La vera Madonna dell'Impannata sarebbe nel Nord America

La vera Madonna dell'Impannata sarebbe nel Nord America STORIft "GlftLLft,, D'UFI RflrMELLO DI PITTI La vera Madonna dell'Impannata sarebbe nel Nord America Fra i quadri celebri della Gaiteria Pitti è te Madonna dell'impannata, cosi detta perchè, come si legge nella « Vita di Raffaello » del Vasari, l'autore vi « ha finto una finestra impannata che fa lunie alla stanza, dove le figure son dentro ». Dalla prima metà del Cinquecento a quasi tutto l'Ottocento, intere generazioni si prosternarono dinanzi a questo dìpino: non per nulla Raffaello è un nume che esige le sue folle di fedeli. Poi nacque — e lo diremo meglio — qualche dubbio; ma se Voi aprite, nella serie delle « Guide dei musei italiani » del Ministero della Educazione Nazionale, il volume di Iahn-Rusconi su «La R- Galleria Pitti in Firenze » edio l'anno scorso dalla Libreria delo Stato, ancora vedete questa Saera Famiglia (con la Vergine, il Bimbo, una santa, forse 8. Caterina, che appoggia la mano sulla spalla di S. Elisabetta, e il S. Giovannino ignudo seduto su una pele di leopardo) elencata sotto la voce «Raffaello Sanzio, Urbino US3 -Roma 1520 ». Vero è che nel esto sono ricordate le riserve del Passavant che riconosce la mano « Raffaello solo nella figura del Bambino, del Crowe e del Cavalcaselle che ritengono l'opera di- pinta dagli scolari Giulio Romano e Penni, del Berenson che la cataoga fra i lavori di bottega. Poremmo aggiungere le recenti opinioni di Matteo Marangoni («...per a maggior parte eseguita dai suoi scolari... ») e di Adolfo Venturi: « — nella Madonna dell'impannata, compiuta dal Penni, lo stesso Urbinate formò la testa di Santa Elisabetta, ammirevole nel suo pallore d'oro vecchio ». (Un mese fa Amadore Parcella dichiarava questa testa condotta « con una tecnica sommaria *: dove si vede che in critica d'arte non sono — appunto — le teste a dar le sentenze, ma i giudizi a fare le teste) Comunque il mito durava; e, aiuti o non aiuti di scolari, le folle continuavano a Pitti, e continuano mentre scriviamo, ad andare in estasi per questo quadro, e sopratutto per la celeberrima figura del B. Giovannino chepxcenna col dito. Le folle sono come gl'mnamorati, che occorre aprir loro a forza gli occhi e ancora gridano non è vero quando tutti scorgono la verità. jM questi giorni la bomba è scoppiata; e dalle terze pagine dei quotidiani a quelle dei periodici e <j6;;e riviste d'arte è una gara unanime nel vituperare una pituirn c^e per 0itre tre secoli era stata esaltata come un capolavoro; quasi ci si voglia vendicare adesso di una troppo lunga adorazione. Non solo a Raffaello la Madonna dell'impannata di Pitti è tolta in modo violento e perentorio; ma il «segno incerto, impacciato, le manchevolezze di modellato, le disarmonie di colore, Te crudezze di tocco della tavola fiorentina bastano ad escludere recisamente — secondo il Porcello — non solo il grande ed impecca j>JZe Raffaello, ma qualunque dei suoi diretti seguaci e tanto più il Romano e il Penni, disegnatori sapienti anche se manierati e troppo ligi ai precetti del maestro ». Ed è lo stesso quadro di cui il Vasari, pittore che non era voi l'ultimo degli imbianchini, scriveva a metà del Cinquecento dopo averlo avuto a lungo sott'occhio « nel palazzo del Duca Cosimo nella cappella delle stanze nuove e da lui fatte Come è scoppiata la bomba . . . e dipinte»; «E nel vero w non penso che per tanta cosa si possa veder meglio ». Come e perchè la bomba è scoppiata ? E' una storia alauanto romanzesca che succintamente me .f d'esser riferita: La «vera» Madonna dell'impannata, rivedasi agli occhi del restauratore Pasquale Farina in dieci mesi, dall'agosto J927 al maggio 19S8, di jauoro — aerine eoli stesso — Jent cattto paziente e amore xnrPhhe impila era di oinvole »> *a^6f. «"e'"J °'?J"0' prieto, del dott. C. I. Thorne. di New York. La vecchia tavola ne- rostro e screpolata ritenuta per giudìzio unanime « una brutta cosa di nessun valore », e che il Farina stesso aveva avuto occasione di esaminare fin dalla primavera 1S1Z per incarico d'una signora residente nel Texas, sarebbe divenuta ora il capolavoro dipinto da Raffaello per incarico del banchiere fiorentino Binda, Altoviti, residente a Roma in un suo palazzo presso il Tevere, amico d'artisti, mecenate, collezionista d'arte (Vaed a Bindo Altoviti fece **e è tenuto atujienctiasimo. E si¬ milmente un quadro di nostra Donna che egli mandò a Fiorenza, il qual quadro è oggi'nel palazzo del Duca Cosimo... >). Per conseguenza quella Madonna fiorentina con il « suo figliuolo dtanta bellezza — sempre secondo il Vasari — nell'ignudo e nelle fattezze del volto, che del suo ridere rallegra chiunque lo guarda », non sarebbe che una volgarissima copia, e tanto il duca Cosimo deMedici, che pure era un buongustaio d'arte, quanto il suo magno architetto e pittore messer Giorgio Vasari, avrebbero preso- un granchio colossale.. Ecco dunque un alfro idolo crollato, e da un altare qual è quello di Palazzo Pitti. L'esame radioscopico * Una affermazione azzardata f Una delle tante manovre del mercato antiquario t Conviene riconoscere che nel demolire il quadro di Pitti e nel valorizzare quello dNew York s'è proceduto con somma cautela e con grande serietà critica (a parte certi entusiasmche per ora possono sembrare esagerati). Da anni, come s'è vistoi dubbi sulla piena paternità raffaellesca della Madonna dell' impannata fiorentina andavano accentuandosi. Contemporaneamente la pittura scoperta e restaurata dal Farina veniva sempre più attentamente studiata, e se ne faceva sostenitore strenuo soprattutto il Forcèlla che già nel '35 affrontava pubblicamente il problema, e lo esponeva l'anno dopo anche acongresso di storia dell'arte di Basilea. Pure nel X9S5 le due pitture, per richiesta del dott. Thorne al nostro Ministro dell'Educazione Nazionale, furono poste a confronto; e se il Del Massa scriveva l'altro giorno su La Nazione ch'esso « non fornì risultati probativi »l'altra campana, quella che riecheggia i pareri del Porcella e deFarina, suona così: « Basterebbero alcuni particolari — come la bocca stupenda del Bambino Gesù che par trattenga il respiro — a rivelare Raffaello nel quadro d'America, e nel contempo altri dettagli secondari nel quadro della Pitti — come la testa della Santa Elisabetta, dipinta con un tratteggio tecnicamente più tardo —- a denunziare che esso è una copia »Afa i! colpo di grazia, quasi non bastassero le riserve precedentialla povera Impannata di Firenze lo diede l'esame radioscopico, i curisultati sono di recente pubblicazione. Sotto la tanto famosa figura del 8. G?ioi>amiino comparvero, dipinte presumibilmente qualche lustro prima, quella di un barbuto 8. Giuseppe, ed un'altra dun S. Giovannino assai più fanciullo dell'ora esistente. Cosi anche la originalità della composisione, già vantata dal Marangoni con queste parole: « soltanto il Maestro poteva ideare una rappresentazione, già tradizionale, in maniera così libera e nuova » — andava a catafascio. A ciò s'aggiungano incertezze, scorrettezze, manchevolezze che la radioscopia avrebbe rivelato anche nelle altre figureguantunque noi si concordi col De Afossa, il quale giustamente osserva come non si possa condurre su. uno radiografìa un'indagine stilistica. Un'avventura nel '500 Demolito il quadro di Pitti, tutti i diritti alla paternità raffaellesca andrebbero dunque al quadro d'America esaltato dal Farina e dal Porcella coi termini più appassionati? E come spiegare allora l'abbaglio del Vasari e del Duca Cosimo? Come giustificare l'esistenza in America dell'originale di Raffaello, se la Sacra Famiglia ora a Pitti fu inviata a Firenze — lo testimonia il Vasari — dall'Altoviti stesso e sempre vi rimase? Ed ecco entrare in ballo il « romanzo giallo » della Madonna dell'impannata, cioè tm'tngregnosissima ipotesi avanzata dal Farina, e che riferiamo con le sue stesse parole. « Bindo Altoviti che esercitò a Roma la banca fondata da suo padre Antonio, e accumulò una fortuna colossale con l'appalto del sale e delle dogane, fu avversario irreconciliabile della tirannide fiorentina dei Medici. Fra l'altro per parte di sua moglie, che era una Soderinì, era diventato zio di Lorenzino, l'uccisore di Alessandro dei Medici. Contro Cosimo poi volle prender parte anche a quel disperato e infelice tentativo che fecero i fuorusciti nel 1558 e qhe porta il nome di battaglia di Siena, fornendo a Piero Strozzi il danaro per 'assoldare milizie e , Gho. Battista. Fallito il tentativo,mandando a combattere suo figlioCosimo dichiarò Bindo ribelle e gli confiscò i beni che si trovavano in Toscana e che regalò tutti o quasi tutti al Marchese di Marignano, suo condottiero, riservando a sè, solo la tavola di Raffaello. Ma una domanda sorge spontanea. Bindo Altoviti, nel partecipare così energicamente e scopertamente al tentativo dei fuorusciti, sapeva bene che cosa rischiava; nessuna illusione gli era lecita sul conto di Cosimo, che fin da quando ragazzo diciassettenne era stato assunto al dominio di Firenze., aveva date prove non dubbie del suo animo violento e della sua crudeltà spietata. Ora non doveva egli, prima di tentare la sorte delle armi, ridurre al minimo la preda che lasciava in mano del nemico, spogliando, fino agli ultimi limiti della prudenza e della possibilità, le sue case di Firenze di tutti gli oggetti preziosi che contenevano, e quindi anche della pre¬ iosissima tavola di Raffaello? Seciò si ammette, si capisce benecome egli non potesse rimuovere il quadro senza sostituire al suo postò una copia. Era un oggetto che in Firenze doveva essere diventato famoso; ciò è provato dal fatto che Cosimo, il quale si pie- cava di essere mecenate di artisti e conoscitore di cose d'arte, lo escluse, unico, da tutto il complesso di beni confiscati, che regalò al Marchese di Marignano ». La copia, riassumendo, sarebbe stata dunque fatta eseguire in tutta fretta da un abile pittore toscano della metà del Cinquecento, l'ori- ginale celato gelosamente, e mot- to più tardi poi, sul principio del secolo scorso, venduto, probabilmente, ad un americano. Forse, del resto, che nel 1808 la famiglia Altoviti non aveva venduto al Re di Baviera il ritratto di Bindo fatto da Raffaello ed ora nel museo di Monaco? Ipotesi, ripetiamo, ingegnosissima questa del Farina; e noi comunque lasciamo al lettore di vagliarne la verisimiglianza. Senz'altro dunque s'ha da cancellare la Madonna dell'impannata di Galleria Pitti dal novero delle opere illustri, e da accendere nuovi incensi al quadro americano? Questa sarebbe la conclusione del Farina, del Porcella e d'altri critici, e — non ne dubitiamo — del dott. C. I. Thorne, di New York, il quale ha già generosamente promesso il suo dipinto ad un museo. Una copia fra tante Afa ancora una volta riteniamo che, romanzi gialli a parte, convenga andar molto cauti. Anzitutto chi rilegga attentamente il regesto venturiano, nota che non esiste alcun documento definitivo che Raffaello abbia dipinto e consegnato al sua mano una Sacra Famiglia per Bindo Altoviti. L'incondizionata paternità raffaellesca del quadro risale, come s'è citato, alla frase del Vasari; ma è una paternità, come si vede, stabilita su una pittura (quella fiorentina) la quale o è una copia, o è un raffazzonamento, o è opera per la maggior parte di allievi. Di più, quando il Vasari la descriveva, Bindo Altoviti era, sì, ancora vivo, ma Raffaello era morto da trenta anni. Bindo Altoviti, anche se se ne vantava (e non dimentichiamo quale poteva essere la vanità di un banchiere arricchito e collezionista d'arie per giunta), aveva avuto realmente la tavola da Raffaello? Si noti ancora che nella Biblioteca Reale di Windsor esiste, è vero, un « disegno per ^Impannata » di mano di Raffaello, ma che concerne unicamente le quattro figure centrali: la Vergine, il Bambino, 8. Elisabetta, S. Caterina. Ebbe realmente attuazione pittorica, ad opera di Raffaello stesso, questo disegno? o non rimase per caso, fra le carte del Maestro, un'idea tradotta e ampliata in pittura da qualche discepolo o imitatore, che avrebbe potuto poi fornire il quadro all'Altoviti? Ancora: si ponga mente che lo schema compositivo deH'Impannata non è attribuibile al momento aureo dell'attività romana di Raffaello (15H afferma senz'altro il Porcella). In esso il 3. Giovannino non è che una versione del S. Goivannlno del Louvre, sul quale già si elevarono forti dubbi; e l'intera composizione sembra apparentarsi, nell'ideazione e nella chiusura ambientale (le veramente grandi Madonne di Raffaello son tutte all'aperto) alla Sacra Famiglia del Louvre per la quale il Venturi ha giustamente scritto, accennando alla decadenza raffaellesca degli ultimi anni: «Le immagini, che prima avevano tanto respiro' di spazio, si agglomerano nel vano \ai una szanza, intorno al Bambino ]che si stanc,„ con li una stanza impeto dalla culla verso le braccia materne...». Siamo già dunque nel periodo in cui l'Urbinate lavora ormai in gran parte attraverso la mano dei discepoli. S'aggiunga infine che, come il Porcella stesso afferma, deHTmpannata esistono numerose repliche e copie: al Prado, a Firenze, a Torino. Il quadro americano non potrebbe per avventura esser la più bella di queste versioni? Una versione, condotta con mano maestra su quella composizione che un allievo di Raffaello avrebbe dipinto aggiungendo il S. Giovannino alle quattro figure del disegno di Windsor, e poi fat to pervenire a Bindo Altoviti, ma gari spacciandola per opera tutta di Raffaello? Concludendo: secondo noi, per risolvere definitivamente l'interessante problema dell'Impannata di America, occorre prima dar fondo a un altro quesito: ha veramente Raffaello dipinto per intero una i Madonna dell'impannata? E quel'ila composizione scopertasi sotto la superficie del quadro fiorentino non potrebbe per avventura esse re un primo abbozzo di Raffaello, poi continuato, con varianti, pri ma o dopo In sua morte, da un seguace? Per questo facciamo no- j stra la proposta del Del Massa: prima di dare un giudizio senz'ap pello sulla questione si ripulisca (Impannata di Pitti, se ne tolgano tutte le sovradipinture. si esamini ciò che vi è sotto. Questo potrà essere l'ultimo capitolo del « romanzo giallo » d'un quadro celebre. Marziano Bernard' La Madonna dell'Impannata della Galleria Pitti