STRANA PROCESSIONE NOTTURNA e un neonato abbandonato in una cesta

STRANA PROCESSIONE NOTTURNA e un neonato abbandonato in una cesta I SUPERSTITI DEGLI ANTICHI MrWfl STRANA PROCESSIONE NOTTURNA e un neonato abbandonato in una cesta (DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE) SANTA CRUZ (Quintana Roo), settembre. Un proverbio sahariano avverte: « La fortuna e la sfortuna non vengono mai sole: arrivano, in stormo come la kanga ». Le kanga sono le pernici del deserto. Al Yucatàn, esiste un proverbio analogo: «I mali non capitano mai soli, ma sempre in gruppo come i pappagalli ». L'inesorabilità del proverbio sahariano e del suo cugino yucateco; io dovrò provarla nel mio viaggio a Santa Cruz de Bravo de Bacalar. Dopo appena mezz'ora di volo, difatti, un guasto alla tubatura dell'olio ci costa un paio di ore a Xul; lo scoppio di un pneumatico all'atterraggio, per poco, non ci fa rompere il collo; e, al momento di ripartire da Santa Cruz, un acquazzone ci immobilizza per un altro paio d'ore. Ed i guai non finiscono qui. Ma procediamo con ordine. Storia poco rassicurante Quando, a Merida, io manifestai l'intenzione di visitare Santa Cruz de Bravo de Bacalar, i miei conoscenti yucatechi mi guardarono come se avessi espressa l'idea di prendere un bagno in un tratto di mare infestato da pescecani. — Per carità! — mi avvertirono. — Non commettete imprudenze! E uno esclamò: — Dà trent'anni, nessun bianco ha messo piede da quelle parti. — Esattamente, dal 1902 — specificò don Raffaele de Regil — da quando, cioè, Santa Cruz venne liberata dai maya. E l'oste discendente di Francisco de Montejo, il conquistador, continuò: — Dovete sapere che di tutti i paesi dell'America Latina, il Yucatàn fu il più diffìcile e duro da sottomettere. Francisco de Montejo, per ben tre volte, dovette ricominciarne la conquista. E, soltanto nel IH.'iS, dopo vent'anni, riesci a stabilire qua e là presidi sicuri e, nel 1552, a fondare Merida. La pace, tuttavia, venne turbata da molte ribellioni: nel 1669, a Kelpec e nella Sierra di Mani; nel 1161, a Peto e a Cachuach; e, nel lSJfT, lungo tutta la costa sud, precisamente nell'attuale territorio di Quintana Roo. Quest'ultima durò più di 50 anni. E il suo centro fu, appunto, Santa Cruz. Fanatizzati da indigeni sorti all'improvviso dalla foresta e nei quali taluno vide i discendenti diretti degli antichi sacerdoti e guerrieri maya, i peònes della regione si gettarono sui bianchi come bestie feroci. Durante, il mezzo secolo di occupazione — come dire? — maya, la chiesa divenne il luogo di riti bizzarri, nei quali il mistero cattolico si mischiava con i misteri pagani. Non solo, ma davanti ad una croce che, in seguito a qualche artificioso inganno, emetteva oracoli, cotesti maya non esitavano a sacrificare i bianchi fatti prigionieri. — E come finì? — Fini che il governo di Porfirio Diaz, nel 1902, decise di organizzare una spedizione che, dopo due mesi di combattimenti, riuscì a raggiungere Santa Cruz. — E i maya? — Parte venne fatta prigioniera, parte scappò nella foresta. Santa Cruz restò deserta, nessun bianco avendo voluto tornarvi. Così, come le vecchie città maya, essa sta diventando preda della foresta. Di tanto in tanto, un aeroplano va a deporvi dei peones per mantenere in efficienza il campo, un aeroplano militare, si intende, con mitragliatrici e fuci lì. Si teme sempre il ritorno dei maya sfuggiti alla cattura. Dov'è la gente? Capirete che non ci volle altro per affrettare la partenza. Così, all'alba del giorno successivo, il « Colibrì » è già in volo per Santa Cruz. Santa Cruz? Un mucchietto gialligno di case morte della mestizia delle cose moribonde, condannate dagli uomini e ita Dio Tutto, difatti, è silenzio. Non una anima in giro, non un segno della presenza dell'uomo. Per le strade, già invase dalla vegetazione, non rilevo una traccia, una pesta. Che siano le piogge quotidiane — sin ino ormai nel pieno della stagione delle piogge — a cancellare le eventuali tracce umane, oppure il paese è definitivamente abbandonato? Non riusciamo a capirlo. Nella chiesa, dalle navate e dalle pareti scolorite e sporche, io veggo nicchie cavernose e buie che contengono immagini di draghi, idoli maya e statue di santi. La famosa croce degli oracoli si erge, massiccia e quadrata, davanti al tabernacolo dell'altare maggiore, sulla tavola che, nella penombra del tempio, luccica di bagliori strani. Mi auuicino e tocco: è d'oro. Mentre l'esamino quasi incredulo, rilevo che non porta tracce di polvere. Impossibile, dunque, che la chiesa sia abbandonata dal 1902! Tale supposizione, d'altronde, me la conferma un semplice sguardo: per terra, le impronte di piede umano sono numerose. Alzo gli occhi e, in una muta interrogazione, osservo von Schmeling. E questi, scrollando le spalle, esclama: — Senza dubbio, qui ci viene della gente. Ma non possiamo stare ad attenderla, nè inoltrarci nella foresta per cercarla. E' vero! E, perciò, si decide di partire tanto più che, nel tardo pomeriggio, come al solito, dovrà mettersi a piovere. Ma, mentre il pilota sta ponendo in ordine dmarcia il « Colibrì », un'improvvisa raffica di vento squarcia la massa grigia dell'aria surriscaldata e, subito dopo, con un anticipo di oltre 2 ore, l'acqua incomincia a percuoterci con la violenza di una frustata. Dopo avere bene ancorato l'apparecchio e rivestiti in tutta fretta il motore e l'elica delle loro fodere di' tela impermeabile, noi attendiamo la fine dell'uraganoUn'ora, due, tre. E, ad uragano finito, quello che si temeva, avviene. Il decollaggio dell'apparecchio si presenta impossibile. Che fare? Una cosa sola: attendere che il snolo poroso succhi l'acqua. Questione di un paio d'ore. Ma, ahimè, oramai è tardi. Dietro i cavalloni plumbei delle nubi, già si intravvedono gli sprazzi sanguigni del sole al tramonto. Dobbiamo fare di necessità virtù: rassegnarci a passare la notte a Santa Cruz. Inquieto turno di veglia Sul « Colibrì », seduti ai nostri posti rispettivi, dormiremo e veglieremo a turno. Il primo tur no tocca a me. Come avviene sem pie nei paesi tropicali, la notte scende di colpo. E. siccome il cielo è ancora coperto dalla massa pesante dei grossi nuvoloni, le tenebre appaiono più fitte, quasi solide. Mille rumori Indistinti, fru scii timidi, grida e canti soffocati turbano il sonno della foresta, lo attraversano da ogni parte, sì fon dono a tratti come in un coro, salgono adagio nella notte per spe gnersi a mite di colpo, a volte strascicando come {'ultima nota di una cantilena. Sensazioni dì pericolo, tuttavia nessuna. Eppure, io non mi sento tranquillo. Invece di stare seduto mi alzo con frequenza, rimanendo in piedi per minuti e minuti a fis sare le tenebre. E la fissità con la quale osservo le varie forme del l'ombra — i profili degli albericontro il cielo, la linea della chie-sa e gli squarci della foresta — apoco a poco mi allucina il cervel-lo. Mi sembra che tutto si innova Idisgrazie? ì — Mai! — Indios selvaggi, ne ha (neon ìtrati? i — il/otti. e tremi impercettibilmente. Lo stesso aeroplano trema sotto i piedi e contro le mani. In realtà, sono i miei piedi e le mie mani che tremano, per uno strano prurito che le esaspera. Così, la voglia di muovermi e di camminare inco mincia a scuotermi come un fluì do, perchè io ho la convinzione pa radossale di non dovere sentire più, camminando e muovendomi, ì rumori della notte, di non essere più inquietato dalle forze segrete ed invisibili della jungla. Visione Ma sono costretto a star fermo, inchiodato al 'mio posto. E, man mano che il freddo, la stanchezza e l'inquietudine incalzano, un'idea si affaccia al mio cervello: credo che della gente mi osservi, mi spii dal margine della foresta, della gente che ha la facoltà di vedere nelle tenebre. Chi? A Merida, non mi hanno assicurato che gli indios maya posseggono occhi fosfore scenti come i felini? Che siano loro a spiarmi? Sì, non vi sono dubbi. I maya son lì, accorsi dal fondo della foresta al rumore dell'apparecchio e, dopo essersi appostati dietro gli alberi, hanno atteso la notte per assalirci. Li sento senza vederli, immobili e silenziosi, pronti a sorprendere il minimo segno di stanchezza, la più lieve distrazione della sorveglianza. E non riesco a star fermo. Ad un tratto, la voce di von Schmeling junior rompe il cerchio delle mie allucinazioni. — Il mio turno — mi dice — è già venuto da un pezzo. Perchè n8n m'avete chiamato? — Dormivate così bene. — Non dormivo affatto! — mi risponde il pilota. E mi guarda. Nella notte, io vedo i suoi occhi mobili, abituati alle immensità dei cieli, luccicare stranamente. Mi pare anche di vedere una smorfia all'angolo della sua bocca. Mi faccio vicino a lui. Nel cielo, attorno ad un pezzetto di luna, premono le grosse nubi nere, i cui orli dentellati sono luminosi come gli spigoli d'un bassorilievo illuminato a luce riflessa. Seduti come quando si è in volo, noi due dapprima incominciamo a parlarci di cose vaghe. Poi, von Schmeling si sofferma sulla sua passione per il volo. — Ho incominciato a volare a 18 anni — mi informa —. In 5 «>i-ni, credo d'aver fatto più di S00pausa, mila chilometri. E, dopo una breve confida: — Ho un sogno: transvolarc l'Atlantico e raggiungere il mio paese, il ■ mio paese che non ho mai veduto. Quando sono nato nel 1915, mio padre si trovava da 5 mesi in Germania a combattere. Il giovane pilota parla con ro-ce contenuta, che trema un pocoal ricordo del padre. — Queste foreste — aaglunoe^™w,.„ i„ i._ „ . , — «no padre le ha percorse tutte ulla ricerca degli alberi di mo- gano. — Non gli sono mai capitate — Ha pure incontrato i discendenti degli antichi maya? — Sì. — Oli hanno fatto del male? — No. Durante la veglia, io ripeterò molte volte simili domande. E, fra l'una e l'altra, cadono lunghi interstizi di silenzio, durante i quali si sente soltanto l'inquieta e inquietante vita notturna della foresta. Ed è in uno di questi lunghi interstizi di silenzio che una Disione ci appare, si delinea, si precisa per quella che è: una processione di uomini vestiti di bianco che, candele in mano, spunta dall'intrico dei rami che nascondono il villaggio, attraversa lentamente il breve spazio libero fra la foresta al l\' ( I , | e la chiesa, vi entra, e, prima an Cora che io abbia il tempo di ri-^prendermi, ne esce per scomparire netta direzione dond'era venuta, \Fantasmi? — mi domanda von Schmeling. ! Invece di rispondergli, gli faccio cenno di ascoltare. Come un'eco portata dal vento, difatti arriva un lamento flebile, — Sentite? Adesso, il lamento si fa più distinto. — Si, un vagito. Non so che cosa m'abbia preso. Ma, come lanciato da una molla irresistibile, salto giù dalla carlinga e m'avvio verso la chiesa, scostando con gesto sicuro foglie e rami, lanciando in avanti sterpi e sassi. Appena nel tempio, accendo la lampada portatile. Dopo un attimo di accecamento per la luce improvvisa, sbattendo le ali ed urtando contro i pilastri ed i muri, un nugolo di uccelli notturni e di pipistreili incomincia nelle navate r.„„ ■,„.,„;., j.- «,.„„„„i7 una specie di carosello aereo, vien tre la luce della lampada, che sposto febbrilmente da un punto all'altro, deforma le linee dei volatili, ne ingigantisce le ali, ne rende mostruose le ombre e fa risplendere di fuggitivi bagliori l'oro dell'altare. Nel trambusto, io avanzo dritto verso l'altare e qui, nella tavola d'oro, davanti alìu croce che un giorno emetteva oracoli, che cosa veggo? Un cesto accuratamente ricoperto da una fitta graticcia di metallo e, nel cesto, un pupo appena nato, le braccia aperte, gli occhi spalancati. Fo' per sollevare il cesto, lo tocco, quando un serpènte sbuca di dietro la croce, scivola sulla tavola d'oro e fugge via. Paolo Zappa La chiesa di Santa Croce de Bravo de Bacalar

Luoghi citati: America Latina, Cachuach, Germania, Merida, Santa Cruz, Xul