MIImIARLH senza padrone

MIImIARLH senza padrone MIImIARLH senza padrone La favolosa eredità di Abdul-Hamid Trenta casse di oro e gioielli, messe un giorno al sicuro, sono scomparse 31 panfilo e la banca di Giouanni De Hai - J uentun principi Osmanli ridotti alla miseria - Una causa colossale - Qualche cosa uiene alla luce Le guardie del corpo, in fila, trasportavano, una dopo l'altra, pesatiti casse ferrate, dal Chiosco d'Yildiz sul ponte di un elegante e -lussuoso panfilo, ancorato nel Corno d'Oro. Nel Chiosco, tutto era rimasto come Abdul-Hamid, il « Sultano Rosso », aveva disposto. La guardia d'onore indossava ancora l'uniforme del reggimento della guardia d'Estrogul: pantaloni corti di velluto rosso, giubba di seta rossa ricamata d'oro, scarpe colle fibbie, parrucca incipriata, tricorno. Si mantenevano seri, impassibili, colla rigidezza degli uomini animati dal disprezzo o dalla paura, come se avessero temuto ancora l'apparizione del terribile Sultano Rosso, sempre pronto a incrudelire su di loro. Già da molti anni Abdul-Hamid era in esilio. Maometto V gli era succeduto e l'eredità del Sultano Rosso gli apparteneva. Come se avesse previsto l'avvenire, il Sultano Maometto si affrettava a sottrarre i tesori inestimabili del palazzo di Yildiz. Il panfilo che si cullava mollemente nella baia, come un uccello marino, era quello di Giovanni de Kay, cittadino americano, il quale, come ognuno sa, era il miglior amico del Sultano Maometto. Immensamente ricco, aveva messo il suo panfilo a dìsposizione dell'amico, per il trasporto dei tesori del Sultano Rosso in America, dove si sarebbero trovati al sicuro. Sulla Costa Azzurra La prudente previsione del Sultano Maometto doveva dimostrarsi di una grande saggezza. Appena Giovanni de Kay si era allontanato sui flutti portando con sè il tesoro, il ciclone si scatenava sui membri della famiglia degli Os manli. La Turchia aveva perduto la guerra al fianco delle Potenze centrali. Kemal Pascià, che stava per diventare Ataturk, aveva preso la direzione delle sorti del suo paese. E i duri, colpi del destino si erano abbattuti, l'un dopo l'altro, con un ritmo vertiginoso, sulla casa degli Osmanli. Maometto V era morto, suo fratello, Maometto VI, gli- era succeduto; ma questi temeva in modo tale per la sua vita, che era fuggito a Malta su di una nave inglese e di là, in Francia. Il Sultano era scomparso. La dinastia degli Osmanli, che aveva dato in passato alla Turchia tanti sultani gloriosi e sanguinari, doveva ora contentarsi del Califfato. Gli eventi precipitavano; per opera di Ataturk, la Turchia si costituì in Repubblica e tutti i componenti la famiglia degli Osmanli, fra i quali l'ultimo Califfo, AbdulMedjìd, avevano dovuto lasciare precipitosamente il territorio della nuova Turchia. Alla stazione li attendeva un treno speciale, allestito in tutta fretta. I principi e le principesse avevano avuto appena il tempo di gettare alla rinfusa in una valigetta gli oggetti indispensabili: appena avevano potuto portare con sè qualche gioiello. Il treno speciale, sotto pressione, li aspettava pronto a partire, mentre circolavano per l'aria notizie terribili. I membri della famiglia degli Osmanli che fossero stati trovati l'indomani mattina nel territorio turco, avrebbero dovuto sopportare la responsabilità dei delitti del Sultano Rosso... Il treno speciale lasciò la stazione a tutta velocità... La maggior parte dei principi fuggiaschi si stabilì in Francia la Costa Azzurra era, in certo modo, la terra d'esilio ufficiale per la famiglia degli Osmanli: colà lo stesso Sultano Rosso,. Abdul-Ha mid, aveva vissuto i suoi ultimi giorni e il Sultano Maometto era venuto a rifugiarvisi dopo di lui. I principi Osmanli arrivarono, gli uni dopo gli altri, uno con meno denaro dell'altro, ma non preoccupati per questo. Ormai non correvano alcun pericolo, e si con tentarono dì sorridere con noncuranza, quando lessero nei giornali che Kemal Pascià aveva organizsato una esposizione di gioielli dimenticati o lasciati dagli Osmanli, davanti alla quale tutti i visitatori restavano stupefatti per la quantità e la ricchezza degli oggetti esposti. Di questo tesoro abbandonato dietro di loro, i principi esiliati ridevano senza preoccuparsene: pensavano al vero tesoro, che il previdente Maometto, l'ultimo sultano, aveva fatto mettere al sicuro, «tolto tempo prima, racchiuso in trenta casse di ferro, il famoso, l'inverosimile tesoro dei Sultani, ammassato a poco a poco durante un millennio. E questo tesoro, il panfilo di Giovanni de Kay lo aveva trasportato in America; ove si trovava ormai definitivamente in salvo. Delusione Ma cosa faceva Giovanni de Kayì Per quanto i principi sapevano, Giovanni de Kay sembrava un uomo di cui potersi fidare... Era estremamente ricco, e tutta l'America lo sapeva. La sua fortuna era valutata in molti mi/ioni di dollari ed era, fra l'altro il solo proprietario della formidabile Ban ca della Virginia intitolata « Ottoman Imperiai Estate Ine». Inoltre, Giovanni de Kai, o me gl'io semplicemente Kai — il « de » lo adoperava solo nella sua firma di scrittore — era assai conosciuto per numerose sue pubblicazioni, su interessanti e delicati argomenti internazionali. Eppure, un uomo cosi sicuro continuava a non dare segno di vita. Dove poteva trovarsi? Forse non leggeva i giornali? Poteva ignorare che i principi Osmanli avevano dovuto fuggi™ &•>.">■ Turchia? Eppure, da parecchie setti¬ mane, tutti i vano d'altro. giornali non parla- I principi turchi aspettarono un poco, in un'incertezza ogni giorno crescente, poi si decisero a telegrafare a Giovanni Kay... Ma Giovanni Kay continuò a non dare segno di vita. E gli infelici principi erano in Riviera, nel più bel paese del mondo, con tutta la famiglia, e non avevano più denaro... Giovanni Kay sembrava assolutamente deciso a non dare risposta alcuna ai disperati telegrammi. Già, come pescicani dopo la tempesta, gli affaristi e gli usurai venivano ad offrire i loro servigi, proponendo di acquistare i diritti dei principi sull'eredità, naturalmente con interessi fantastici. Tutti i giornali parlavano nelle loro colonne della famosa eredità del Sultano Rosso. Non si trattava forse di centinaia di miliardi? I principi, messi alle strette, vendevano la prospettiva dei miliardi per poche reali migliaia di lire. Erano al punto di dover impegnare l'ultimo gioiello, quando finalmente si decisero a partire per l'America, per andare a' scovare essi stessi il famoso Giovanni Kay, che, malgrado il suo inesplicabile atteggiamento, rappresentava tutta la loro speranza. Fino dal primo incontro con questo personaggio, divenuto per essi quasi leggendario, un'orribile delusione li aspettava. Il banchie re-scrittore ascoltò pazientemente fino alla fine l'inviato dei principi Osmanli, che gli ricordava il tesoro, chiuso in trenta casse di ferro s imbarcato una sera sul panfilo. Quindi rispose press'a poco: — Altezza, sono avvilito di dover distruggere la vostra seducente chimera, ma il defunto sultano Maometto V, che era per me un eccellente amico, non mi ha affidato alcun tesoro. E come mai la vostra banca s'intitola « Banca Imperiale Ottomana? ». Tacitati con le briciole — Oh, scusate — ribattè con un sorriso Giouanni Kay — questa è tutta un'altra cosa. Come vi ho detto, il defunto Sultano era per me un eccellente amico e io auevo acquistato da lui alcune concessioni di petrolio dell'Iran. E' su queste concessioni, che è stata fondata la Banca. Completamente disorientati, disgraziati eredi, ritornati in Eu ropa, appena, poterono riordinare le idee, decisero di intentare causa contro Giovanni Kay. Intentare una causa è presto detto. Come quei poveri principi avrebbero potuto combattere sul terreno della procedura col potente banchiere americano miliardario? «Giovanni de Kay ha trafugato dal Chiosco di Yildiz, in trenta casse di ferro, un tesoro favoloso ». Sarebbe stato veramente possibile di impiantare una causa su di una tale base, più degna dei racconti delle Mille e una Notte, che della fredda e concreta realtà della procedura legale? Per di più, un'altra difficoltà sorse al momento di iniziare .la azione. I principi Osmanli in esilio erano in numero di ventuno e tutti eredi dello stesso titolo: non ci voleva altro per complicare in modo singolare gli atti ufficiali. Inoltre, quando si era trattato della scelta di un avvocato per la difesa degli interessi dell'eredità (l'avvocato fu poi l'ex-presidente della Repubblica, Millerand) molti dei principi all'ultimo momento si erano dileguati. Cos'era successo ? Giovanni Kay da pratico uomo d'affari americano si era imbarcato sul suo panfilo ed era venuto, con la massima naturalezza, a trovare l'uno dopo l'altro i suoi avversari, tenendo loro il seguente discorso: «Altezza, so che in questo momento siete completamente sprovvisto- di risorse. Mi sono deciso ad acquistare la vostra parte dell'eredità. Per quanto siete disposto a cedermela, o, per essere più esatti, a cederla alla mia banca? ». E il principe, quasi ridotto alla miseria, non aveva potuto resistere alla prospettiva dorata di migliaia di dollari. Giovanni Kay, infaticabile, passava così da un principe all'altro, riuscendo a tacitarli, l'uno per dieci mila dollari, l'altro per quindici o ventimila. E quando si dovette redigere la prima citazione, risultò che una parte degli eredi avevano ceduto l'intiera loro quota e si erano completamente spogliati di ogni diritto, proprio in favore dell'avversario. Giouanni Kay si trovava quindi ad essere coerede. Ed era molto poco probabile che, almeno per parte sua, l'attacco contro sè stesso avesse probabilità di tradursi in atto. Risultò perfino che lo stesso pretendente al trono, il figlio di Abdul-Hamid, Abdul-Kadir, aveva ricevuto dall'Americano una volta diecimila dollari, una seconda volta ventimila. II credito dell'eredità del sultano rosso scese a zero. Come tentare una causa di questo genere, se la maggior parte degli interessati si dileguavano? L'abile americano aveva messo le mani sul fantastico tesoro di Abdul-Hamid e non se lo lascerebbe più sfuggire. Dov'è Giovanni Kay? Quando ogni speranza sembrava perduta, si verificò un colpo di scena. Il rappresentante di una potente banca canadese, recatosi dagli eredi, fece loro una proposta sbalorditiva: — La banca che rappresento è disposta a finanziare i membri della famiglia Osmanli, è pronta, ad inisiare la causa contro Gio-\ vanni Kay, o meglio contro la sua\ banca, ed è anche preparata a farvi delle anticipazioni. Vi è però una condizione: noi non vogliamo rappresentare venti credi, non possiamo continuamente conferire con venti persone. E' colla famiglia, anzi colla dinastia degli Osmanli che noi intendiamo di tratiare e, più precisamente, col capo riconosciuto di tale dinastia. Indi-1 catecclo, per poterci mettere di-1 rettamente in relazione con lui». La questione era molto impor- \ tante. Poco mancò che, per risolverla, non scoppiasse un'altra causa fra i componenti la famiglia. ! Chi era in realtà il capo della dinastia? Era il pretendente al tro-, no Abdul Kadir, o non piuttosto il principe Abdul Medjid, l'ultimo califfo, rivestito della sua dignità] dall'ultimo sultano Maometto VI? Occorreva tuttavia decidersi. Il miraggio del denaro da riconquistare, contribuì ancora una volta a determinare l'accordo^ e i venti eredi giurarono fedeltà, con grande solennità, all'ex-Califfo Abdul Mejid, che viveva in quell'epoca a Zurigo. Essi lo riconobbero come il capo della famiglia degli Osmanli e lo investirono di pieni poteri, per condurre in loro nome la campagna contro il comune nemico. Però il principe non fu che, diremo cosi, il comandante onorario delle operazioni, dirette in realtà dalla Banca Canadese. Queste si iniziarono sotto Ruspici così favorevoli che Giovanni Kay, U multimilionario, scomparve senz'altro dalla Virginia. Nè fu possibile di sapere cosa era avvenuto di lui. Secondo gli uni, Giovanni Kay, il cui patrimonio privato era di per sè considerevole, si era stancato all'improvviso della lotta contro gli eredi di Abdul-Hamid, appoggiati da una così potente banca concorrente, e raccolto tutto il suo denaro, colle tasche piene aveva lasciato in asso la banca, per andare a vivere, in un luogo sconosciuto, la vita senza fastidi di un uomo immensamente ricco. Ad ogni modo, il fatto si è che un bel mattino la bartea Giovanni Kay nella Virginia restò chiusa e le autorità americane, su tstanza della banca canadese, si videro costrette ad invadere i locali, procedendo a un inventario in base ai documenti che vi avevano trovato. Una parte: 9 miliardi... Il risultato della perquisizione fu veramente inatteso. Dalle carte venute in luce, le autorità poterono in modo irrefutabile accertare che Giovanni Kay aveva ricevuto in deposito dalla famiglia degli Osmanli tesori di un valore inaudito e che se li era appropriati. Ma nello stesso tempo si scoprì che le trenta casse di ferro, delle quali Giovanni Kay aveva preso possesso, e che secondo ogni apparenza erano definitivamente scomparse., non rappresentavano che una parte insignificante della favolosa fortuna di. Abdul Hamid. L'effettiva eredità del Sultano Rosso non consisteva nè in oro nè in gioielli, ma in titoli di proprietà, incomprensibilmente dimenticati da Giovanni Kay nelle sue casseforti. L'esame di tali documenti rivelò che Abdul Hamid era uno degli uomini più ricchi del mondo. Dall'Albania fino alla Persia, nel territorio degli Stati successori della Turchia, egli si trovava ad essere proprietario di sterminati terreni, miniere, pozzi di petrolio, ferrovie, interi quartieri di case costruite in varie città. Con incredibile abilità, Abdul Hamid « il Sultano rosso » aveva saputo intestare al suo nome, in tempo utile-e con tutte le formalità legali richieste, tutti i tesori naturali che venivano scoperti nel suo regno. Benché Ataturk avesse fatto votare l'esclusione dal trono della famiglia degli Osmanli, benché avesse fatto confiscare ogni proprietà appartenente a quest'ultima nel territorio della Turchia e benché Giovanni Kay fosse scomparso colle trenta casse contenenti il tesoro d'oro e di gioielli accumulato dai variì Sultani, l'eredità di Abdul Hamid costituiva ancora una fortuna inestimabile, sparsa nei territori del vicino oriente. Ebbe inizio allora un'altra causa, colla Banca Canadese nello sfondo, niente di wieno che contro gli Stati successori, che pretendevano anche loro di avere dei diritti sull'eredità del Sultano Rosso. Dalla Palestina, dall'Egitto, dalla Siria, furono accampate pretese, come anche dall'Albania, dalla Trunsyiordania, dalla Mesopotamia... Fu la più formidabile vertenza della Storia. I migliori avvocati dell'epoca vi furono impegnati; spese incredibili vennero affrontate. La prima parte della causa è ora finita. Se le nostre informazioni sono esatte, il Tribunale di Giaffa ha sentenziato, per quel che riguarda i beni esistenti in Palestina, che quel governo dovrà pagare agli eredi di Abdul Hamid cinquanta milioni di sterline, cioè nove miliardi di franchi. Il governo della Palestina'ha interposto appello dinanzi alla Corte di Gerusalemme, dopo la sentenza della quale la causa sarà definitivamente decisa. Questo per quanto riguarda il ramo palestinese dell'eredità. Nove miliardi... Di quale cifra si parlerà nelle altre cause intentate contro ali altri stati successori! Oscar Ray