta ricca da Italiani, ufficiali turchi che andavano a raggiungere le forze turco-arabe; e siccome l'opinione pubblica francese, tutta schieratasi per i Turchi e per gli Arabi, esigeva soddisfazioni d'ogni genere, gl'impiegati italiani delle tranvie tunisine furono licenziati e i medici fran: cesi reclamarono l'esclusione dei colleghi italiani dall'esercizio della professione. Bisognerà ora spiegarci, con convincenti argomenti, per quali motivi l'Italia Fascista non debba preoccuparsi di questi nuclei di suoi figli all'Estero, forti per numero e non per mezzi di difesa. Italo Zingarelli NcrDstcsCLemDccmgvprqoVnrBctcltrPssrgdclltondcddscellcsfsdeiaftPtmdldPddlt