MERLIN COCAIO di Ferdinando Neri

MERLIN COCAIO MERLIN COCAIO Se dicessi che in questi ultimi anni gli studiosi, gli eruditi, hanno dedicato più attenzione, più ingegno, più industria di ricerche a Teofilo Foleng. ipè Merlin Cocaio, autore dell >put inaearouieum, che non all'Ariosto — tanto per indicare il nome di un suo grande contemporaneo — non mi si crederebbe. Forse era ver, ma non però [credibile... Ma è anche vero che c'era molto da fare. Nella storia della poesia italiana, libri ed autori come questo, considerati soltanto come piacevoli e ridicoli, erano lasciati in abbandono : il testo, in una serie di edizioni discordi ; e in una tradizione incerta e sommaria le poche notizie di una vita che fu travagliosa ed oscura. Il maestro della poesia maccheronica trovò, ad ogni generazione, un gruppo di lettori fedeli, e come nascosti, che si compiacevano della parodia formale, del giuoco che traveste e corrompe la lingua di Roma, l'umanistica ed ecclesiastica. La beffa del latino, possono gustarla coloro che, poco o molto, lo sanno: nella scuola, o nella sagrestia. Un titolo di gloria per il Folengo è che dal suo maggior poema, il Balda», il Rabelais abbia tratto numerosi enisodi del suo romanzo (il più celebre è quello dei montoni di Panurge) ; anzi, il Burckhardt supponeva che l'impulso a scrivere il Gorgoni un e il Pantagrutl fosse venuto al Rabelais dall'opera del Folengo: ciò che sembra provato dalla più recente critica filologica, che addita come primi composti dal Rabelais i capitoli della seconda metà del Pàiitagruel, ove il disegno dell'avventura e i tipi grotteschi ond'essa si svolge son proprio quelli del Haiti us, in un complesso immaginoso ch'era veramente nuovo nell'arte del Rinascimento. Così aveva detto Merlino: Phantasia mlhi plus quam Iphentastica venlt hÌRtioriam Baldi grassi* cantare [Camoenis... Ed è accaduto, a un grado minore, per il Folengo, quello che accadde per il Rabelais: la cui leggenda, in un primo periodo, si conformò semplicemente all'indole gioconda del suo libro, e lo raffigurò come un beone, un ghiottone, tin pingue e lieto perdigiorno ; poi, nel fervore dei Romantici, che lo conoscevano meno, ma lo esaltavano di più, mutò aspetto, e sostituì un significato profondo alle apparenze facete, sì da farne balzar fuori l'Omero e la Bibbia del riso; ch'era un eccesso opposto, e altrettanto arbitrario. Allo stesso modo, quando i moderni scovarono il Caos del 77;■pcruno e le opere religiose, in rima italiana, del Folengo, i lineamenti primitivi d'un frate gaudente, ridanciano, che ammiccava dalle triviali Maccheronee, cedettero a quelli di un pensoso teologo, d'uno spirito della Riforma, il cantore e la vittima di una rivolta ideale. Si era. un po' « drammatizzato » all'inizio degli studi folenghiani: ai quali, via via, posero mano il Luzio ed il Renda, il Messedaglia, il Goffis, il Cordiè, altri ancora. La nota giusta si può dire che risulta ormai dalle pagine in cui il Billanovich, negli Atti del R. Istituto Veneto, ci presenta Un nuovo Folengo a « conclusione del mito di Merlino i. Di quel mito, converrà sgombrare la figurina di un Folengo goliardo bolognese ed allievo del Pomponazzi, l'ardito filosofo che gli avrebbe schiuse le vie del libero pensiero; le origini culturali di Merlino sono comprese per intero nella regione fra Brescia e Padova, dovera sorta la poesia maccheronica, che gli valse d'esempio, e di stimolo, insieme con tutta la letteratura popolaresca dei mariazi, delle scene rusticali, in cui recitavano gli zanni « prodigava il suo brio di Ruzzante, ai primi albori dell'ammaliante commedia dell'arte: tutto un mondo realista e giocoso, che si armonizza con le linee più evidenti della poesia folenghiana. E quanto alla vita del Folengo, essa è innanzi tutto la vita di un frate, immersa nelle vicende del convento, e delle, conventicole, quando si trovò in lotta con altri frati: il suo nemico non iu mai il papato, o la Chiesa, o alcunché a tali altezze: fu il terribile abate Ignazio Squarcialupi... Per sottrarsi ai suoi rigori, fuggì dal chiostro ; contro di lui appuntò la satira più violenta e ostinata ; ed anche nei suoi esilii (fino in Sicilia, mentre n'era governatore un Gonzaga, della sua Mantova) s'intravvedono i vincoli che lo univano per sempre alla sua terra, insieme col proposito dominante del poeta, inteso ad ampliare, a correggere, a limare il Haiti us, ch'era stato il sogno della sua giovinezza. Il Merlino mistico dilegua nell'ombra del Caos, avviluppato ed insulso, e ci resta un povero monaco, che nell'i alternativa superficiale e tormentosa » delle sue esperienze claustrali rispecchiò — ma in uno specchio, non so se concavo, o convesso : di certo, deformante — un momento storico onde si chiudeva l'Umanesimo. Gli sono presenti Virgilio e l'Ariosto; li ammira seriamente; e per l'arte del verso latino è pieno di riguardi, di caute e sapienti sottigliezze (che, meglio di tutti, ha chiarite, con nuovi studi, Ugo Enrico Paoli). Merlin Cocaio conosce il mondo virgiliano, e il mondo ariostesco, come due realtà luminose; e nel Furioso ha sentito la grazia spontanea, che non dimenticava, tra le nobili imprese dei cavalieri, la semplice vita del borgo e delle campagne. Come tutte le grandi parodie (e pensiamo alla più geniale e possente, ch'è quella del Don Chisciotte: tanto geniale, che non è mai tutta parodia), anche il Baldus muove da un primo amore di quanto diverrà un oggetto di riso. Lo spirito eroico traluCe nella « veemenza spavalda » delle avventure paesane : come i versi, gji emisticnii del- l'Eneide sopraggiungono qua e là ad accennare un'armonia serena che svanisce nei cieli divini. Ma lo spirito della terra, della terra rustica e grassa, popolata di cupidige, d'inganni, di povertà, stringe e degrada quell'impeti, e dopo averli domati, li affoga. E qui vince il riso: e frappone le voci dialettali, a guisa di scherno, nel classico latino, e accompagna alla furia di Baldo le burle di Cingar, di Falchetto, di pre' Jacopino, di tutta la banda dei gaglioffi. Cingar « scampasoga (scampaforca), cimarostus, salsa diabli, accortusque, ladro, semper truffare paratus » c un tipo vivente, animato da un'astuzia, e da una malizia diabolica; e Berto Panada è un buon contadino ir tam cortesus, tam gaius i : la sua delizia « hortus erat, pegoraeque novem, septemque caprettae •; non aveva mai voluto prender moglie, per quella certa paura: « ne pelleus capiti moscas in cornibus urtet « (perchè, nello scacciare dal capo le mosche, non avesse a urtar nelle corna; e son questi i modi del Folengo: il comico sta nel ridurre'a una ragione così episodica e tenue un problema domestico alquanto più grave). Le baruffe di Cipada, la tempesta, le danze popolari sono dipinte con un fare largo e sciolto : Iamquc adora t festtim, quo turba [vilana sub ulmo ballat, et ad pivae numerosa Isonàmina balzai... Non è sempre così schietta la visione del Folengo, e non è sempre nitida e piena; s'odono, ora runa ora l'altra, le due voci, di cui egli fa ricordo : n Vox-asini grata est asinis... quamvis frifolet Philomena per umbras » ; ma c'è pure quell'agreste usignuolo che, dalla sua ombra, trilla, gorghegfjia, frìfolat — come esprime assai"hcne il latino, se anche maccheronico, di Merlin Cocaio. Ferdinando Neri

Luoghi citati: Brescia, Haiti, Mantova, Merlino, Padova, Roma, Sicilia