All'insegna dei "Tre cotechini,,

All'insegna dei "Tre cotechini,,All'insegna dei "Tre cotechini,, Racconto di RAFFAELE CAImZINI Una domeniea, verso l'ora del pranzo, l'osteria si affollò più del consueto; c'era sì tra gli avventori qualche «brutta faccia», qualche « bravaccio » in grigioverde stinta ; ma c'erano tipi apparentemente maneggevoli e pacifici, arrivati coi barrocci, o a piedi. Parevano intenzionati a far fuori in santa pace i cotichini col 'contorno classico della polenta. (Dove va a ficcarsi la « santa pace » e di che mansuetudine si maschera!). Le porte potevano rimanere «aperte; i congiurati eran dentro e il Togn imparò, a sue spese, che è più difficile respingere un nemico dai confini che cacciarlo dal terreno conquistato. Approfittarono di un momento in cui l'oste, lasciato incustodito il banco, ai era recato nella propria camera, per acatemare una baruffa. Le voci divennero presto rissose ; tavola si udirono andare all'aria e sedie volare, vassoi precipitare con un frastuono"di vetri rotti.. Era ancora ottimista — Meno male che se la vedon tra loro: non 4 la prima volta che il vino di Broni produce questi effetti incendiari ! Aveva una lontana e vaga conoscenza del « divide et impera » romano, e gli pareva di dover aspettare il momento buono per intervenire e rappacificare i contendenti imponendosi col peso della sua autorità e della sua figura pronto a ricevere coi ringraziamenti il saldo del conto. Sta in ascolto, anpoggiato a fatiea e ansimante, sp:a dal da vanzale della finestra, osa scendere laccala che conduce al cortile della fattoria. Ed ecco ode pronunciare il suo nome. Cosa della quale si sarebbe offeso mediocremente se non fosse immediatamente seguito da un rombare di berci, di insulti e di contumelie. — 0 che c'entro io? E ohe diavolo vogliono da me quegli energumeni se io non ho nemmeno enunciato che cosa voglio da loro ? — Ma non ebbe tem- So di rispondere a se stesso che -lenico apparve a risponder per lui. — Padrone: vogliono voi! Sono infuriati ! Dicono che vi faranno pagar care tutte le contumelie che avete detto. Si discute tra quelli che voglion farvi la festa.sul posto e quelli che vogliono trascinarvi a bere l'acqua del Moschettone. Senza questi dispareri vi avrebbero già messo le mani addosso! — E tu ? E tu ? E la Tognina, e la Tognina ? E « quello della motocicletta »? (veniva buono anche lui in quel fran- fente). — Io ho fatto di tutto, «a Tognina è là che cerca di calmarli ; ma sono furiosi ; non sentono ragione. — 0 me ! 0 me ! ili faranno fare la fine del Prina ! Se qualcuno andasse a Calcagnate per i carabinieri: se qualcuno passasse. Benedetta strada ! Infinita strada ! Dunque sarà proprio lecito di « arrivare agli estremi ». Altro che estremi ! Ora ode con le proprie orecchie le minacciose parole, ode i pianti di Tognina (beata lei — dice — con una donna non se la prenderanno e poi, lei, ha dalla sua o quello della motocicletta » !). Affrontarli ? e con cosa ? Ci vuol altro che le buone parole I Aprir la cantina ì aprir la dispensa ? Loro ci pensano e senza nemmeno bi sogno d'esservi invitati col * pre¬ go si serva ». Nascondersi? E' presto detto, con questo pancione ? Qua incendieranno ! Là frugheranno ! Per di lì non passo: per di là non corro:' fin lassù non giungo. Aveva fatto in. un lampo la rassegna di tutti gli sgabuzzini, immaginato tutti i nascondigli sceverato tutte le ipotesi. Quanto avrebbe resistito la porta comuuicante tra l'osteria e la fattoria che Menico si vantava d'aver sprangato « appena in tempo »? — Appena in tempo è una parola ! Stava in mezzo al cortile: la notte era chiara, e le nuvole correvano a furia sopra il rettangolo delle baltresche inghirlandate di pannocchie. Se udiva il ragumare delle vacche pensava di cacciarsi in stalla, se il tramestio e il grugnito dei porci in porcile. Le gambe gli tremavano sotto, il sangue un po' gli saliva alla testa, e un po' al cuore. Anche Menico l'aveva lasciato solo ; lui « che aveva fatto la guerra » ! Ecco gli giunge alle nari un profumo campestre che è indice di bel tempo e di opulenza, di maturanza estiva e di solennità rurale, un profumo che, risveglia di subito a chi ha vissuto in campagna fanciullo i ricordi dei fuochi di San Giovanni delle notti punteggiate dalle lucciole, dei primi abbracci con le ragazze, e dei sonni mentre cantano le cicale, un profumo che si accompagna alle lunghe sinfonie dei grilli al partire delle rondini e al nidificare dei passeri, il profumo venato d'odor d'acque, di stalle, di acacie in fiore e di mele appassite: il dolce, il santo profumo del fieno. Il Togn dei purscei, non ha inclinazione poetica e, se l'avesse, in quel momento gli passerebbe : ma la folata che empie tutto il cortile di fragranze floreali e, si direbbe tutta la notte laggiù fin dove la corrente dell'Adda s'impiglia, nei piloni del ponte, gli apre l'animo e il pensiero a una probabilità di salvezza. — Ma già! il fienile. — E se il fienile fosse frugato? — O acutezza della mente limata dalla paura. Il fienile non basta. C'è quella grande corba che si può alzare con la carrucola al livello della grondaia! — Menico, Menico ! —La voce gli esce fioca ; ma per fortuna Menico è ritornato a dirgli che gli energumeni sono un poco calmati. Dunque il tempo per la » manovra »c'è? — dice l'oste che ha già preso il tono e i vocaboli dei bollettini militari. — Si c'è — La corba è calata al suolo : il Togn vi penetra dentro faticosamente, si rannicchia: è come un M maioscola. Ora tutte le ansie sono per la corda, per la carrucola, per la resistenza del gancio. Egli ciondola tra due minacele come, in quel leggero chiaro di luna il suo involucro in balìa del destino. Il Menico ha appena finito di alzare la corba al livello della grondaia e ha annodato solidamente l'estremo della corda ; che gli energumeni son in cortile : corrono all'impazzata, aprono una porta, spalancano un cancello, schiodano una serratura, sfondano una siepe, tirano .un paletto. Hanno cento mani, cento piedi. Mutano di pensiero, di umore, di direzione ad ogni passo. Sono faceti e minacciosi, crudeli e brilli ; godono di metter in fuga i maiali, di aumentar la confusione liberando i polli, di abbozzare una corrida spingendo in cortile le vitelle: gridano, sparano all'impazzata: in aria, nelle zucche, nelle pannocchie : saltano dalle baltresche sui mucchi di letame e di fieno come acrobati, si arrampicano su per il pergolato come scimmie, legano la secchia del pozzo al collo della vacca. Furiosi e allegri: micidiali e farseschi. Non Iranno un piano: forse non hanno nemmeno una gran « sete di vendetta » — pensa il Togn che invisibile assiste di lassù allo scompiglio — speriamo che si sfoghino ; Dio voglia che ne facciano e combinino tante da dimenticarsi di me ! Mandino a bordello le provviste ! al diavolo le cantine ! in malora la salamoia. Ma il fienile no: il fienile lo risparmino ! Non venga loro in mente che il a pezzo grosso » è rifugiato nel fienile. Quando capitano ai piedi del fienile non c'è più speranza ; parlano d'incendiarlo ; parlano di mettervi addirittura la dinamite. Meno male la saggezza di Menico li trattiene: l'incendio o lo scoppio richiamerebbero gente: farebbero accorrere i carabinieri. Allora si vendicano come possono. Mano alle forche e dentro nel pieno grandi colpi da trapassare un bue! Mano alle rivoltelle e dentro colpi all'impazzata. — Meno male — pensa l'oste che nou ha più una goccia di sangue nelle vene I Fanno fuori le munizioni ! — Ma subito la prudenza gli suggerisce. — E se per sbaglio colpissero la fune della corba' E se il fienile s'incendiasse? Se prendessero il mio rifugio a bersaglio I — Non osava nemmeno più ideare tante minaccie perchè subito venivano messe in atto. La sua fantasia e quella de' suoi assalitori procedevano a pari. Ma quelli vi aggiungevano parole e gesti e che, dì lassù, acquistavano un tono tragico : — Questo per le sue cosce ! E questo per il suo ventrone ! Se una volta lo acciuffiamo! Se un'altra notte lo sorprendiamo! Se giudizio non mette! Se partito non muta ! Guai per lui ! E giù tonfi e su spari e da una parte e l'altra imprerazioni. Finalmente, come Dio volle, Menico e la Tognina e « quello della motocicletta » (bisogna dire che anch'egli intervenne con molta buona volontà), il peggio passò. Tutti ripresero i barrocci, le carrette, le « motociclette » o, più sgmplicemente, il cavallo di San Francesco ; e la fortezza fu abbandonata. Il nostro oste fu calato dalla carrucola, e non gli rimase che fare l'inventario dei guasti, i quali erano meno grandi e meno irreparabili del prevedibile, e di mettersi a letto. **# Tutta Castagnate fu intanto piena di quella cronaca. E, complice Menico, che voleva concluder bene l'impresa cominciata benissimo, si seppe.presto a quale stratagemma il Togn era ricorso, la notte fatale, per sfuggire l'ira dei suoi assalitori. La storia della corba dove la pinguedine aveva trovato posto e rifugio spinta e compressa dalla paura, divenne, in pochi dì, proverbiale. Si sapeva che l'oste, al primo assalto sarebbe fuggito e che, per aver salva la pelle lasciava le imbandite tavole a disposizione degli aggressori. Al minimo strombettamento di un camion, quando due o tre motociclisti si arrestavano per mangiare un panino e berne uu bicchiere, quando l'osteria si riempiva di tipi sconosciuti, di tipi « non sicuri ». quando la banda di Castagnate sfilava sulla dritta strada che condure a Lodi intonando gli inni nazionali, Antonio Fusi si avvicinava quatto quatto al fienile. Sapeva come doveva comportarsi. (Il guaio è che anche gli altri sapevano come egli si comportava). — Menico, vienimi dietro ! — diceva a bassa voce — Menico insapona la fune ! Menico non fiatare ! Me¬ nico non; far cigolare la carrucola ! — vErano le sue frasi in quei minuti di gelo. Poco atìa volta prese l'abitudine di andare lassù anche il pomeriggio a farvi, in una posizione scomoda, ma in sicurezza (è questo checonta), il solito pisolino. E ancthie vi cominciò a portare qualcliie libro e il giornale.' I dialoghi tendenziosi ohe si svolgevano al piede del fienile avevano una rispondenza di sussulti e di emozioni! continue lassù nel cuore dell'osate. — Purché mi lascino in pace I Purché mi lascino vivere e considerare filosoficamente cheiùl mondo gira corno una ruota. CVira osteria sul bordo della stradla, cara fattoria alzata mattone su mattone, care emozioni delleinuove covate e del parto delle vak-che, cara grande giornata della .Fine ottobre in cui si cominciavano a sgozzare i maiali. Di lassù, ecco, tutto pare semplice, dolce e quasi già abbandonato. Un giorno udì, lì sotto, parlare la Tognina con a quello della motocicletta », Fu più-forte in lui la patria «potestas» della paura; bisognava intervenire. L'amoroso dialogo era giurato a tal punto che era prudente» interromperlo. Si affacciò appena un poco all'orlo della corba t? gridò un « benedico vobis » eliti malgrado lo errore di grammatica era pieno di buone intenzioni. Così poi i du» si sposarono. — Vi ho sentiti in tempo — badava a dire l'oste — ora siamo noi «tre cotechini» proprio da metter ^sull'insegna: io e voi due legati insieme» — Non mettiamo limiti, non mettiamo limiti alla discendenza — disse Menico — e la .'Tognina «M Togn arrossì. S! I N'IR

Persone citate: Antonio Fusi, Prina

Luoghi citati: Broni, Lodi