Senz'aiuto di Enrico Emanuelli

Senz'aiuto Senz'aiuto T , ., , . ime avevano detto « al secondo piano, sta lì il dottore b. Sullescale si fermò ancora una volta, quasi qualche scrupolo fosse sor- appn^^l-?.T,^''Ìai ma P0Ì SÌffl?n! J^ * V3gaia" gnazione ed una angoscia che non riusciva a mascherare, dava-no alla sua voce ed ai suoi gesti quello che poteva sembrare inde- cisione. Allora cercò di controllarsi, e cominciò subito con il dire ■un nbuon giorno» cordiale alla donna che le aprì l'uscio. « Vor rei parlare al dottore » disse sot- tovoce sperando di farsi amica la donna dal càmice bianco, o II dottore non riceve nel pomeriggio » rispose l'infermiera con tono ostile, a Lo so, lo so » ella riprese a dire affannata. « Sono venuta apposta nel pomeriggio. Dite che c'è la signorina FloraGalli », e sorrise, percke il suonome la impacciava sempre un poco. L'infermiera se ne andò via disattenta e pigra, quasi l'avesse dimenticata; ma quando tornò nel vestibolo, le indicò una porta, dicendole ir passi pure ». Era un solito studio di medico : la scrivania, due alti scaffali quattrocenteschi un po' lugubri, e, più in là, un letto di ferro stretto lungo alto, bianco, bizzarramente gaio. « Buon giorno, signorina, accomodatevi » le disse il dottore, un omr'to che stava scrivendo e che pareva vivere in una sua particolare atmosfera. « Mi scuserete, se sono venuta nel pomeriggio » cominciò a dire, appena fu seduta di fronte alla scrivania; ma l'altro, finalmente distolto dalla sua. scrittura, la interruppe: a Oh, non fa nulla. Piuttosto, di che si tratta? ». Alzò così gli occhi e vide che la signorina aveva un corpomagro e gentile, vestito di scu-ro ; e un volto pallido, in cui labellezza non aveva messo cheun'ombra, di'ambigua grazia; edue occhi neri, stanchi « Di che ii tratta? » ripetè il dottore. « Non so che cosa dire, non socome spiegarmi » riprese impacciata la signorina. « Io devo essere ammalata», e, siccome l'altro la guardava quasi con ironia, ella affermò: o Io sono ammalata ». Il dottore scosse il capo, con paterna pazienza, dicendo: Dunque,' che disturbi avete ?che cosa sentite ?, parlate puretranquillamente, e senza sogge-zione ». « Non ho soggezione, dottore. Ma non so come spie-garmi », e tacque un attimoquasi vergognosa di questa suaimpotenza, quindi ripetè con te-starda convinzione: <i Io sonoammalata ». Il dottore non sispazientì, il dottore sapeva re-star calmo davanti agli ammala-ti: la guardò ancora a lungo, cu-rioso di quel volto come potevaesserlo d'una cosa misteriosa, poiabbassò lo sguardo, fingendosi di-stratto; e disse: «Questa vostramalattia qualche manifestazioneesterna od interna deve pureaverla, e dovete per forza averlaavvertita. Non è così?» La camera era silenziosa, ingiardino avaro di piante, si ve-la il cielo velato da un ten-daggio rosa, che ne falsava il co-lore « Ecco, disse, io non honessun disturbo, io non sentomente, ma sono ammalata ». Ildottore rimase in silenzio, conuna mano sfogliava le pagine diun grosso volume, e la sua erauna impazienza addolorata piùche infastidita. Poi si alzò inpiedi, fece qualche passo verso lafinestra, e, voltando la schienaalla signorina come per far di-menticare la sua presenza, disseancora- o Confessatevi Uberamente vi ho detto di non avere a<"minse in tonoDunque » Lasoggezione persuasivo : ragazza non si era spostata, con tinuava a guardare davanti a sò la seggiola del dottore oramavuota ; rispose : i Quasi tutthanno la mia malattia, ma quastutti non vogliono confessarlaE, d'altronde, ammetterla ». A queste parole il dottore svoltò, vide che ella, le ginocchia accavallate, dondolava ipiede destro in un puerile sfogo di agitazione e di imbarazzo. La guardò in un modo insieme avidomolto difficilee professionale, poi con tono asciutto, in cui doveva esservi laeco della sua autorità, disse« Non ci capisco niente. Io ho bisogno di fatti, di cose, almeno di un indizio », e, fingendosi improvvisamente sconsolato : » Altrimenti tutto è inutile ». Per la prima volta la ragazza sorrisestranamente compiaciuta e anchdivertita. Aveva allungato lebracela sui due braccmoli dellapoltrona, e pareva stesse riprendendo coraggio o fiducia in sestessa. a Dottore, disse adagiodottore guaritemi. Forse io sofirò una inesprimibile angoscia »« Vediamo, rispose pronto idottore, buttandosi su quell'indizio con una ridicola precipitazione, vediamo. Avete detto angoscia, sarebbe meglio, credo, direemotività. Accusate spasmi? attacchi di nervi o pianti subitaneo collera ì ». a No » rispose la ragazza convoce sprezzante. « Ho detto chnon sento nulla, e io non so nulla, so soltanto che sono ammalata ». Il dottore era tornato dietro la scrivania, aveva levatocon un gesto che gli era abitualegli occhiali e si ravvivava gli occhi, come chi da poco è sveglioIl dottore aveva molta pazienzamolta buona volontà, per questdomandò ancora: « Come vive tei ». La ragazza pareva non ca pire la domanda: « Voglio dire lavorate avete parenti o amicavete avuto qualche malattia necassato ì » 31 a la ragazza tentinava liei rispondere, quasuna timidezza eccessiva o un na""osto pudore le vietasse di pare.osto P™°le ]a fÌBpose , Soe non lalare. - no sempre stata sola, :„.. &. .0no stata altre voltCalati' ma sempre dottorertr,Vn?a^mia^memòria coua quanoo io sono ammagata ^otrò guarire? Se non possibile guarirmi voglio saperlo ». Tacque un istante, meravigliata lei stessa di queste sue affermazioni, poi sosgiunse: « Forse non si potrà, mai gua¬ rirmi i. « Perchè dite forse? • . Non so, ho detto così senza pensarci > II dottore si era rimesso gli «chiBli, le si era accostato, sta¬ va scrutandola con attenzione cafilosa : vedeva la carne liscia, ancora fre9cai non toccata da]1^ ciprje 0 dalle pitture. Sapeva De¬ nissimo quali parole poteva dire, o. alla peggio, come temporeg- giare ; ma. nello stesso modo, capiva quanto tutte le sue frasi fos- sero vane j„ quel momento jJige una mano sulla spalla della ra gazza, e la ragazza, come ad un richiamo silenzioso e convenuto, alzò il capo verso di lui: Egli cercava, in quel momento, di precisare una sua sensazione con il fare nuove domande. « Poco fa. che quasi tutti cominciò a dire nuovamente vete affermato ■ hanno la vostra malattia, ma che pochissimi confessano d'averla. Avete detto proprio cosi, ma non avete saputo dirmi altro. E io so che voi siete ammalata, o meglio, non lo so, ma lo intuisco e10 sento ». La ragazza mosse gli occhi come fosse abbagliata da troppa e improvvisa luce, dicendo: « Avete dunque capito, dottore? ». E guardò di là della finestra, dove il poco verde del giardino ed 11 cielo avevano un unico colore : e. quasi sollevata da un grave pito peso, ripetè: «t Dunque avete ca « Oh, rispose con voce accasciata il dottore, oh, suppongo d'aver capito. Potrei anche dirvi come noi siamo soliti definire questa malattia, ma sarebbe cosa inutile, Testerebbe un sempli-ce riferimento, magari soltanto una convenzione. Quel che so di certo, è questo : nei casi come il vostro il male ed il rimedio sono in voi. Non posso fare nulla, io ». t Lo so » rispose la ragazza sottovoce, in un modo ambiguo, quasi volesse confermare a se stessa la fine d'una speranza, o da^e maggior forza ad una sua radicata convinzione. Tacevano entrambi in quella stanza, che giaceva in una tranquillità malfida, e si sentivano, adesso, un po' a disagio per quella, reciproca confessione d'impotenza. I mobili erano lugubri e falsi, il piccolo letto di ferro, con la tela cerata bianca, pareva appartenere ad un altro mondo. La ragazza si alzò tenendo gli occhi bassi si diresse verso la porta che sa peva là nell'angolo, dietro la ten da di velluto verde. Il suo passoera studiatamente franco e sicu ro. Vide l'infermiera, corsa al richiamo d'un misterioso campanello, che le apriva la porta, che la guidava attraverso il vestibolo, sentì a malapena il suo saluto freddo e meccanico. Poi. quando fu nella strada, cominciò a pensare che sempre le avevano detto a non posso fare nulla, io ». Enrico Emanuelli

Persone citate: Dottore