Da cosa nasce cosa

Da cosa nasce cosa Da cosa nasce cosa L& moglie del Guala era venu-ta per parlare con lei, propriocon là mamma del signor Giù- lio. Suo marito aveva tanto bi-lBogno di lavorare, un bravo. fa-ilegname, onesto come non c era il compagno; se il signor Giulio, che era nella gran fabbrica, avesse voluto... E la signora Ferrerò si era sùbito commossa, ancora ricordandosi di quando il Guala le aveva incollato una sedia, e non aveva voluto nemmeno un centesimo. Ma il figlio, la sera, si pose a sbuffare. Si starebbe freschi, se si dovesse... Allo stabilimento; poi, era l'ultima ruota del car ro; elo ripeteva perchè la ma-dre gli dicesse'che non era vero, non l'avevano forse quella volta mandato a Palermo? Alla fine ebbe, sospirando, un vedremo ;.e quando usci, appena rispose al saluto del Guala, in attesa sulla soglia della bottega. *** Alle Acciaierie il Ferrerò era impiegato all'Ufficio P (stampapropaganda-pubblicità); ed era la vittima dello Sgrò, capo di quell'ufficio. Per }o Sgrò, la musica era la passione sua; ma anche la pubblicità era un'arte, lui la a sentiva »; era peroiò quasi sempre aggrottato, e quasi sempre urlava fin dal mattino. Per la prossima Fiera aveva ideato un padiglione dalla sàgoma di un enorme maglio, gliene erano appena giunti i bozzetti; ma già sbraitava che erano porcherie, dai disegni non si capisce mai niente. — Voglio un modello, sùbito, per lunedì ! Ferrerò ! O dove s'è cacciato ? ! E quello a sbucare di dietro ,. una catasta di cataloghi, e dirgli di star, stranquillo, si metteva persino una mano sul petto. Era sabato, la falegnameria dello sta-bihmento sarebbe rimasta chiusa fino al lunedi; ma conosceva lui un bravuomo, onesto.... E non•appena rincasato disse allamadre : — Vuoi far chiamare il Guala? Avrei qualcosa per lui. La buona donna ne fu tutta contenta. L'altro si fece attendere, aveva voluto infilarsi l'»-bito delle domeniche. Entrò un po' di sbieco; e diceva sì sì sì al signor Giulio, che l'aveva accoltobuttandosi all'indietro sulla se- dia, come con lui faceva lo Sgrò quand'era in vena Al vedere quel disegno grande così, il povero falegname credette di dover costruire tutto il padiglione ; e. lì per lì ne fu atterrito. Ma quando comprese trattarsi soltanto d'un modellino, cinquanta centimetri per quaranta per trenta, un teatrino, un giocattolo : guarda un po', queste grandi fàbbriche, che cosa vanno a pensare. E aveva tanto sognato una fornitura di cento ■gabelli. Pazienza, da cosa nasce cosa, tutto sta nel cominciare. Lunedì avrebbe tagliato i pezzi, martedì... Ma quello, scontento, diceva di no. Domani, sùbito. E tornando a buttarsi all'indietro sulla seggiola: voleva forse, alle Acciaierie, far aspettare i suoi comodi? L'altro, da quella parola, fu come schiacciato. Se' le vedeva . dinanzi, ' le Acciaierie, mura ferrigne, fumaioli sbuffan-ti, stridori e boati, ùluli di millesirene: no, in coscienza, nonavrebbe potuto farle aspettare, E ancora gli giunse un «Mi rac-comando, non voglio aver dispia-La mattina, erano appena leotto, se lo vide in bottega. Ecco, aveva fatto bene a venire noncapiva dove sarebbero andati i burattini. Quello, macche burat-tini, aveva ricominciato a spie- gare, schizzinoso del banco per il suo soprabito ; a mezzogiorno riapparve ; alle due, prima di andare alla partita di calcio, ri- tornò; alle sette, un'ultima oc-chiata. (Se fosse stato direttore generale, come avrebbe saputo e:\ • ? farli filare, i suoi dipendenti) Il Guala amise verso la mezza notte, caricò la sveglia per le sei, alle otto sarebbe stato tutto fi-nito; e la moglie,' intanto, lo consigliava di non far prezzi. Se per quel presepio ovesse dovuto mettere in conto ogni cosa, le- gno viti colla, e tutte le ore didiscussione, l'avrebbero potutocredere un esoso. In settimana gli avrebbero certo dato qualche altro lavoro, magari un armadio;da cosa na^ce cosa, anche quel brutto momento sarebbe passato. #** Alle otto di ogni lunedì il Fer-rero sbadigliava truce, assonna-to. Diede appena un'occhiata altrabiccolo, volle soltanto un pac-co un po' ben fatto, s'indispetti va per quel grosso spago. Alle otto e trenta di ogni lunedì lo Sgrò sbadigliava truce, assonnato. Guardò torvo giungere quel-l'altro, che prima ancora di to-gliersi il cappotto badava a di-stricare cartaccia dal grossolanoinvolto, e a scusarsi, non era fa-cile, la domenica, trovare chi fos-se disposto... Lo Sgrò s'attende-va ormai un orrore, eragià pron-to a inveire. Trovò, invece, cheandava benissimo. Lo fece met-tere in un canto, se lo tornava aguardare, tutto contento. Fi-schiettava celeste Aida, dimenali-do il capo nell'acuto, - quandod'un tratto urlò che per la Fie-ra aveva cambiato idea, il maglionon lo sentiva più. Voleva unpadiglione dalla sàgoma di unaincudine, fare altri bozzetti cosìe così, darli alla falegnameriaper un altro modello. Per quepoveretto, preparare il solito ap-punto #*# Il solito appunto era per imbdulo F II mòdulo F era peril mòdulo S. E il mòdulo S eraper il mandato di pagamentoNon usciva dalle casse delle Acciaierie un centesimo senza chemòdulo F mòdulo S e mandatonon fossero vistati da una B copiativa del ragionier Bossi, direttore amministrativo. Unarossa B assolve- x; e un'azzurraB, intimava, di riferire, a lui personalmente, con ordinazioni e contratti, lettere e appunti. Il ragionier Bossi trascorreva così dieci ore ogni giorno, comprese |6 domeniche, a- rigirarsi fra le dita un lapis rosso e un lapis azzurro- Da vent'anni tutto vista va> ^e trecentomila e le trenta; quando non vistava, udiva riferire;.e. dopo aver udito, voleva cke si tornasse un'altra volta ariferire. Così tutti lo chiamavano il colosso delle Acciaierie, Intestato da uria dattilografa un foglietto (mòdulo N) il Ferrerò osò chiedere, dato che lo Sgrò era" in vena : — Quanto mettiamo? L'altro era davvero coutente Anche il secondo modello, che lì per lì gli era tanto piaciuto, non lo sentiva più; e proprio allora gli era venuta una bellissima idea, dare al padiglione cento lire La sera stessa il Ferrerò, lieto come di una sua vittoria, annunciò alla madre che a quel poveretto avrebbero dato un bigliettone. La buona donna non si trattenne dal dirlo, ma in confidenza, allaRoma ^ un maglio, come prima, !"a affatto diversa. Fischiettò amami Alfredo ; e ràpido stabilì : moglie del Guala; che si fece tutto rosso, gli occhi lucenti. E' inutile, chi non vuole annegare, nel mare grande deve finire. Da cosa nasce cosa ; e se riusciva, a infilarsi là dentro, quattro garzoni in bottega, voleva avere, e in tre mesi. Aspettò sulla soglia il signor Giulio, per fargli un bel saluto; e la mattina stupì la portinaia chiedendole se ci fosse posta per lui. Diavolo, il vaglia sarebbe certo arrivato al pomeriggio. **# Erano proprio le quattro del pomeriggio, quando i postini ancora una volta si trascinano sotto le loro borse rigonfie ; e il ragionier Bossi, giunto a quel mandato, Modello . Fiera L. 100, fece mia R più risoluta del solito ; e si pose ad esaminare lire duecentonovantamila, nuovi circuiti forni elettrici. Lo Sgrò, chiamato a riferire, scosse ii capo con un sorriso, una sciocchezza. Il ragioniere, pacato, diceva che non era, una sciocchezza ; ma una questione di principio. Avevano o non avevano la loro falegnameria? Guai, se si potesse ricorrere leggermente a fornitori privati. E poi, c'era sta¬ ta un'ordinazione scritta? Chi l'aveva firmata? L'altro borbottava, l'incarico se l'era preso un impipgato, il Ferrerò. Il ragioniere non aveva mai fretta ; disse perciò soltanto che gli si mandasse il Ferrerò. Il poveraccio s'avanzò tremando, su quei tappeti. Lui, la Direzione Generale, l'aveva sempre vista soltanto dalle scale. Guarda un po', per far del bene al prossimo, a quali guai andava incontro. Dovette spiegare, rispiegare ; fin quando quel cranio lucido s'alzò : — Io, questo mandato, non lo visterò mai. E vi serva di norma. In ogni modo, settantacinque potrebbero bastare. Cancellava il 100 con due calmi trattini paralleli, gli scriverà di fianco un 75, che poi ancora sottolineò, con due altri trattini paralleli. — Pagatelo con il fondo delle a Varie», che anche il vostro ufficio ha disponibile. Io non voglio, non posso saperne niente. Andate pure. Il Ferrerò si ritrovò nel corridoio, un ronzìo alle tempie. Alla prima occasione, l'avrebbero licenziato. Sono sempre gli strac¬ ci piccoli, quelli che ballano. Doveva avere un po' di febbre. Urtò un fattorino, si rifugiò nel lavabo. Da uno specchio lo fissò un volto terreo. E quando fu di nuovo nel suo ufficio — lo Sgrò sbraitava con chissà chi — s'avvicinò alla dattilografa, le passò quelle scartoffie, ne ebbe una ricevuta provvisoria, un biglietto da cinquanta, quattro monete da cinque ; e il resto in nichelini, che scappavano per tutte le parti. Sua madre, a quello sfogo, a quelle invettive, diceva soltanto Gesùsmaria. Volle poi che il figlio si coricasse, gli fece prendere _ un po' d'aspirina, un bicchiere di vin caldo; e ancora lo rassicurò, al Guala avrebbe fiensato lei. Trasse dal canterano a borsetta, vi pose quelle venticinque lire, aveva proprio bisogno d'ini po' di spiccioli ; e cavò un biglietto da cinquanta, lo unì all'altro delle Acciaierie. Pazienza, per quel mese non sarebbe andata al cinematografo; e, tenendosi alla ringhiera, cominciò a scendere le scale. Mario Cromo

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