Dove caddero Cecchi e i suoi le pervinche non muoiono più di Renzo Martinelli

Dove caddero Cecchi e i suoi le pervinche non muoiono più La tragica alba del 26 novembre 1896 Dove caddero Cecchi e i suoi le pervinche non muoiono più (DAL NOSTRO INVIATO) MOGADISCIO, novembre. he pervinche più sole e più lontane (la lontananza vera non è mai stata una quistione di miglia) sono quelle che eroicamente, miracolosamente, jioriscono in una breve radura della boscaglia di Lafolè, intorno al cippo e all'ombra d'un antico albero selvaggio che ricordano il massacro della spedizione Cecchi. Ventisei novembre 1896. Sul cippo sono incisi soltanto un nome e una data; sul fusto della pianta, rozzamente, un « billao»: ii pugnale sòmalo. Chi protegge le pervinche? Per arrivare al cippo di Antonio Cecchi (la prima e più importante visita di dovere che ogni italiano dovrebbe compiere al suo arrivo a Mogadiscio) si prende la strada di Afgoi, la bella strada lucida e fuggitiva come una lama in direzione dell'Uebi Scebeli, e ci si ferma al ventesimo chilometro: dove, sul margine della joscaglia, a destra, è un alto palo con la scritta : « Cippo ad Antonio Cecchi ». Bisogna saperlo, però, e non distrarsi con pensieri troppo lontani. La coda dell'occhio potrebbe immaginarsi di aver letto: «.Bandita*. Il tipo del palo e della targa è quello. Forse, varrebbe la pena di differenziarlo un poco. Comincia la pista, che s'allunga e si torce per quasi sei chilometri e che, se non è tempo di pioggie, sopporta e accompagna assai bene le ruote. Tutt'intorno, fitta, massiccia, la tipica, desolata, impietrita, eterna, boscaglia sòmala in cui acacie nane e mimose, cactus e incenso, si mescolano e si avviluppano, e metton fuori unghie e denti, come un corpo solo. Ma l'alba è sorta da poco, il cielo è color di pèsco, l'aria è tutta giovane e ilare dei primi soffi del monsone di terra, sciami d'uccelletti da fàvola d'ogni colore (fiori portati da vento), si levano da quel verde e vi si rituffano come in un lago, dai mille e mille minuscoli crateri di terra macinata di fresco aperti sui bordi della carovaniera s'affacciano, sospettosi e spiritosi, talpe e scoiattoli per vedere chi è, il sòmalo che siede accanto allo autista mi guarda e mi sorride, dai grund'occhi di specchio e dai poderosi denti d'alabastro, con non so quale imiocente voglia di farmi sapere, di ripetermi, di persuadermi, che se anche lui, come mi ha detto, è della cabila, degli Uaddann (gli sgozzatori di Cecchi e dei suoi) è troppo giovane per essere stato vivo a quel tem po, e che di Uaddann ce n'erano, e ne son morti, a centinaia e centinaia tra i « dubat » di Graziani. Ormai, pare mi voglia dire, la boscaglia sòmafa è tutta, per davvero, così com'è apparsa ai miei occhi nuovi stamani: barbara, ma innocente e fidata. Ecce la radura, che si spalanca quasi all'improvviso di là da un groviglio di pruni morti che arieggiano a vecchi, arrugginiti, reticolati di guerra; ed ecco l'albero maledetto e il cippo sacro. M'accosto, mi raccolgo, ripenso a tutto quello che so; e mi provo ad immaginare che cosa dovette essere, quella notte dell'assalto, quella mat'ina dell'assedio, dell'inseguimento, della strage, con le freccie che guizzavano da ogni parte, a sciami anch'esse come fanno ora gli uccelli, e con i cespugli che per un infernale incantesimo diventavano uomini quando si trattava di scannare e d'evirare un caduto, la boscaglia che doveva poi saper custodire, come custodisce, per uno di quei morti, e per tutti quei morti, le più fresche e ridenti pervinche del mondo. Chi le sorveglia f Chi le protegge dai parassiti? Chi dà loro da bere* La risposta è là, sotto l'ombrello d'una mimosa in boccio. C'è un sòmalo con un barile e ■ i ciuco. Tutte le mattine vien qui. Ora s'è appartato perchè ci ha sentito arrivare. E anche lui è della cabila degli Uaddann. La spedizione Antonio Cecchi, che già da tanta romanzesca eroica vita africana era stato assunto nel nòvero • dei più gloriosi e più amati pionieri, ricuopriva in quell'anno la carica di Console d'Italia in Zanzibar e di Commissario Governativo per quel Benadir ufficialmente affidato a una Società Commerciale in seguito ad un accordo intervenuto col Sultano di Zanzibar appunto: che sulla prospiciente costa africana vantava una più o meno effettiva sovranità. Ma dire BesasitcemqugacotrcinonamsptognritecaseficrtadprtogncocauleilnS«mddtosdlelodpEsal'CfegBi icfBmQteccpofsscmqtglLaivcgssurdpsamptBsegtEr a i , a i . o l i l n i o a , è, o e, i n di e li ce o, i. vei a a n gio o o e o, ne ni e ennee e i, enoro to cle en ci ui naro ola nanrnar o o re Benadir non è espressione che possa render chiara l'idea della reale situazione d'allora. Tutto si riduceva, da parte della Società Commerciale Italiana, al possesso, inquieto anzichenò, dei porti di Mogadiscio, Merca, Brava, Uarscek, con un retroterra di dieci chilometri di raggio per i primi tre, e di cinque per l'ultimo. Novembre 1896. Gli amhara erano ancora tutti ebbri della giornata di Adua, e parevano decisamente intenzionati a calare alle spalle delle nostre bandiere sul litorale dell'Oceano Indiano. Bisognava prepararsi a riceverli e a ricacciarli; e il meglio che si poteva fare, dati i tempi, era di cercare solidarietà con le cabile disseminate sulla nostra linea di con. fine. Uno dei Sultani coi quali si credette più urgente tentar di trattare fu quello di Gheledi, subito al di là dell'Uebi Scebeli, e fu per prendere questo contatto che Antonio Cecchi arrivò davanti a Mogadiscio, con la R. Nave « Voltur no », il SS di quel mese. Prima che egli giungesse, il comm. Emilio Dulio, Residente lo cale, aveva tentato di sapere quali umori nutrisse il Sultano di Gheledi e se fosse disposto a ricevere il Cecchi in un giorno da destinarsi. Ma la risposta, non data dal Sultano sibbene da un misterioso « cognato » di lui, era stata delle meno incoraggianti. « Il signorotto di Gheledi è fuori per la raccolta della dura, e bisogna rimettere tutto a fra tre o quattro mesi ». Cecclii ascoltò; ma parti lo stesso. Bisognava, soprattutto, far vedere che non si aveva paura e che le scuse ipocrite si annusavano di lontano un miglio. Così, due giorni dopo, il 25 novembre, alle tre del pomeriggio, dall'alto della Garesa, Emilio Dulio, carico di tristi presentimenti, assistette col binocolo, al defluire della colonna di là dall'ultima duna. Erano con Cecchi il Comandante della R. Nave « Staffetta », Maffei, il comandante Mongiardini, i sottotenenti di vascello Baraldi, Sanfelice, De Cristofaro, i commissari Gasparino e Barone, il guardiamarina Guzolini, il macchinista Olivieri, il fuochista Rolfo, il timoniere Vianello, i marinai Buonasera, Gregante, Caramelli, il medico Smuraglia, e il geometra Quirighetti di Mogadiscio. La scorta era costituita da due « aghida » e da settanta ascari. Il massacro . Fu il mattino seguente, alle sei, che una sòmala arrivata al mercato da un villaggio dell'interno pronunciò per la prima volta, ad orecchi europei, quel nome: Lafolè. Nessuno, fuor degli indigeni, sapeva che in un recesso della boscaglia tra Mogadiscio e Afgoi c'era un nido umano con quel nome. Era lì che, la sera innanzi, quella sòmala, aveva veduto certi bianchi, accompagnati da un gruppo d'ascari, alla ricerca d'un luogo dove poter passar la notte. La località indicata dall'indigena apparve al Residente così lontana, in rapporto all'ora in cui la caro vana era partita, da far credere che tutto fosse proceduto nel migliore dei modi. Se il Console aves se fiutato un qualunque vento d'insìdia avrebbe senza dubbio tenuto un più càuto passo. Ma i ragionamenti ottimisti du rarono poco; troppo poco. Alle dieci arriva, scoppia, in città la prima notizia del massacro. Il Residente non ci vuol credere, e corre al mercato, e corre fuor delle mura, in cerca di qualcuno che possa smentire, che smentisca, il troppo crudele annuncio. Ma a Bab-Aghida-Abod, la porta che s'apre sulla direttrice di Afgoi, ecco venirgli incontro i primi sanguinanti relitti della strage. Sono tre ascari: due feriti, un morente. E dietro di loro due bianchi: il ma rinaio Gregante e il sottocapo timoniere Vianello, il primo illeso ma quasi pazzo, l'altro con una freccia ancora infilata in Un fianco. «E gli altri* E gli altri? E Cecchi? ». Desolati segni di rispo sta vengono dai superstiti. Ed è allora che il Residente ordina che due colpi d'artiglieria siano sparati per richiamar l'attenzione delle navi ancorate al largo, e che s'ammaini la bandiera sull'asta della Garesa. Quelli del mare capiranno che qualcosa di molto grave è successo e verranno a terra. Contemporaneamente, Dulio aduna intorno a sè tutta la poca gente armata e fedele che si trova in città, e manda cento donne, cento nere samaritane, cariche d'otri d'acqua sana se non fresca, sulla strada di Lafolè nella estrema speranza che anpodicovee spnaimsuvosoillMLdYlalipferpml'dtdnl'dmWsrsinnalndddtsvdgtznttprdChrgbglrtctQ e , i e ancora qualche scampato o ferito possa essere in cammino alla volta di Mogadiscio. E lui stesso corre con loro, sotto il sole che fulmina, verso la linea delle dune. Qui, al sommo della collina nuda e calcinata, ecco apparire un altro spettro insanguinato. E' il marinaio Buonasera. Il sangue che gli imbratta viso, mani, vestiti, non è suo: è dei tanti compagni che ha, volta a volta, soccorso e che gli sono spirati tra le braccia. Egli è illeso. «E Cecchi? E Cecchi? ». /I vi o a e a, a o li è a, li è /I marinaio si mette a piangere e si morde te mani. Di li a poco appare Hamed Faya (l'interprete della Residenza che aveva seguito il Console in vista dei colloqui che questi sperava di otere intraprendere col Sultano di Gheledi) e da lui, che è ferito da più d'un colpo di freccia e di punale, si ha la confe definitiva che anche Cecchi è ca ito da leone, e si sa come gli avvenimenti i sono svolti. E' nella notte che i sòmali hanno attaccato il campo, dopo avere ucciso le scòlte che forse erano state vinte dal sonno. Cecchi aveva ordinato di tener duro in quella posizione fino a giorno; e così, infatti, era accaduto. All'alba, era cominciato il ripiegamento. Ma in che condizioni! Troppo buon gioco avevano avuto i sòmali in tutto quel fittume di cui loro soli conoscevano i possibili camminamenti. Cadevano le zagaglie come una pioggia, sempre più vicina man mano che i nostri esaurivano le munizioni. E quando uno si abbatteva c'era subito chi gli balzava addosso per finirlo e straziarlo a colpi di « billao ». « Dietro di te non c'è dunque proprio più nessuno? ». « Nessuno ». L'interprete aveva visto bene. L'orrore e il terrore non lo avevano acciecato. Quando le compagnie di sbarco della « Volturno » e della « Staffetta » arrivarono a terra e raggiunsero il sentiero di quella eroica ritirata non poterono trovare, sopra un percorso di sei chilometri, se non corpi inerti, nudi, mutilati. Dodici bianchi e diciannove ascari. Non è, dunque, in questa radura dove cantan gli uccelli e fioriscono le pervinche che il sacrificio av venne. Qui è soltanto il luogo in cui i sòmali, compiuto il delitto, si radunarono per cantare e scuotere spalle e criniere in onore del vecchio « billao ». La strada della morte e della gloria la cancellaro no le mimose, le acacie, gli incensi, i cactus, dopo che il sacro fuoco della vendetta, incenerendo i villaggi d'intorno, l'ebbe resa inutile, Lafolè, da allora, è tutta in quest'albero truce e in questi fiori ri denti. Renzo Martinelli SctacutSdnesndMllaacnirpf

Luoghi citati: Benadir, Italia, Mogadiscio