DUCE E POPOLO IN PIAZZA UNITA' di Marziano Bernardi

DUCE E POPOLO IN PIAZZA UNITA' DUCE E POPOLO IN PIAZZA UNITA' (DA UNO DEI NOSTRI INVIATI) Trieste, 19 settembre. Nuovamente' una città italiana ha pa.pii.ato d'attesa e d'affetto, di giubilo e di devozione. Nuovamente strade e piazze si sono vestite a festa nell'azzurro più ridente, mille e mille luci hanno .vinto la notte, immense adunate -di popolo si sono compiute in un rito che accomuna le opere condotte a termine a quelle da compiere. Ancora una volta un nome solo è risuonato, instancabilmente, appassionatamente: 11 Suo, quello del Capo che guida i nostri destini, e vince ostacoli e insidie, e additai al mondo, con parola sempre tempestiva, le vie della ragione e, se occorre, della' salvezza. Ancora una volta anime innumerevoli si sono fuse in un'anima unica e, come sempre, un soffio rovente di entusiasmo, più forte di qualsiasi uragano, da un lembo di terra italiana ha percorso tutta quanta la Patria nostra, non già per rianimare gli spiriti, che ciò non è necessario, ma per confermare che una Italia Incrollabile e invincibile è in piedi, vigile, pacifica ma armata, stretta intorno all'Uomo che cosi bella e possente l'ha forgiata, pronta a credere a obbedire a combattere su quel terreno che Lui, Benito Mussolini, nella Sua saggezza, e nella Sua umanità profonda, con la Sua bontà e col Suo senso di giustizia, saprà scegliere cóme più equo e più fecondo di risultati. Una verità e un significato ' Queste visite del Duce sono ormai da anni — da sedici anni — si, dei riepiloghi, delle prese di contatto fra il Capo e il popolo, e insieme delle rassegne stupende di sforzi realizzati, di mète prima insperate fatte col lavoro e con l'intelligenza, realtà opulente e utili; ma sono soprattutto — ripetiamo — dei grandi riti, delle vere e proprie manifestazioni di quella sublime religione che è la religione della Patria. Perciò, come tutte le preghiere, non si valutano più per confronti, non vogliono nè possono superarsi. L'èra del confronti è finita. Che il Duce sbarchi a Genova o che Egli sbarchi a Trieste, è ormai tutt'uno: si equilibrano soltanto la gioia e l'orgoglio di una popolazione dall'uno all'altro punto della penisola, ster minate moltitudini Gli si affollano intorno, comincia il grande colloquio tra Colui che comanda e incita, e gli innumerevoli uomini che anelano di operare a quel comando e di creare con quell'incitamento; e mentre si mostrano le opere compiute, si attendono le nuove direttive. Un attimo di sosta colmato di esultanza incontenibile; poi l'abbrivio del novello compito. Cosi per Trieste. Ma in quale altro luogo d'Italia più acuta poteva essere l'attesa, più vibrante l'ansia di riudire per la quarta volta la parola del Capo, di qui dove — si può dire — lo spirito squadrista dovette affrontare le più immediate e decisive prove? di qui dove un lunghissimo martirio aveva esasperato la sete della redenzione? di qui dove, più che in qualsiasi altra città italiana, fu sofferta l'umiliazione dei giorni imbelli, 11 sopruso delle in vidie straniere, e il frutto stesso della Vittoria parve, prima che il Fascismo riuscisse a rivalorizzarlo, prima duramente compromesso e poi irrimediabilmente perduto? Perchè è una verità che glo va ripetere oggi a voce alta e de cisa: Trieste, fatta Italiana da Vit torio Veneto, fu salvata dalla Marcia su Roma. La sua nuova Btoria, la storia della sua attività e della sua grandezza ha princl pio da quella data, cosi come da quella data, e non certo da Ver sailles, ha principio la storia nuo va d'Europa. In questa verità sta anzitutto il significato della visita odierna del Duce. Il verbo decisivo Trieste, fin dal primo annunzio di questo Suo quinto ritorno, immediatamente ne afferrò tutta la portata; subito fervidamente entusiasta allestì i preparativi; s'impose di apparire al suo Capo infinitamente più bèlla, più alacre, più possente di quanto mai non Gli fosse apparsa; rammentò — con uno slancio d'affetto e quasi, vorremmo dire, di materna tenerezza — che doveva ripresentarsi a Lui, si, come al Capo del Governo d'Italia, ma anche (e qui è il sentimento gentile che certo sbocciò nel cuore di ogni Triestino) come al bersagliere Mussolini, come al combattente Mussolini, come a Colui che un giorno appunto in Trieste aveva detto: « Tutte le volte che durante la guerra io passavo l'Isonzo, con lo taino sulle spalle, mi chinavo per bere di quell'acqua cristallina e limpida. Se non avessimo varcato quel fiume, oggi il tricolore non sventolerebbe su San Giusto ». Certo. Ma se quel fiume non l'avesse varcato anche Benito Mussolini, certo oggi il tricolore di San Giusto non si gonfierebbe a questa brezza leggera come il vero e proprio simbolo irremovibile della nuova fierezza e della nuova gloria d'Italia. Ma pure In quei giorni di appassionata viglila, di orgogliosa attesa, di mostrare di . sè stessa un novello volto superbo, Trieste non poteva pensare — diremmo meglio, non 'poteva ambire — di essere scelta dall' ora storica come momentaneo faro del mondo, come il punto del globo da cui si sarebbe partita, per glun gere a tutte le Cancellerie europee, in ascolto e fin oltre l'Atlantico e gli altri Oceani, la robusta, squillante voce chiarificatrice, espressione d'impareggiabile tem pestivltà politica, di profonda scienza di governo, di quella com prenslva e toccante umanità che è propria dell'indole mussoliniana, ed insieme della coscienza di es sere davvero la voce di un popolo upmfemecgCstesvcbtmbmletcTsplalastadsqhpl'rol'msdsvtnTDubeaotecUuqtosCCsGtgbdcncallbNGmtmnqdCcesbputdl■ntpsasppldcvlèrsqs i i i — a l a , , a e , o uno, di un popolo formidabile per potenza bellica, per numero di uomini, ugualmente desideroso di difendere la pace per la salvezza di mille e mille focolari, di milioni e milioni di vite, e di tutelare la civiltà d'Europa e la propria dignità di grande Nazione. Giorni terribili vive il nostro Continente e il mondo intero. Lo spettro della guerra batta alle porte di tutte le case, quello del bolscevismo si riaffaccia pauroso su vari, su troppi fronti, ogni attimo che passa può segnare l'irreparabile. Ed ecco questa voce dalla triestina Piazza dell'Unità — nome simbolico che davvero dovrebbe essere inteso come un ammonimento in questi istanti supremi — levarsi netta, chiarissima, definitiva certo orientatrice di ogni decisione di domani: E il Popolo di Trieste, eon quella ormai squisita sensibilità politica cui tutto il Popolo italiano è stato educato dalla vita del Regime, bene ha inteso la portata del formidabile discorso, e con applausi che parevano tuono, con fremito Incontenibile di ammirazione e di passione, con un darsi tutto,' anima sola a un Uomo solo, a ogni frase, a ogni parola, quasi a ogni sfumatura di tono, ne ha sottolineato irresistibilmente i punti capitali, ha capito che dall'altrui comprendere o dall'altrui rifiutare poteva dipendere la pace o la guerra, il bene o il male dell'umanità. Forse mai, come ieri mattina, la parola di Benito Mussolini è stata decisiva per le sorti del mondo.- Ma oggi che il discorso è ormai stato pronunciato e i Capi di Governo di tutta l'Europa lo meditano, è tempo di rifarsi alla cronaca, alla stupenda cronaca di Trieste festante per l'arrivo del Duce. L'incomparabile panorama Un panorama Incomparabile, di una bellezza che, In questo settembre radioso, con questo sole caldo e questo cielo terso e questo mare azzurro, sembra nella affrettata ora indescrivibile, quello offerto da tutta la città adagiata sul breve e verdissimo lembo collinare che corre fra l'Adriatico e il Carso. Una bellezza naturale, poi, cui gli uomini avevano aggiunto tutto quanto esultanza e compiacimento, orgoglio e amore, potevano suggerire. Le vie del centro, da Corso Vittorio Emanuele a Via Carducci, da Via Roma a Via Cesare Battisti, da Via Filzl a Corso Garibaldi, gaiamente pavesate di tricolori, gagliardetti col fasci, gonfaloni con l'alabarda triestina bianca su campo rosso, con grandi drappelle giallo-oro su cui spicca la parola Duce: una decorazione mirabile, ul squisito gusto. E cosi le piazze, da Piazza Oberdan a Piazza Garibaldi, da Piazza della Borsa a Piazza Umberto. E il lungomare, poi, Riva Tre Novem bre, Riva del Mandraccio, Riva Nazarlo Sauro, Riva Tommaso Gulli, e tutti i moli, e la stazione marittima, e la punta della Lanterna, uno sventolio solo di innumerevoli bandiere in questa luminosità ineffabilmente azzurrina, in questa gloria di sole E Infine, in ogni punto elevato della città, in ogni punto cui il Capo avesse potuto alzare gli occhi, a cominciare dal Castello sa- livchpqSFgpdpinnpaudmgccocoaNcdLacftdninnfzasvagdileovfslipLmmcsztQbfmrsgLcpaècTcrSltsDrtsratqvero'al nome di Guglielmo Oberdan, I gscritte gigantesche, squillanti in | sbianco sul verde di giorno, divam pantl di luci la notte: Duce, Duce. Facciamo nostre le parole di un uomo di fede, di un uomo che tanta storia, di dolore e di rinascita, di speranza e di gioia vide e visse, le parole di Silvio Benco: < Noi ■non vedemmo mai (e parlo per noi tutti, triestini di lunga vita) una preparazione di animi e di dimostrazioni festose che fosse simile a questa, e che con cosi reciso distacco ci affacciasse i ricordi di un passato che in- ogni cosa, e assai più negli animi che nelle cose, era l'antitesi della travolgente e cordiale letizia presente». Si, questa che oggi vediamo a Trieste, è davvero la gioia che si sovviene di lunghi patimenti, e che per questo è più calda e prorompente. Molo dell'* Audace ». Come non riaccostare i fatti capitali della storia triestina e non sottolinearne quei significati profondi che essi esprimono? Qui, a questa lingua sottile di muratura, U 3 novembre 1918 attraccava 11 cacclatorpedi nlere « Audace », e tra un popolo In delirio, mentre ancora sui fronti tuonava il cannone dietro la rotta absburgica, e le cavallerie nostre galoppavano sulle riconquistate pianure, e quello che era stato uno dei più possenti eserciti del mon do cedeva in disordine alle nostre armi benedette, qui, su questi pochi metri di terra martirizzata, balzavano i nostri Bersaglieri, 1 liberatori, finalmente, i primi sol dati italiani, e giungeva, si, finalmente, l'Italia: e la prima vera della Patria di nuovo rifioriva. Allora. E oggi ecco 11 bersagliere Mussolini balzare a sua volta su questo medesimo molo, dalla tolda del cacciatorpediniere « Camicia Nera », nome fatidico come quell'altro che tutto, col suo motto, aveva osato: Mussolini, il liberatore degli spiriti italiani dall'oblio del senso di Nazione, dalla obnubilata coscienza della dignità del nostro Paese. Il segnale delle vedette Vi eravamo ieri mattina, au questo molo, fin dalle prime ore, tutto cinto da una sottile fila di bandiere, col baluardo, nulla sua destra, della truppa, dei militi, dei Moschettieri del Duce, del battaglione di Marina, schierati dietro due vessilli gloriosi: la bandiera del 12° Fanteria e quella del battaglione San Marco, insieme col labaro della Federazione. LI dovevano giungere gerarchi e ministri, le LL. EE. Thaoh di Revel, Buffarinl-Guidi. Cobolli-Glgli, Medici del Vascello, Host Venturi, Volpi di Misurata, Russo, 1 generali Gariboldi, Pricolo, Moiso, il Federale sGse le altre autorità politiche e mi- n l a o e n o l - litari di Trieste. Lì stava per arrivare S.-A. R. il Duca di Spoleto, che ha lasciato il comando della piazza di Pola per raggiungere quello di una divisione navale a La Spezia. Sei battaglioni di Giovani Fascisti stendevano i cordoni lungo Riva Tre Novembre, sei altri prestavano servizio fino a piazza dell'Unità con la milizia e la truppa. Vista da quésto punto, la città in declivio era un immenso mare nereggiante di folla; la grandepideliadiil tofaciope GrGrzapopiazza al mare, stupenda tribuna e aperta verso l'Adriatico, era unjfeunico nucleo di popolo sormontato dida selve di vessilli. E altre fui-,hamane di popolo continuavano a pegiungere verso il centro, si concentravano ai punti prestabiliti con ordine perfetto, obbedienti ai comandi metallici trasmessi dagli altoparlanti. Il cacciatorpediniere Camicia Nera scortato dagli altri otto caccia, Gioberti, Oriani, Alfieri, Carducci, Fulmine, Baleno, Folgore. Lampo, aveva lasciato Venezia alle ore 7.50. Due ore e mezza occorrevano per varcare a velocità fortissima l'arco del golfo adriatico. Mancavano pochi minuti alle dieci: si sentiva nell'aria l'immane, spasmodica attesa della città intera; giungevano sul molo i ministri e i gerarchi; l'alta sottile figura del Duca di Spoleto avanzava nella sua candida divisa di ammiraglio, e tutti i presenti ossequiavano il principe. Le dieci; e di là dalla Lanterna, verso Pirano, le vedette avvistano all'orizzonte i lontanissimi navigli. Il primo urlo di sirena sale dal due caccia qui all'ormeggio! il Lira e il Libbra. E' 11 segnale; e da nave a nave, aa opificio a opificio, da centro a centro di lavoro, . giù giù quasi fino a Monfalcone, tutta la città è allora un solo clamore prolungato di metalliche voci, cui si unisce quello del pari possente delle voci umane. L'aria ne freme, l'eco si perde sul mare. Dieci minuti, dieci eterni minuti. Ed ecco le sagome bianche delle siluranti snelle. Primissima, la nave del Duce; a distanza, in formazione frontale, la scorta d'onore. La velocità è fulminea. Quasi non si fa a tempo ad abbracciale collo sguardo l'intera flottiglia, che già vediamo 11 Camicia Nera virar di bordo per una rapidissima accostata. Ora ci presenta la prua che solleva due grandi onde argentee di spuma. La manovra è impeccabile. Il caccia- giunge come una freccia, a pochi metri dal molo dove, tra gli astanti, passa un fremito. Il Capo è 11, su quella tolda, sta per toccare col piede 11 sacro suolo di Trieste. E' un grido soffocato: eccolo, mentre corrono per l'aria 1 rintocchi grandi del campanone di San Giusto, questa voce cosi Italiana, che i vecchi triestini ascoltavano sperando. Dal molo all'arengario E 11 Duce Infatti appare, sulla sinistra della coperta, verso poppa. Dietro Lui, i ministri Ciano, Starace e Alfieri, S. E. il sottosegretario alla Marina Cavagnari. Veste la divisa di comandante generale della Milizia, robustamente si appoggia al parapetto, volge lento lo sguardo su tutta la città, quella che in questo momento è veramente la Sua città, e poiché , I già pare valutarla anche con quen | sta prima occhiata, un largo ma- e. n a, e, oi oi a e n ai a a vdi o n a e si a e i o ti a e e o n e oa, 1 l ia ira o, re co uo il la tà au e, di ua ei aro ra tol eri, fci pi ale ILschio sorriso Gli illumina il volto. Guarda verso i colli, guarda le case e il porto, vede questo fiammeggiar di bandiere, quelle lontanissime scritte che a Lui, al Suo ritorno, inneggiano. Forse è in questo attimo che formula le parole che saranno, in piazza, accolte con un tumulto di applausi, le parole che confermeranno ai triestini la loro vicinanza al Suo cuo re, al cuore di Roma. Con quella Sua insopprimibile, costante attenzione a ogni particolare anche minimo, segue attentamente la manovra, la comanda a cenni, mentre le salve d'onore rimbombano per il porto. La nave attracca. Non è ancora del tutto immobile che già è gettato lo scalandrone; e questo ancora oscilla che già il Capo impaziente lo percorre con agile, fermissimo passo, e tra gli squilli degli attenti e le note di « Giovinezza » pone piede a terra. Già. Trieste era Sua in Ispirito; ora pare che lo sia anche più materialmente. Fucili e pugnali scattano nel presentat'arm Le truppe d'onore sono passate in rassegna. Le automobili del corteo attendono 11 presso, ma veloce, risoluto, Mussolini s'incammina- a piedi, quasi sia Sua intenzione guadagnare cosi il Municipio e la piazza. Soltanto al termine del molo, mentre la folla assiepata già prorompe nel suo formidabile saluto, si risolve a salire sulla prima macchina. Abbiamo appena il tempo di lanciarci al seguito del corteo, di passare tra la marea della folla, a stento trattenuta nel suo impeto di devozione, dì giungere alla tribuna della piazza, là dove era accolta la missione del Manciukuò e la rappresentanza del Reich germanico, che già 11 Duce sì affaccia all'altìssimo arengario dominante, la sterminata moltitudine. Chi dirà mal l'urlo che Lo accoglie? Chi potrà riecheggiare questo alancio popolare che si conclude in un nome ripetuto in un rombo Immane, In un levare alto 1 vessilli, gagliardetti, labari, bandiere, Insegne, In uno sventolar di fazzoletti e di drappi, in un trasporto insomma di voci e di gesti che sembra non debba avere più fine? Centocinquantamila presenti Il Duce contempla questo Suo popolo fedele, questi centocinquantamila presenti che paurosamente si assiepano nella vastissima Piazza dell'Unità. Dall'alto del gigantesco podio foggiato da due stilizzati timoni coronati da una sorta di tribuna, Egli appare veramente il pilota dell'ideale nave: la grande nave che con mano fer- coleLunoMzaunci unchpafrscchpatratmindis'emecracolealteDutevacicobiqusafrmgevafumquribal'adimtodesoporefolooguselomtinsagmfotodpulaecrctdlbgcdmi- rea sa guidare attraverso tutte le gadgprrfCpdmlgdagpgl empeste, verso 1 suoi destini sicui: l'Italia. Meraviglioso spettacoo. Non v'è palmo di muro, tut'intorno, che non sia ricoperto di rappi e di multicolori stoffe. Non 'è finestra che non sia gremita i astanti, non vi è tetto da cui on si affaccino i plaudenti. Caaci tribune accolgono altre miliaia di ascoltatori. Sullo sbocco elle due vie adiacenti al Municipio sono adunati tutti i vessilli delle organizzazioni fasciste giuliane, selva policroma di straordinario effetto; al centro, svetta il gonfalone di San Giusto; e sotto sta il mare della folla; le donne fasciste dell'Istria e della provincia, le formazioni giovanili, gli operai dei cantieri dell'Adriatico e delle altre industrie triestine, i Gruppi Rionali, i dopolavoristi, 11 Gruppo Universitario, le organizzazioni sportive, insomma tutto il popolo di Trieste, della provincia. e di qUeile altre provincie limltrofe d0n<ie ventotto treni, quattor dicj piroscafi, infiniti automezzi ,hanno recato decine di migliaia di persone. E' l'apoteosi. E' un sa lire al cielo crescente di invocazioni e di plausi. Tuona il saluto di Achille Starace: Camicie nere! salutate nel Duce il Fondatore dell'Impero! e quotato l'evviva, il Capo alle 10,35 comincia a parlare; con accenti che subito scendono al cuore del grande popolo triestino: « E' la quarta volta che ho la ventura, l'onore, la gioia di rivolgervi la parola ». ffi il discorso si snoda, rivive la storia gloriosa di Trieste, rievoca tristezze e speranze, esalta i fasti decisivi. Il popolo palpita, applaude, acclama. Quindi parole e concetti abbracciano sempre maggior cerchia di argomenti. E' fatto il punto della grave situazione eu ropea, è ribadito l'atteggiamento dell'Italia, è chiaramente definito il problema della razza, vigorosamente annunziata la sua soluzione. Si stabilisce 11 grande dialogo, uno dei più solenni fra tutti i dialoghi cui il Capo ha abituato il Suo popolo, fra questo e se stesso. La maschia, altissima voce incide le idee come scalpello nel mar- mpcnplfmltbdslonstrldldvpc Tmo più duro. E oltre duecentomila persone, che tante ascoltano anche attraverso gli altoparlanti nelle vicinanze della piazza, In piedi, ansimanti, pendono da quelle labbra, scandendo 1 periodi con fragore di applausi. Replicatamente un trìplice « Duce heil » si leva dalla folta rappresentanza tedesca, mentre scattano alte le braccia dei membri della Missione del Manciukuò. E l'elogio di Trieste, la lode agli sforzi compiuti, l'interrogativo solenne che dissipa ogni dubbio, corona il discorso che non ha soltanto Trieste, non ha soltanto l'Italia, ma il mondo In- tero in ascolto. Un'ora storica da quell'arenga¬ rio è scoccata. E verso quell'aren gario, verso quell'Uomo che è l'Immagine stessa e la speranza d'Italia, innumerevoli volte si leva la passione popolare, col tumulto di evviva che richiamano infinite volte il Duce al podio, perchè Egli possa ascoltare come batte il gran cuore di Trieste. Marziano Bernardi