Da aspirante nell'esercito turco a reggitore della Fasania

Da aspirante nell'esercito turco a reggitore della Fasania ImA vendetta NEXm deserto Da aspirante nell'esercito turco a reggitore della Fasania Quell'uomo, che un giorno del '26, s'era presentato cencioso, sudicio, stremato, morente di sete, ai reticolati del nostro fortino di Misda, nella Ghibla, era il «idi — signore — Chalifa Zàui. Io lo conobbi poco più d'un anno dopo, nell'interminabile e combattuta marcia, settimane, mesi, attraverso i deserti della Sirtica, allora per molta parte inesplorati, e che nelle vecchie carte si comprendevano, rappresentativamente e minacciosamente, con la denominazione di Deserto della Sete: esattamente dieci anni fa, nel '28, durante quel ciclo di operazioni di guerra in Libia, dette — del ventinovesimo parallelo. — E lo vidi alla rioccupazione della Giofra, alla presa di Zella, al de cisivo combattimento di Tagrlft, j Un capo, manifestamente, nella piena significazione del vocabolo; intelligente, risoluto, astuto, sceveratore e dominatore di uomini, pronto a qualunque contingenza, e d'un coraggio personale, d'un cosciente impeto e di un'impassibile intrepidezza, davvero ammirabili. L'uomo, un freddo temerario inflessibile. Nei rapporti sociali, di una cortesia quanto mai signorile, spontaneamente e garbatamente sostenuta e liberale, quella cortesia distintissima dell'arabo di lignaggio e di fine educazione, che pare illuminarsi ancora, nel carattere e nelle forme, dell'alta tradizione del Saladino. Nei rap porti militari, d'una disciplina impeccabile: quella ch'è subordinazione indiscussa assoluta al su periore, a chi investito di superiore comando, ed è parimenti, indiscussa assoluta autorità e sicurezza di comando sugl'inferiori, sui comandanti sottoposti e gre gari; non transigendo di un'unghia nè per gli altri nè per sè, dando specchiato esempio di ossequenza gerarchica, per riscuotere Il massimo della gerarchica ubbidienza. Austero, un po' rigido, un po' duro, Chalifa Zàui, e piuttosto chiuso nel suo pensiero; ma co me colui che ha un suo fermo pensiero. Della propria vita poco amava parlare, allora; e si sapeva, non perchè comunque gliene rimordesse, o volesse celarne vicende e sventure; ma come colui ch'evita rinnovellare troppo acerbo dolore, cerca non frugare nella piaga che più gli sanguina e brucia. Però quel suo pensiero, quasi spasmodico, gli restava tutto confitto dentro; finché non esploderebbe. Schiatta sceriffa Chalifa Zàui è mio coetaneo, nato a Ez-Zàuia el-Garbì.a, sulla spiaggia tripolina, nel 1889. Arabo di aristocratica schiatta, in quanto la sua gente si nomina sceriffa. Come noto, le tribù sceriffe, tra le popolazioni musulmane dell'Africa settentrionale, cioè escSpiorfa, vantano la discendenza da consanguinei del Profeta; ilche conferisce loro pregiatissima nobiltà nel mondo islamico e una supremazia di diritto. Giova pur osservare che nella generalità dei casi la genealogia risulta peggio che dubbia, se non il più delle volte si riconosca leggendaria e fantastica; ma a ogni modo quella qualifica di Sciorfa attribuita a determinate tribù, o cabile, a distinte collettività etniche, costituisce attendibile indizio dell'autenticità della loro origine araba; e corrisponde, ripeto, a un elevato rango di nobiltà. Giovane, Chalifa Zàui, quando la Libia era in possesso della Turchia, fu ammesso alla Scuola Militare di Tripoli; donde passò a quella superiore di Costantinopoli. Ma gli fallirono gli esami per ufficiale; ed entrò nell'esercito turco semplicemente col grado di aspirante. Assegnato al Settimo Corpo d'Armata, che era di stanza in Arabia, lo raggiunse nell'Iemen; dove rimase ininterrottamente gli anni dal 1911 al '14. jPerciò non partecipò alla guerra j italo-turca per la Libia, I Ma s'era fatto notare, in Ara !bia. E richiamato, venne incarica- o . » to d'una speciale missione dal Governo Ottomano; sicché, nel 1915, in piena guerra europea, riesce a sbarcare ad Alessandria d'Egitto, con documenti artefatti, eludendo la vigilanza della polizia egiziana e il più severo controllo della polizia militare inglese. E rientrava in Libia per via di terra, credo girando da Giarabùb; e proseguiva a Misurata. Coi nostro intervento nella guerra, avendo noi concentrato ogni nostra forza e sforzo sul fronte europeo, a torto o a ragione sguarnendo la colonia libica assai al di sotto del minimo necessario, onde i sanguinosi rovesci e disastri, cui ho già accenna- a a la a r i o a a ; o o a dicembre 1913 to altra volta, del '915, e fino a. cfarci ricacciare e assediare nelle fcittà della costa, e ristretta in Tripolitania la nostra occupazione territoriale esclusivamente a Tripoli, Homs e Zuara; la Turchia, sollecitata e spinta e aiutata dall'alleata Germania, vagheggiò riscattare il dominio perduto con la guerra del '911-'12 e con la pace di Losanna; e come noto, tentava ristabilire un proprio simulacro di sovranità nell'interno della nostra colonia, incitando e raspFmbunmsarmando gl'indigeni alla guerra j dreligiosa, fomentando le ambizio- !ta ò r o i o . ni e ardori bellicosi della Semi sìa e dei principali capi, a noi già ribelli o tentennanti. Un sottomarino tedesco, di quei che frequentemente approdavano in vari punti della costa libica, e vi avevan anche stabilito basi di rifornimento, come per esempio a Misurata Marina, portò, appunto a Misurata, tra gli altri, il maggiore turco Sahib bèi, delegato a governatore della Fasania; dalla quale noi eravamo stati costretti a ripiegare, dal decembre '914. E il maggiore Sahib bèi s'aggregò ii Chalifa Zàui; che l'accompagnò a Murzucco, in qualità di segretario, e gli rimase costantemente a lato, esperto consigliere e valido collaboratore. Nel séguito degli avvenimenti, nidrctmcccaltroldIhnlà situazione politica locale subì- ; acva sostanziali modificazioni, e fino a un radicale mutamento. E cioè: quei capi e la Senusia, che la Turchia aveva cooperato a suscitare contro di noi, non solo si sottraevano in un secondo tempo al suo influsso, ma tendevano, rafforzati, a rigettarne ogni ingerenza, ad agire per proprio conto, nel proprio esclusivo interesse, o che^essi consideravano tale, renitenti a ogni supremazia, svincolati da ogni autorità. Se dal canto suo la Turchia sperimentava ancora una volta la verità dell'asserto che chi semina vento raccoglie tempesta; si manifestava d'altro lato quell'istintiva inclinazione delle genti del paese, e di titolo ed esercitavano funzione di I PFptdcoloro in ispecie che avevano i.1° „a „„J,v»nn f„n*innP rll ! a - al l a, a a a o l a - capi, prepotente inclinazione al disordine sociale, alla sopraffazione violenta, all'avania e all'anarchìa; sempre quando non li domini e tenga debitamente a rispetto un'autorità qualificata, che s'imponga, e non siano agguagliati tra di loro e retti in giustizia da un forte governo, inevitabile e I folgorante giustizia; che in que- |sto caso tutti tornan mansueti, e i godono in tranquillità del proprio | benessere, e son contenti. Appun- < to Chalifa Zàui una volta mi di-1 peva: Noi, Libici, abbiamo bisogno | d'un governo. Ma un governo forte; perchè quello che non è forte, non è più un governo. All'insegna della giudaica barba E la manchevolezza sua, nella enunciazione di questo concetto, era di riferirsi limitatamente ai Libici. E' invece una realtà generale, che vale presso qualunque popolo e in ogni società: quello che non è forte, che non impone uguale e sicura la legge per tutti, individui conventicole e masse, non è un governo. E nel più dei casi, per l'indisciplina congenita degli uomini, per il loro insito spirito di malcontento e di turbolenza, per il loro egoismo e la loro facinorosità, non rappresenta che un ponte di trapasso, dal .con-,flitto dei singoli interessi e dalle rivalità dei partiti al disordine e alla tirannia, all'anarchia e allo sfacelo. Cosi dunque, affiancando quel preteso governatore turco della Fasania, ancor durante la guerra mondiale, quel maggiore Sahib bèi, incominciava per Chalifa Zàui la lotta contro le mene della Senusia e contro le velleità autonomistiche e la faziosità e faci morosità dei capi libici: lotta dapprima dissimulata e sorda, poi dtchiarata e sempre più violenta e acca- nita. E Senusia e capi, diventati insofferenti e ostili a quella larva di predominio, o piuttosto ingerenza occasionale dei Turchi, e che spregiavano quei rappresentanti del governo Turco o decisamente li combattevano, erano anche i naturali e irreducibili nemici del Governo Italiano, e peggio crescerebbero. Però Chalifa, non ancora accostatosi al Governo Italiano, anzi, per la missione assunta,, avendo già architettato e lavorato in contrapposizione, veniva oVa ad aver comuni con esso ostilità e nemici. Sconfitta la Turchia nella grande guerra, seguito il crollo degli Imperi Centrali, il maggiore Sahib bèi era stato richiamato, e se ne tornava in patria. Aveva ben ; altro da pensare, ora, la Turchia, che non affannarsi della Libia. I fosse di provvisorio e d'aleatorio, I Partendo, Sahib bèi lasciava !&■ propria carica, il governo della! Fasania. al fido Chalifa: che se la sbrigasse lui. E Chalifa figurò j prima reggente; poi assumerebbe j egli stesso titolo e funzioni di nifi- tasserìf, cioè, all'ingrosso, gover- natore. In realtà, la Fasania s'era trasformata oramai in.un suo feu-pdo personale. i Ma se in vetta alle aspirazioni ; di tutti gli altri capi libici, alle | loro megalomani ambizioni, non ( era altro che questo, ritagliarsi e | crearsi appunto un feudo perso-j naie; Chalifa Zàui era troppo piùI cosciente e avvisato di loro, abba- ; stanza europeizzato e informato, | iper non comprendere quanto vij! fnssp di nrnvvlsnrir. „ rl"«lp»rnrln .1 d'inconsistente e pericoloso in tut- ; to ciò; per non prevedere ed esse- ! re certo che l'Italia, uscita vitto- riosa dalla grande guerra, libera; di tornare a rivolgere l'attenzione1 a' suoi problemi coloniali, e prima : di tutto alla quarta sponda, si sa- ; rebbe o tosto o tardi occupata se- i I riamente della Libia, e proceden-1 |do decisamente alla riconquista. ! i (Avvisato e informato, Chalifaj | Zàui, ma non sufflcentemente: egli < non prevedeva 1 rinunciatari go-1 1 verni di Roma del dopoguerra, laj cecità o la frode di quei governan | ti, i loro errori o le infamie, dal '19 al '22). Patriota in buona fede e saggio, mirando sinceramente e intelligentemente a un avveni re progressivo della Libia, Cha-[tifa Zàui s'era venuto• convin-j cendo che il dominio dell'Italia a-Ivrebbe costituito per il suo paese j la più fortunata delle soluzioni, la; sola sistemazione possibile, appro- ! priata e conveniente, che avrebbe garantito la pace, la giustizia, il benessere, ogni desiderabile e più prospero sviluppo di civiltà. E' merito singolare di Chalifa Zàui avere antiveduto questo, dagli anni dell' immediato dopoguerra: quando la quasi totalità degli altri capi libici, o che si spacciavano tali, non concepiva e sosteneva che i propri più particolari, più egoistici interessi, e tutti intriga- vano mestavano congiuravano sibattevano per 11 proprio soldo e per arraffare quanto più possibiledel bottino governativo, e s'abban-donavano a utopie d'autonomia,raggiati e sostenuti da Roma, ca-erosamente e solidalmente, dallasocialdemocrazia, dall'opposizionefarneticavano di democrazia parlamentare e di governo autoctono, abilmente ispirati e sobillati di fuori, da qualche nostra cara alleata della guerra, di là dalle frontiere tunisine e algerine, o da quella egiziana; ma soprattutto inco- parlamentare di sinistra, dalla cosiddetta -— Lega dei popoli oppressi, — all'insegna della giudaica barba dell'avvocato onorevole Giuseppe Emanuele Modigliani. Gli assassini della Tynne Nel corso dell'anno 1920, Chalifa Zàui ha preso risolutamente il proprio partito. E manda a Tripoli un messo ufficiale, al Governatorecon una propria lettera; ch'egli firmava, appunto, mutasserìf del Fezzàn. Il messo scelto da Chalifa Zàui era egli stesso personaggio autorevole: Hamed el-Aiat, capo degli Ulàd Bu Sef, tribù marabuta dstirpe bèrbera, di nomadi della Ghibla. Come sono, degli Arabile tribù sceriffe, esc-Sciorfu; cositra i Bèrberi, di preferenza, e glArabo-Bèrberi, sono tribù mara gregatl, le nuove collettività, che bute, o marabutiche, murabntln, o mrabutìn, che riferiscono la pro pria discendenza a un sancona, ve nerato patrono, e in genere già proveniente dalla Sàghia el-Ham ra, ossia il Marocco meridionale la culla tradizionale dei più cele brati'pellegrini religiosi che vlagpiarono verso oriente dal secolo decimoquarto in poi. Rilevantissi ma l'importanza che questi santo ni, o marabutl, acquistarono ne campo sociale, come elementi d, raccolta e di organizzazione degl errabondi nuclei di tribù, special mente bèrbere, smembrate e di sperse in conseguenza delle turbi nose vicende del medioevo nell'A frica settentrionale. I nuovi àg btÌmW I. n,,r,vP r-nllptri vir» r-hp ne derivarono, s'attribuirono l'ere dita mistica della qualità marabù tica del patrono, considerato ca postipite; e questa discendenza cui s'appellano, e questa qualità conferiscono anche a loro un gra; do di nobiltà, e coinvolge speciale i considerazione e un titolo di pri1 vilegio. Particolarmente gli Ulàd ! Bu Sef si chiamano anche el-Mraj butìn, per antonomasia; e adduco no e venerano capostipite il ma1 rocchino sidi Abd-el -Mola es-Sanjhagi, che ha la tomba, mèta di reverenti pellegrinaggi, nella zàuia di Bu Madi, da lui anticamente[po di quella qualità marabutica... , Non bisogna pero illudersi tropfondata, a Chicla, sul Gebél, tra 1Gebél Iefren e il Gebél Gariàn. j degli Ulàd Bu Sef, o piuttosto tiItolo vantato a onore: nomadi del la regione predesertica della Ghi bla e che si spingono nel deserto sono ai fatti gente bellicosa, aggressiva, predace, e all'occasione temibili ladroni e briganti, come tutt'i nomadi. Per un esempio, tra gl'innumerevoli, ma forse il più risaltante, furono Ulàd Bu Sef chtrucidarono ferocemente, a scopo di rapina, l'esploratrice olandesAlessandrina Tynne, giovanissima, e famosa altrettanto per l'intelligenza, l'intraprendenza e icoraggio, quanto per la bellezzache dicono fosse squisita ed esta L'evviva al Re degli Eritrei del V Battaglione che nel combattimento di Maharuga — 24 dicembre 1913 — conquistarono la bandiera verde del Profeta