Storia del Fascismo di Pini, Bresadola e Giaccherio

Storia del Fascismo di Pini, Bresadola e Giaccherio Storia del Fascismo di Pini, Bresadola e Giaccherio La rso E' un vecchio amico questo libro di Pini, Bresadoia e Giaccherò che oggi si ristampa a dieci anni dalla prima edizione, dopoché tanta storia è passata nella vita d'Italia e uno degli autori è morto per un male di guerra. Un vecchio amico che vedemmo nascere poco a poco fra il novecentoventisei e il novecentoventotto dalla fede e dal grande ingegno di due squadristi; l'uno, Giorgio Pini, oggi capo redattore del giornale del Duce, l'altro, Federico Bresadoia, il nostro Bresadoia, spirato nell'agosto del '34 dopo una lunga malattia contratta in trincea. Questa « Storia del Fascismo » che oggi rivede la luce (Pini, Bresadoia, Giaccherò - Storia del Fascismo Guerra Rivoluzione Impero - Unione Editoriale d'Italia,. Roma L. 25) fece a suo tempo gran rumore negli ambienti della cultura fascista polche fu tra i primissimi lavori del genere apparsi in Italia, fra i pochi esciti sino allora a trattare un così vasto problema, a dire la storia di uomini e di avvenimenti tuttavia operanti e protagonisti della battaglia politica. Il libro ebbe larga diffusione e raccolse vaste simpatie; profondo, sereno, pieno di equilibrio e di misura, si presentò al lettore come una documentazione sicura del decennio più drammatico e glorioso della vita italiana. Tanto è vero che presto l'edizione fu esaurita e Giorgio Pini pensò di ristampare il volume aggiornandolo degli ultimi avvenimenti, e che avvenimenti, maturati sino alla conquista dell'Impero e alla guerra di Spagna. Oggi il volume riappare nutrito di nuovi capitoli e riveduto nel suo assieme nella luce nuova che gli anni irradiano sulle opere storielle; un grosso volume dì seicento pagine che tuttavia si scorre con piacevolezza, che potrà ancora una volta andare incontro al gran pubblico e diffondersi tra le masse con grande vantaggio per la cultura fascista del popolo. Giorgio Pini ricorda nella breve prefazione il camerata scomparso, l'amico fraterno che fu tanta parte nell'ardua fatica. La prima edizione di questa cronistoria del Fascismo, egli dice, risale a dieci anni or sono ed è esaurita. Perciò l'editore ha ritenuto opportuno provvedere alla seconda, naturalmente aggiornata fino alla conquista dell'Impero, ossia fino alla compiuta realizzazione del grande evento che la nostra fede aveva previsto. Qui desidero sopratutto rendere affettuoso omaggio alla cara memoria di Federico Bresadoia, l'amico scomparso il 18 agosto 1934, sei anni dopo la comune fatica, per malattia contratta al fronte. Federico Bresadoia era un giovane alto, solido, fervido di sentimenti, tenace nel lavoro.. Benché avesse vissuta una adolescenza solitaria, non si era chiuso in se stesso, anzi amava la polemica per la sua fede attiva.' Trascorse la vita in diverse città e attraverso svariate esperienze successive che avevano fatto di lui un italiano èsenteTda ogni marchio campanilistico. Il temperamento suo era di montanaro schietto e generoso, poiché discendeva da famiglia trentina. Di cuore era emiliano: un fuoco ardente traluceva, come in tutti i buoni, nella dolcezza degli occhi che aveva azzurri. Era un signore, incapace di invidie e di calcoli meschini; nutriva sane ambizioni ispirate dalla nobiltà di una coscienza incorruttibile. Il suo « curriculum » si identifica con quello dei migliori coetanei che hanno vissuto per la fede comune. Era nato a Vicofertile presso San Pancrazio di Parma il 15 agosto 1897. Studiò prima nel collegio « Maria Luigia », poi al ginnasio-liceo di Parma, finalmente al Politecnico di Torino e in Torino si stabili dopo certe parentesi bolognesi e napoletane, quando, per autentica vocazione, bì diede al giornalismo. .Vocazione politica pura, non avvocatesca, già albeggiante nel suo spirito dal giorno in cui era partito, volontario, semplice alpino, per la grande guerra. Ripensando all'amicu morto a 37 anni, ho cercato nella memoria la data del nostro primo incontrò 0 almeno l'immagine: ma ambedue sono sperse nella confusa vicenda degli anni dello squadrismo bolognese. Squadrismo di manganello e di penna. In quel tempo la legge del « libro e moschetto > fu da noi applicata avanti lettera. Reduci da spedizioni spesso cruente, ci rifugiavamo negli stanzini dell'* Assalto », non per raccontarci le gesta compiute, ma per continuarle in nero su bianco o per chiarire a noi stessi e ai camerati i motivi ideali dell'azione comune. Bresadoia, fra tutti noi, era il più serio, il più studioso (si occupava di sindacalismo e di politica estera), e il più soldato. Le sue idee riflettevano una mentalità positiva rafforzata dagli studi ingegnereschi ma esaltata da un senso mistico della disciplina. Era militarista. Ho trovato negli archivi del Popolo d'Italia una scheda biografica da lui riempita per invito del giornale con questi brevi appunti: « Sono stato tre anni alpino in fuerra, e non mi son più risentito orghese del tutto. Ho tenuto e tengo le fiamme verdi (e le stellette) nell'animo, e mi sento un po' sempre in licenza. Perchè essere alpini vuol dire imparare non solo la disciplina, ma il buon senso, la calma, la serenità in ogni circostanza, la conoscenza del mondo. E saper tener duro! ». «Volontario (soldato) negli alpini, poi ufficiale fino a tenente (8.o, 7.0, 6.0 Regg.). Carnia, Pasubio, Vallarsa, Bainsizza, Val Posina, Monte Grappa... ». Come soldato aveva del piemontese, come alpino era un appassionato sportivo, organizzatore competente di gare sciistiche. Ancora, nella scheda biografica, trovo scritto di suo pugno: « Invalido di guerra, che ne tornai con 1 polmoni malconci, e speriamo di tirare avanti lo stesso!». Sdegnò fino all'ultimo di parlarmi della sua malattia. Appena qualche accenno vago fra l'uno e l'altro proposito di lavoro. Dignitosa e fiduciosa sofferenza fu la sua, finché un giorno dell'estate del 1934, reduce dall'ultima gara alpina, declinò improvvisamente. Da ragazzo si era iscritto nel fruppo nazionalista di Roma; nel 919, reduce dalla guerra, subito dopo l'adunata dì piazza San Sepolcro, passò nel Fascio torinese al fianco di Mario Gìoda. Parecchi giornali avevano apprezzato la sua collaborazione. Assolutamente schivo di onori e di compromessi, custodì severamente la sua sincerità di giudizio ger servire la sua fede con insu¬ pgmvcdlfztfr1fmtmuaGstpnrQs perabile purezza. Odiava i demagoghi e i concionatori. Benché fermissimo e ardente nelle sue convinzioni, fu un tìmido senza recondite presunzioni. Se il male fisico tradì la sua fiducia nella vita, il destino d'Italia non ha tradito il suo sogno che fu quello dell'Impero. L'onestà assoluta della coscienza lo fece sempre sereno. Una volta sola io lo sentii ansioso al mio fianco, e fu nell'attesa di essere ricevuto da Mussolini, al Viminae un giorno del 1928. Fu quella 1 unica volta che egli si trovò di fronte al Duce. Ma 11 Duce lo misurò perfettamente, e alla morte di Bresadoia telegrafò dal campo delle grandi manovre l'elogio più alto: «Era un anima di perfetto fascista ». Un terzo noma s'aggiunge oggi a quelli di Bresadoia e di Pini: Giulio Giaccherò, che con lo stesso studio e la stessa fede ha sostituito il camerata scomparso, apportando alia nuova fatica il beneficio d'una seria e vasta preparazione culturale. a. a. tgsLn2tcaccnsmum«eforfsStcspvu