CRONACHE del TEATRO e della RADIO

CRONACHE del TEATRO e della RADIO CRONACHE del TEATRO e della RADIO Gli ammaestramenti di uno spettacolo -- Nazionalismo teatrale e necessità di una Compagnia di Stato - Brahms e il coro dell'UER. La rappresentazione della Francesca da Rimini di Gabriele d'Annunzio al teatro Argentina di ino]mai in occasione detl'inaugurazio- ne dell'anno teatrale, è stato un avvenimento ricco di ammaestramenti. Cinque recite, cinque esauriti. Con prezzi popolari, da una lira a dieci lire, sono state incassate 70.000 lire: dodicimila lire di media per sera! Centinaia di persone sono state rimandate tutte le sere. Un giornale riferisce che qualcuno, all'ultima replica, presentatosi al botteghino nel pomeriggio per acquistare i biglietti per la sera, e,sentendosi rispondere che non c'erano più posti, esclamasse: « sono cinque anni che non andiamo a teatro, e non ci fate entrare! ». Ci'vogliono ancora prove per dimostrare quello che da anni andiamo sostenendo, settimana per settimana, con una insistenza dettata dalla passione che può esser sembrata magari monotona e noiosa, che il popolo cioè ama il teatro, e che è il teatro invece che continua a resistere e a straniarsi dalla vita del popolo t Ci vogliono ancora prove per dimostrare che basta allestire un ottimo spettacolo, e fissare prezzi accessibili a tutte le borse, perchè i teatri si affollino come gli stadi, e il popolo si goda le sue ore di evasione e di gioia, sereno e felice della spirituale conquista T Non ci possono esser più dubbi: l'esperimento di Roma è decisivo. Date agli italiani magnifici spettacoli a prezzi ragionevoli e non sentiremo più crisi del teatro- E' stato che in Italia, senza ricorrere snobisticamente, e stupidamente, ai... maestri stranieri, ci sono uomini capaci di presentare al pubblico spettacoli da far invidia a chiunque, spettacoli spiritualmente intonati al gusto allo stile alla sensibilità degli italiani, spettacoli affascinanti, di immediata comunicativa e dì chiara risonanza. E' tempo perciò di liberarci di tutte le soprastrutture, di tutto l'orpello, di tutte le fissazio ni che intralciano ancora il cam , a r o : i e e , e a o e o o l n o e i , ?nino del teatro italiano, e proclamare a voce forte perchè tutti, tutti intendano, che non abbiamo bi sogno di nessuno, nè dei russi, né dei francesi, nè degli esquimesi, che rifiutiamo e rigettiamo e non vogliamo più saperne della giudai ca influenza dell'espressionismo teatrale come lo intendono i registi di balletti russi o quelli ancora più analitici e meticolosi della compagnia « Ohel » di Palestina: abbiamo una verità nostra, solare mediterranea attivissima e convincente da affermare e imporre, ima sintesi italiana che possiamo chiamare classica, uno stile italiano rispondente e aderente alla natura e al sentimento del popolo italiano. Non abbiamo bisogno di nessuno. Lo vogliono o non lo vogliono capire gli scrittori, i registi, gli attori italiani? Abbiamo tanto ingegno e tanta sensibilità in casa nostra che possiamo guardare chiunque, gli occhi negli occhi, senza sentirci nè sopraffatti nè umiliati. Soltanto bisogna far le cose seriamente. Il tempo del dilettantismo è passato e non deve nè perpetuarsi nè riprendersi. Anton Giulio Bragaglia, se non si tinge, deve avere qualche capello bianco. I tempi, gloriosi tempi del resto, delle esperienze sotterranee di via degli Avignonesi, delle esperienze di fortuna, in cui la latta di petrolio o quattro asse mal connesse assurgevano ai fastigi della più accorta tecnica moderna, sono tramontati per sempre. Abbiamo visto che cosa sappiamo costruire, che armonie sappiamo creare, come sappiamo parlare alla fantasia, come sappiamo esprimere la poesia. In un'epoca di generale smarrimento abbiamo volontariamente abdicato, senza che nessuno ci forzasse, e ci siamo inchinati con re verenziale tremore dinanzi a tutte le importazioni straniere tentando di spiegarcele e di spiegarle esaltandole, per non far la figura di codini non aggiornati. Ci siamo riempiti la testa di teatro di Meiningen, di Brahms, di Reinhardt, di Stanisìawski, di Dàncenko, di Tairoff, di Graig, di Copeau, e tutti lì a esclamare: ah! senza nemmeno attentarci a guardare in noi stessi per comprendere gli ammaestramenti di carattere generale che potevamo trarre da quelle esperienze in armonia col nostro pensare, col nostro sentire, col nostro esprimere. I nostri gloriosi comici dell'arte, che furono maestri, andavano a lezione dai mimi e dagli strateghi della moderna teatralità, senza apprendervi sostanzialmente nulla, e senza riuscire mai a creare quello « spettacolo » che gli stranieri invece realizzavano, a loro modo, con evidente fortuna. Ora, da qualche tempo, in virtù di alcuni provvedimenti di igiene nazionale, e di carattere autarchico, andiamo constatando che lo « spettacolo » lo sappiamo fare anche noi; che, anzi, quando lo facciamo noi, lo facciamo còme deve esser fatto per interessare e commuovere il pubblico italiano. Questa Francesca ne è un esempio convincentissimo: è il trionfo dell'intelligenza e della passione. La conseguenza che sórgi spontanea dal successo della Francesca è questa: è necessario costituire al più presto, se non un teatro di Stato, una compagnia di Stato. La sovvenzione alle compagnie di giro può essere stata una necessità di carattere' più sociale che artistico, in un momento particolarmente critico, non può essere un sistema. Difatti ha avuto, fin dalle origini, carattere transitorio. Se il denato dello Stato dev'esser speso per scopi artistici, per il teatro cioè, e non per i teatranti, è necessario che sia utilmente impiegato ai fini dell'arte. Bisogna assicurarsi cioè che ci sia qualcuno che faccia ve¬ rlndbsdNcrgadlbzfmsgltdlrciicvmssnpuntsgmlos ramente l'arte.. Ora, allo stato dele cose, le nostre compagnie hanno prevalentemente carattere industriale. Una compagnia che abbia carattere assolutamente artistico dev'essere liberata dal gioco delle oscillazioni dei bordereaux. Non perchè noi pensiamo che una compagnia siffatta debba costituire un oneroso passivo per chi voglia tentarne la costituzione, che, anzi, siamo fermamente convinti del contrario, ma perchè, per far e cose seriamente e per bene, non bisogna aver preoccupazioni finanziarie. Questa compagnia non può farla che lo Stato. Domicilio: Roma - Teatro Argentina. Cinque spettacoli all'anno, affidati alla regìa di uomini di riconosciuto vaore: tre mesi di stagione, in due turni, allo stesso teatro; il resto dell'anno teatrale in giro per l'Itaia, con qualche capatina all'estero, che le ambizioni non ci mancano... Prezzi dei biglietti da una ira a dieci lire. Un preventivo è facile farlo. Diciamocelo in un orecchio: non è vero che lo Stato spenderebbe di meno di quel che non spenda adesso senza frutti evidenti? Perchè, se la matematica non è un'opinióne, e-facendo i conti all'ingrosso, per otto mesi di esercizio, con un milione e mezzo di foglio paga e un milione per la realizzazione scenica dei cinque lavori — è un po' troppo, no? — e mezzo milione di spese generali — troppo, troppo! arriviamo ai tre milioni. Vogliamo calcolare che spettacoli simili a prezzi variabili da una lira a dieci lire non diano dodicimila lire di media, e nemmeno dieci; ma otto: avremo due milioni d'incassi. Un milione di deficit? Meno, molto meno: con un'amministrazione avveduta si potrebbe ridurre della metà, e forse più, e, chi sa? raggiungere il pareggio... Perchè una simile impresa non dovrebbe dunque essere tentata? Non c'è altro mezzo per elevare il tono e la dignità del nostro teatro di prosa. Un teatro stabile in Italia sarà un problema molto grosso da risolvere — bisognerebbe farlo con altri criteri, e cominciare col costruire un teatro; e poi esso non potrà mai essere veramente stabile, nel senso proprio della parola e tradizionale dell'i-' stituzione —; una compagnia di Stato, domiciliata a Roma, ma compagnia di giro, intelligentemente diretta e saggiamente ammìnistràta, può meglio assolvere il suo compito, fucina e scuola, depositaria e dxvulgatrice dello spirito del costume dello stile del teatro nazionale. L'incertezza, il disagio, la contrarietà che si riscontrano quest'anno nella formazione delle compagnie — l'anno teatrale è già iniziato e non si sa ancora con precisione se tante delle compagnie annunziate reciteranno o meno —, l'assenza di un forte lotto di migliori dalle scene, e l'inizio poco promettente di alcuni dei complessi già in attività, non sono sintomi incoraggianti. A farci respirare è venuto lo spettacolo dell'Argentina. Perchè non trarne le logiche conseguenze, se non quest'anno, almeno l'anno venturo? L'annunziata compagnia Norma Gregór-Renato Cialente non si farà più- Non si sa bene se si faranno o comunque quando inaleranno la: loro attività le progettate formazioni Merlinl-Rufflnl, Borboni-Clmara, Capodagllo-Tumiati, Betrone-Cellini-Biliotti. Non reciteranno per quest'anno: Emma Gramatica, Evi Maltagliati, Margherita Bagni, Armando Falconi, Lamberto Picasso, Sergio Tofano, Aristide Baghetti, Filippo Scelzo, Pilotto, Porelli e Viarisio. La comDagnla De Sica-Rissone-Melnatl debutterà il 10 gennaio a Bolzano; quella di Ruggero RuggeriIrma Gramatica debutterà a Roma il 25'gennaio. Come si vede, c'è poco da stare allegri... Altoparlante La sera del i novembre la radio ci ha trasmesso « Ein deutsche Requiem » di Brahms. Una formidabile composizione, che, se l'avesse conosciuta Schumann che di Brahms preannunziò il genio e lo predisse «scopritore dei segreti del mondo degli spiriti-paesaggi », avrebbe gridato al miracolo. Non staremo qui noi a... scoprire il Requiem di Brahms; ci basta rilevare le enormi difficoltà vocali della partitura per tributare un vivo elogio al coro dell' E.I.A.R. che tutte le ha superate con bello ardire e con perfetta espressività, dimostrando a quale grado di perfezione è pervenuto e quali e quante possibilità possiede già per cimentarsi nell'interpretazione delle più complesse composizioni. Il maestro Achille Consoli può essere veramene lieto del successo ottenuto, e dell'amorosa fatica che ha dovuto compiere per chiarire l'intricato ricamo e metterne in rilievo }e minute bellezze. Un'impresa bella e rischiosa che fa onore al valoroso maestro, e alla radio italiana. Dobbiamo associai'e al Consoli il maestro La Rosa Parodi che ha diretto l'esecuzione con corretto e misuralo stile. Ma, visto e considerato che il coro dell' E.I.A.R. può misurarsi con opere di alto respiro, perchè esso non si accinge a far conoscere agli italiani qualcosa del ricchissimo patrimonio italiano di musica corale, a torto trascurato? Per citare il primo che ci viene alla memoria, Pietro Raimondi scrìsse otto oratori, tra i quali uno intitolato * Giuseppe », che, dal punto di vista della fattura, non ha nulla da invidiare a nessuno, un credo a 16 voci, e persino una fuga a £4 voci, che costituirebbero certamente una gustosa ghiottoneria per gl'intenditori, e una simpatica curiosità per i dilettanti... Ma quanta quanta bella roba ci sarebbe da portare al microfono, invece di star lì a sciupar l'ebistenza con i soliti cinquanta pesti in cui si esercitano tutti i direttori d'orchestra di tutte le parti ul mondo!..,

Luoghi citati: Argentina, Bolzano, Italia, Palestina, Rimini, Roma