Ombre di amanti intorno a Montalto

Ombre di amanti intorno a Montalto QUEL CHE VIVE PEI CASTELLI ANTICHI Ombre di amanti intorno a Montalto L'atroce storia di Emma e Guiscardo - Come ih ma tragedia verdiana - Parlano i ruderi e partano i poeti MONTALTO DORA, ottobre. Quest'è un castellò da prendere in blocco, a un tanto (direi) la tonnellata di ruderi, con le sue edere abbarbicate ai muri sbrecciati, coi suoi tre bolfredi petulanti e la forte torre angolare, con le sue altissime e quasi cieche mura merlate che chiudono nel cortile abbandonato vecchissimi àlberi cadenti, cespugli ricamati di ragnatele argentee ed ogni sorta d'erbe e d'erbacce, d'ortiche, di felci, di gramigne da far concorrenza alla vigna di Renzo dopo la carestia, i lanzichenecchi e la peste; coi suoi laghi neri e profondi che giù giù sotto la rupe, fra burrati e valloni, fra boscaglie e forre, si scoprono dal sommo del mastio ancora orgoglioso insieme alla barriera diritta della Serra e la ridente pianura canavesana spàrsa di casali e luccicante d'acque e qui a destra la gran valle verde che s'apre dolce ed invita a salire; coi suoi secoli di storia feudale, e — sissignori, compresi nel prezzo perchè questo è il più bello :—: coi suoi addomesticati fantasmi di tradizionali amanti infelici. Romanticismo 1890 O prendere o lasciare; o sorridere o commuoversi; anzi, meglio che commuoversi, rifarsi una verginità ingènua capace d'accogliere con serietà, compunta il convenzionale fascino del romanticismo archeologico 1890, da D'Andrade ad Avondo, con le cavalleresche gesta dei Bosoni e degli, lbleti ed i patetici languori dei Fernandi e delle Jolande, e meglio che sorridere, sentire su per la schiena quel piccolo brivido d'intimo, celato pudore tipico di noi moderni, gente da tadio e da volante, per tante trascorse gentili imbecillità letterarie. E tuttavia sarebbe pur bello risalire questo colle, ameno malgrado le sue rocce scenografiche, questo monticello vestito di vigneti prosperi, di castagni ampi, di svelti nocciòli, di querce giovani, che sull'ingresso di Val d'Aosta domina, nel paesino di Montalto, la vasta villa Casana e sulla cui vetta s'abbarbica lo smantellato castello, con l'animo candido, per esempio, del medico-chirurgo Costantino Bosio, un esculapio del luogo e amabile cercatore di rime, luna con bruna, dirupi con cupi, trovadori con fiori, che un settanta od ottant'anni fa scioglieva un canto per questo maniero. Uditene i versi, che ne vai la pena: Narran le genti che in quelle mura Un di albergasse fanciulla cara, Indi pallida mesta figura Fu vista stesa sovra una bara, Bruna una ciocca premea sul core: Mori d'amore! Oppure riaprire le Passeggiate nel Canavese di quel delizioso galantuomo di Lombardore che fu Antonino Bertolotti: « La tenebrìa cominciava a stendere le sue nere ali sull'emisfero e più tetro diventava il castello di Montalto; rompevano il mortuario silenzio il rimbombo de' miei passi sotto i crollanti archi, lo stridere di qualche gufo ed U sordo» murmure della Dora Baltea, che giallastra travolgeva ìnassi e massi. Ad intervalli lontani folate di vento sibilavano fra le fessure, staccando qualche, mal connesso macigno... In stretta stanza sul cacume di torre mi rappresentava una vecchia dama raggrinzita consultare gli astri, con ributtante oachinno. Nel varcare un androne, in cui carolavano stuoli di vipistrelli, l'immaginazione lo tappezzava di tele rappresentanti volti truci, spavaldi ed orgogliosi dei primi nobili di Montalto. Nella chiesetta sembratami udire il lento salmeggiare funebre 'attorno a una bara, e nel cortile sfilare a misurato passo guerrieri con ricche armature ». Commento alla «Partita a scacchi» • Che peccato. C'era invece un cosi tepido sole d'ottobre, una cosi serena aura autunnale sui vigneti e sui prati tranquilli l'altra •mattina mentre salivo alla ròcca. Avevo lasciato la macchina al cancello di Villa Casana, solenne nel suo sonno nobiliare; un buon uomo aveva voluto indicarmi la strada. Ahimè, che non udii stridere alcun gufo (probabilmente a quell'ora addormentato), non mi ferì l'orecchio alcun cachinno di dama raggrinzita, non percepii il sordo murmure della Dora rotolante massi anche perch'essa scorre placida troppo 'lontano, nessun 'mal connesso macigno mi cadde pel vento sulla testa; e nei bui vani a terreno c'era, sì, un triste stillicidio da umide grotte e forse qualche rospo annoso meditava sull'orlo delle pozzanghere, ma neppur l'ombra di un « vipistrello » si credette in dovere di scomodarsi per me. Che non sia dunque più, il nostro, tempo da castelli abbandonati? Se n'andrebbe a ramengo fin dal principio questa breve serie di articoli. E rimpiangevo perciò sinceramente la serietà convinta, V impegno così scrupolosamente onesto, la profonda coscienza di fare opera davvero utile, di Giuseppe Giacosa nel parlarci di questa e di altre antiche dimore feudali: qualcosa fra la storia e la letteratura, fra il documento e la poesia, fra l'archeologico ed il pittoresco. « Certo il castello non fu mai nella imaginoso quale appare diroccato ai nostri sguardi. Fortuna che i suoi ultimi, che il suo attuale padrone, non si lasciarono trascinare dalla voga o dalla vanità di restaurarlo ». Chi sa perchè ? Cari uomini dell' Ottocento, cari uomini vestiti di scuro, con grandi e ben curate barbe, con incomodi cappelli duri. Calzavano robuste scarpe chiodate, serravano i polpacci in alte uose di tela impermeabile a numerosissime fibbie (e nelle uose chiudevano ben bene i pantaloni lunghi), sul cappello adattavano con allegrezza un po' baldanzosa due o tre belle penne di fagiano, agganciavano all'occhiello' della giacchetta U pince-ne? d'oro, e via: partivano alla scoperta dei castelli. Pittara, D'Andrade, Avondo, Bertea, Pastoris, Pasini. Poi tornavano, riordinavano appunti e schizzi, e nella pace di Parella come Giacosa, scrivevano diligentemente: « Nessun altro dei castelli valdostani è così gentilmente imaginoso. Dai suoi ruderi' non esce nè la religione dell'arte, nè il ribrezzo, della morte, nè la meditazione della storia. Troppe cose vive e perpetuamente innovate, integrano la sua morta bellezza. Che importa la data della sua prima costruzione, quando sorse il maschio imperioso che ancora vi torreggia, e quella in cui venne ordinandosi a fortezza insieme ed a signoresca dimora? Essa raccoglie i caratteri e gli attributi rispettivi di ogni secolo dell'età di mezzo in una sola complessiva visione del Medio Evo romanzesco; alle finestre e nel cortile del secolo XIV sembrano affacciarsi con dilettoso anacronismo sua piena interezza cosi bello ed\ l trovatori e raccogliersi le corti d'amore ». Logico commento alla Partita a scacchi. Per sforzo di fantasia che noi invece si faccia, non si riesce più a suscitare di simili « dilettosi anacronismi ». Oggi l'archeologia non s'agghinda più di versi martellili-ni; è una bella e chiara dottrina che scopre in queste bifore eleganti, dal goticizzante sesto acuto aperto verso Lessolo e Fiorano, riflessi di stili, lineamenti armoniosi tranquillamente schedati dalla storia dell'arte senza bisogno di farvi affacciare sospirosi paggi in giustacuore e meste castellane dai rigidi busti di broccato; e che ben più autentici fascini sa ridestare sulla trama di precise ricerche, di scavi e di ripristini, da un Giacomo Boni ad un Amedeo Maturi. Se ma} può correggere qualche data; e qui, sull'altura di Montalto, postecipare forse d'alcuni decenni quella in cui sorse quanto ora resta del rude castello: che una niti- <*a finestra a crociera in liscia pietra grigia, pure non lungi dagli archi gotici, ci rammenta i ritardi stilistici propri del Piemonte e più di Val d'Aosta, e sposta probabilmente questa costruzione (anzi, ricostruzione intorno al più antico mastio e sopra avanzi di meno sontuosa dimora) fino al principio del Quattrocento, malgrado le circostanti asprezze tipiche del più profondo medioevo. Eran del resto gli anni che finalmente, dopo varie e minori signorie litigiose nelle quali erano intervenuti gli stessi Conti Sabaudi (già il loro nome compare, per concessioni o contese di questo possesso il Si ottobre ISIS), perun'investitura concessa da Ame-deo VIII di Savoia, o per dir me-glio da sua madre Bona di Berryil Castello di Montalto risultavainfeudato ad una forte famigliadi Bard, ai fratelli Giovanni, Andrea,'Antonio de Jordano, quei medesimi che il 4 gennaio IJflS avrebbero ricevuto l'ordine di recarsi al campo di JStvolt, scelti fra i più insigni feudatari valdostani, a rendere onore al grande principe che scendeva di Savoia, restauratore dell'integrità dei domini della sua Casa. Certo per tutto il Quattrocento questi De Jordano, robusta stirpe come tutte quelle oriunde da Bard, tennero il possesso della rocca, l'ampliarono, la fortificarono, l'abbellirono, a loro senza dubbio non bastando quel primitivomaniero de Monte alto— l'anticomastio le cui stanze, una per pia-no, comunicavano con sempliciscale a pioli, e le rozze costruzioniannesse — ch'era stato motiro deiperentori ordini di Vercelli (ab in- vasionibus latronum defendendt) ai feudatari Foglia e poi Recagno. Furono i De Jordano a far costruire verso valle i sontuosi ap partamenti signorili con la vastissima sala baronale che oggi ancora si profila quasi integra ben che il cielo le serva da tetto? a stendere tutt'intorno le mura la elegante merlata cortina di ronda con le sue tuttora intatte caditoie donde la difesa tornava agevole e sicura? ad appoggiare all'angolo di ponente l'ampio scalone d'onore che il tempo non ha potuto distruggere? a far decorare d'affreschi esterni (una Vergine che allatta il Bimbo, e una poderosa figura di San Cristoforo) la chiesuola nel cortile? E' probabile, per non dir certo. La Forza del destino, il Trovatore... E la leggenda degli alitanti inJelici i cui fantasmi la gente inimaginòsa può divertirsi a rievo care fra questi ruderi, riguarda forse i fieri De Jordano? Comunque eccovela, ed abbiate pazienza se ricorda un po' troppo la solita leggenda che avvolge ogni castello diroccato che si rispetti. Qui dunque, ad una di queste bifore, sospirava ogni sera una Emma, figlia ed unica erede del sire di Montalto, guardando al tra monto imbrunire la pianura canavesana. Mandòla di paggio, sirventese di trovadore, non valevano a distrarla dalla pena. Sospirava così (regolarmente) tutte le sere per il suo Guiscardo, figlio del truce Roberto di Monferrato. Si amavano i due giovani e — poverini — l'odio scavava invece un abisso fra i due padri, fra il marchese Roberto e il barone Goffredo. Guardatevi d'amare la figlia di un barone, quando questo barone s'è fitto in capo che vostro padre marchese abbia, ai suoi tempi, un po' troppo corteggiato la sua legittima consorte baronessa. Ma non lungi dal castello c'è un fonte, che si chiama, anch'esso, la Fontana dei Sospiri. Complice il wicino lago Sirio (tanto bello specie oggi che ha la sua brava Società presieduta dall'avvocato Vecchia, col salone da ballo e il ristorante e. le barchette dei valorosi canottieri), complice quel fonte mormorante, a furia di sospiri i due amanti che lì s'incontravano a notte alta caddero non nel lago, ma in un comune fatto di cronaca. Dopo qualche mese la bruna Emma s'accorse che non seruiva più stringer coi legac-ci il corsetto. Alfine si risolse. Tremante eittrò nella sala baronale, si gettò ai piedi del vecchio Goffredo, con voce tremante sussurrò: « Padre, io amo Guiscardo ». « Va, sii maledetta — fu la risposta del sire di Montalto — ti scaccio per sempre da me ». Ed Emma allora, terrorizzata, riparava con la fida nutrice nel vicino paese di Chiaverano, che forse già allora forniva quegli eccellenti formaggi, celebri in tutto il Canavese. Lo stesso giorno Guiscardo fermamente diceva al padre: « Emma fu mia; conviene ch'io la sposi ». Ma fuori di sè il marchese Roberto urlava la tremenda verità: « Non sai, sciagurato, che Emma è tua sorella? Da giovane io rapii sua madre, e quando dovetti restituirla a Goffredo, ella era incinta di colei che ora tu mi chiedi per sposa ». Non Chiaverano, ma la morte attendeva ormai Guiscardo. II fatto fu nuova esca all'odio, In una notte procellosa il barone di Montalto assalta il castello del marchese di Monferrato. Roberto cade sotto la spada di Goffredo,ma prima di morire confessa la innocenza della madre di Emma, confessa l'ignobile calunnia che aveva aperto il baratro fra le due famiglie. « Rutto come un fùlmine — narra il Bertolotti — torna il signor di Montalto alla figlia: è troppo tardi! ella si muore. Sir Goffredo sparve come Guiscardo: forse ai corvi d'Asia lasciarono l'ossa, combattendo contro i Suraceni ».In tutte le vicende feudali valdostane i Saraceni hanno una gran parte, sono un vero deus ex machina per liquidare le situazioni complicate. E lo vedremo altra volta parlando di questi fieri siri, perchè la storia dei loro castelli non è finita, | Marziano Bernardi Ciò che resta della sala baronale.