LA "FRANCESCA" di d'Annunzio inaugura a Roma L'anno teatrale

LA "FRANCESCA" di d'Annunzio inaugura a Roma L'anno teatrale LA "FRANCESCA" di d'Annunzio inaugura a Roma L'anno teatrale Roma, 29 ottobre. L'anno teatrale dell'anno XVII è stato inaugurato stasera, al Teatro Argentina, con la Francesca da .Rimini di Gabriele d'Annunzio, omaggio reverente alla memoria del Poeta e dell'Eroe recentemente scomparso. Una celebrazione, che è stata, nello stesso tempo, esaltazione del Grande Soldato che amò e servi disperatamente la Patria, e del glorioso artiere che instancabilmente operò nel nome e per la gloria di Italia. Doveva toccare a Renato Simoni, dopo trentasei anni, ricreare e ripresentare a un pubblico nuovo e diverso quella « sosta » del grande Poeta. E diciamo subito che la fatica dell'illustre critico, trasformatosi in regista, come gli accade felicemente da qualche tempo, è stata dura. Egli, affondando le mani in tutto quell'oro, ha cercato di sceverare e raccogliere l'essenziale, di conferire un tono e una consistenza umani ai vari personaggi, tentando di chiarirli e di esprimerli attraverso una recitazione che ricerca e prospetta le intenzioni, e sorvola sulla parola o sull'immagine, ha snidato dove ha potuto la vita e ha finto di non vedere dove ha creduto che la trasfigurazione della vita più che giovare nuocesse alla vita stessa. Con quali risultati? Niente da fare dal punto di vista della sostanza teatrale. Paolo e Francesca sono personaggi costituzionalmente inconsistenti, restii a ogni cura, inguaribili. L'ascoltatore non ha alternative: o si abbandona alla malia del lirismo — e in tutto il terzo atto la melodia è cosi bella, varia e ariosa e agilmente contrappuntata che l'incanto è agevole — o è perduto. Gli tocca attendere il quarto atto, la scena della rivelazione tra Gianciotto e Malatestino, in cui il diverso tormento di due cuori fratelli si aggroviglia audacemente e terribilmente, e si lega e si salda nel tragico caino nodo della vendetta per gridare al miracolo. Per quella scena, noi teatranti siamo in ginocchio dinanzi al maestro a chiedergli perdono di ogni dubbio e di ogni riserva. E diciamo subito che tra gli interpreti di questa edizione romana, merita un posto d'onore Sandro Ruffini che a Gianciotto ha dato volto e animo, contenutezza e espressione, in misura cosi perfetta e felice e cosi intelligentemente sorvegliata e nel sospetto e nel dubbio e nella certezza e nella finzione, da farci consi derare questa sua interpretazione tra le più significative della sua carriera d'arte. Accanto al Ruffini, meritata mente e particolarmente applau dito e festeggiato, il giovanissimo Aroldó Tieri, ancor fresco degli studi compiuti alla R. Accademia d'Arte drammatica, ha composto un Malatestino tutto posseduto e sopraffatto dall'ardore del giovane sangue che lo fa avido e crudele: una recluta alla quale è facile predire un brillante avvenire. Andreina Pagnani, che era Francesca, dove ha potuto, ha riempito di schiettezza le pause della ricca, onerosa, affaticante sua parte. Essa ha combattuto e vinto dove meno ce l'aspettavamo, nella scena col « mercante » al terzo atto, in cui il suo amore, la sua femminilità, il suo segreto tormento, hanno avuto illuminazioni e bagliori umanissimi, e nella lotta tra il desiderio e il presagio, all'ultimo atto, prima dell'entrata di Paolo in cui sensi e sentimenti sono apparsi prepotenti sulla schiuma delle parole. Filippo Scelzo, alle prese con l'ingrata parte di Paoloi' stat° costretto a sciupare l'uni . ., j,ca occasione che gli era offerta di distinguersi, da un errore di regìa. AU'ultim'atto la scena d'amore avviene in fondo, su un letto bassoMa ad un certo punto, Francescache è turbata dall'oscura, angosciosa minaccia, vuol distogliere Paolo dal prepotere dei sensi che già tumultuano nella carne accesa e lo invita a rileggere la storia di Lancillotto. Paolo, che è già una fiamma, ed è in ginocchio dinanzi a Francesca, propone invece di chiudere il libro. Difatti si alzaviene nel mezzo della scena, chiude il libro che è sul leggio. Potorna a Francesca e riprende l'ardente dialogo. Oh, no; non è affatto necessario che il libro sia materialmente chiuso. Quell'azione accessoria spezza in due l'azione principale, la sfianca e l'affloscia Se per scrupolo si vuol chiudere il libro, ammesso che il gesto abbia un significato simbolico, allora l'azione deve avvenire nello stesso posto in cui è avvenuta quella rispettiva del terzo atto se no, era meglio rinunciare; ne avrebbe guadagnato, in linea e vi brazione, il crescendo emozionale della fremente scena che avrebbe offerto allo Scelzo l'occasione per distinguersi. Gli altri interpreti, il Coop, festoso Giullare, il Ninchi, torbido Ostasio, il Mastrantoni, eloquente Mercante, 11 Gizzi, lo Scandurra, il Cristina, il Cerlesl, Lina Tricerri, che era la Schiava e Nella Maria Bonora, la Samaritana, insieme al gruppo delle ancelle, hanno efficacemente contribuito alla creazione di una serie di affreschi a cui le scene e l'arredamento hanno conferito' un tono ed una dignità eccezionali. Una vera gioia degli occhi. Specialmente le scene del primo e del terzo atto, eseguite da Oliviero Olivieri su bozzetti di Virgilio Marchi, sono tra le cose più belle che si siano viste in teatro, in questi ultimi tempi. C'era un grosso problema da risolvere: quello della battaglia, al secondo atto. Poiché nelle precedenti edizioni si è constatato che a causa dei rumori e delle grida, il dialogo tra Paolo e Francesca, che avviene in primo piano, non riusciva a giungere al pubblico, si è pensato di spezzare la battaglia in tre pezzi e alternare il dialogo tra i due protagonisti e il fracasso della pugna. L'esperimento è riuscito? Non ci sembra. Ci vor rebbe uno sfondo di palcoscenico tre volte quello dell'Argentina, e slargare e arretrare la costruzio ne del castello per realizzare le intenzioni del poeta. Che se il dia' logo di Paolo e Francesca è essenziale, e non c'è dubbio che lo sia, è logico che lo spettatore debba poterlo capire. E allora è necessario arretrare il più possibile le voci dei balestrieri e il frastuono della battaglia. Ma sopprìmere non si possono, senza rompere e disperdere l'atmosfera che si vuole e si deve creare. Il sistema adottato non risolve, dunque, il problema, anzi lo aggrava, perchè interrompe a più riprese quell'elemento emozionale che conferisce sapore e interesse al clima dell'azione. Nonostante tutte le difficoltà, lo spettacolo è di quelli che sì fanno vedere e ascoltare. Sarà la poesia, sarà l'Intelligenza, sarà la gioia di intrasentire un gigante, l'orgoglio del sangue, l'ammirazione per il meraviglioso artefice, l'alala che ti urge nel cuore per il superbo Eroe, certo è che lo spettatore entra nel cerchio magico e vi rimane deliziosamente impigliato fino alla fine. E non è questo il segno di una misteriosa potenza occulta che domina e avvince l'animo? il misterioso segno della poesia e della bellezza? Chi non ha sentito stasera che, al di là e al di sopra dei pregi e dei difetti del dramma, era presente, e operante in mezzo a noi un grande Spirito italiano, un magnifico signore del pensiero e della forma, Uno di quelli che non morranno mai? Il grande pubblico della Capitale — tutto il mondo politico e intellettuale: ministri, senatori, deputati, gerarchi, accademici, scrittori, professionisti, fra i quali si notavano S. E. Alfieri, S. E. Federzoni, S. E. Teruzzi, S. E. Buffarmi, S. E. Russo, S. E. Presti Prefetto di Roma ed il Federale dell'Urbe — ha ascoltato con reverenziale emozione la smagliante opera del Poeta, ed ha salutato con impetuoso fervore la fine di ogni atto ed ha chiamato alla ribalta gli artisti cinque o sei volte alla fine dei primi due atti, e con maggiore insistenza al terzo ed al quarto atto, ed alla fine dello spet tacolo. Santi Savarino fg

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