La Consolata di Filippo Burzio

La Consolata La Consolata La sera del diciannove giugno di ogni anno è una bella sera per Torino, è la vigilia della lesta della Consolata, stanno per accendersi i fuochi della più lieta luminaria della città. Siamo piossimi al solstizio d'estate, alle nove l'aria in alto è ancor chiara, e i primi fanalini apparsi timidamente alle finestre dei poveri mancano quasi l'effetto, che poi si dispiega magnifico quando, il pio incendio via via propagandosi coll'imbrunire, i ranghi balconi dei piani nobili si accendono a loro volta di fiammelle multicolori, tremanti come le remote stelle a ogni soffio di brezza che accentui la frescura tuttora cortese della gran notte di giugno Festa di giovine estate nessuna finestra è già chiusa per le ferie estive, la città è ancor tutta presente allo spettacolo che di se dona a se stessa e che, come nessun'altra forse (forse anche più di Natale) fonde tutte le classi in un'anima sola. Assiduo presso la fantesca perchè non lo dilazionasse oltre misura, il bimbo ha presieduto personalmente al pio e magico rito : i lumini rossi, gialli e verdi si sono accesi uno dopo l'altro nei minuscoli bicchierini pieni d'olio su cui il cerino galleggia, affidato al suo piccolo salvagente di sughero ; e quell'aggeggio che sa trarre fuoco dal pacifico olio c pur strano, quella fiamma errante sulla liquida superficie è pur bella: ora è venuto il momento di usoire col babbo e la mamma a vedere quel che di splendido succede per la città. Chi a piedi] ohi in carrozzella, che in tram, le famiglie si dirigono al centro, per vie solitarie dapprima, ove poi la folla cresce piacevolmente e si addensa. Sui rondò delle piazze, all'ombra dei grandi viali, i tigli in fiore esalano il più acuto profumo; immense pareti verticali brillano palpitando ovunque, come le lucciole ai campi, come, su tutti i colli di Europa, a giorni, i fuochi di San Giovanni: coppie allacciate tendono bensì qua e là a sgusciare negli angoli, scindendosi da la pia fiumana ; ma chi se ne cura, è affai loro se vogliono fare gli stu- Fi-di in una sera come questa: infantile fantasia non ci abbada, ha ben altro da fare ; tutto è santo stasera, con la letizia in cuore, tutti, tutti si avviano alla gran festa della Consolata. Nei quartieri del centro, a ricevere quell'invasione, i nativi si trovano un po' a far figura di ospiti ; si additano i fregi luminosi più riusciti, i W Maria e simili, finche tutti sboccano alfine sulla piazzetta gremita, piena di un composto brusìo, dove il simulacro della Vergine, altissimo sulla magra colonna, trionfa in un oceano di luce. _ Augusta Taurinorum consolatrir. et patrona. Il tempio splendente ed olezzante è aperto, e due processioni ininterrotte salgono e scendono la gradinata donde già traspaiono le interne meraviglie: la cappella sotterraea di Sant'Andrea, la tomba del beato Cafasso, i corridoi della sacristia tappezzati di ex-voto, giù fino al remoto angolo estroso baluginante fra i giuochi degii archi e delle colonne, dove le due Regine marmoree prostrate sull'inginocchiatoio orano come bianchi fantasmi — tutto ribocca e trabocca di umanità convergente al cuor dei cuori, al marta sunctoriim, al centro mistico di quella rosa fulgentemigliaia di occhi fissi all'Immagine rutilante per i riflessi d'innumerevoli ceri, e indistinta. tlsdrmglgpsqsdncrtemgqmllppzftbE' bene che le cose astratte abbiano simboli a rappresetarle tangibilmente, quasi a personificarle e a farle amare : io non ripudio questo antico bisogno umano, da cui si dice che nascessero iddìi, da cui certo venne poesia : e non lo temo. Tendenza adolatrica, gemono i gretti razionalisti e positivisti, cui lascio l'ingrato compito, fino ad oggi vano, di purgare l'umanità dei suoi pretesi eccessi mitici ; e attendo anzi, per quanto posso, a dai* al mito un nuovo senso e valore: quello per cui la nostra « magicità » non mira più a dominare il mondo esterno (come ancora Rimbaud voleva fare, quasi con una specie di a apriti Sesamo •, per la virtù di qual^ che parola sovrumana : ma noi Eer questo abbiamo la scienza), ensì a creare mondi e climi interiori. In ciò io mi sento veramente solidale col mio tempo, e penso che il Novecento reagisca legittimamente (se pur talora in vie e modi pericolosi : ma sta a noi correggerlo) all'Ottocento iconoclasta. Voi dunque capite bene che non rinuncerei, per tutto l'oro del mondo, alla pietà di quel simbolo che è per Torino l'effige e il culto della Consolata! Certo, purtroppo, è un aimbolo femminile, ma pazienza : se fosse dipeso da me, avrei preferito un uomo a, rappresentarci e a proteggerci, come fecero i Fiorentini che, più avveduti, elessero addirittura Cristo a loro re; il matriarcato non è troppo di mio gusto, e anche il culto, goethiano e medioevale, dell'eterno femminino suscita da parte mia qualche riserva (più che altro, d'iuterpretazione) a quella che è pur ia mia profonda adesione ai motivi dominanti della civiltà cristianocavalleresca. Ma è vano recriminare contro il corso delle cose, e bisogna riconoscere a Torino una ben forte vocazione femminea se, pur adendo eletto San Giovanni a proprio patrono, la Vergine doveva così sopravvanzarlo in popolarità. Parenti com'erano, egli non se la sarà avuta a male, 1 onore (se del sacro sia lecito scherzare bonariamente) restava pur sempre in famiglia: portentosa famiglia predestinata a sortinaudite, in cui tutti erano san- ti, e uno- dei suoi membri eletto addirittura a un rango quasi divino; a quel posto, unico nell'Empireo, che la Vergine occupa per l'eternità, subito al disotto della Trinità, che guardandola se ne compiace e la incorona ; sovrastante alle candide schiere dei Beati. Di quell'antica creatura assunta un giorno nell'oltremondo, non rimangono ora quaggiù che delle immagini, di cui taluna, come questa di Torino, segnata miracolosamente dalla sua predilezione : e, a rievocarla, la sua vicenda è pur strana. Tre figure orientali reca con sè, quale mistico bagaglio, il pio vescovo di Vercelli, sant'Eusebio, di ritorno dal suo esilio palestinense ; e di una fa dono all'amico san Massimo, vescovo di Torino, le altre andranno ai santuari di Belmonte, in Canavcse, e di Crea, nel Monferrato; formando così, con la loro consanguinea, la Madonna di Oropa, quasi una religiosa unità del Piemonte avanti lettera; un quadrilatero della nuova fede contro l'oste pagana, ancora in armi un po' dovunque. E' l'anno 356 dopo Cristo, l'epoca pressoché senza pari nella storia, in cui il più famoso impero mondiale tramonta e la più grande religione vi subentra : dovunque le macerie e il fcisipprvilmsantaccdcvi fumo dello sconquasso, i resti ciclopici dell'edificio che crolla, gli informi abbozzi di quello che nasce. Se le città son già cristiane, il contado, il payiix, è tuttora pagano: i riti s'intrecciano e oppongono, e le credenze, sulla terra che rinselvatichisce. Se a Ravenna erra ancora, pallida ombra imperiale, qualche Valentiniano, le Legioni già si son ritratte (come, in un corpo moribondo, il sangue al cuore) dalla Britannia alla Gallia.alle Alpi all'Apennino; e, nel vuoto che han lasciato, quasi a forza i Vescovi sono assunti, in luogo dei Proconsoli, a governare. Comincia la grande penitenza, l'umanità entra nel caos che precede una nuova creazione; in quella specie di letargo che restaura le forze; di notturna ombra cui forse, oscuramente, essa anela, come a un bagno d'oblìo, dopo tanto arso meriggio di romana potenza e di gloria terrena. Singolare età, che, sazia di politica, vede la religione installarsi per alcun tempo al timone della storia umana. Le città indifese offrono la tentazione delle loro porte aperte ai gruppi di cavalieri barbarici che entrano a farvi man bassa. Eretti e soli nel deserto delle piazze ormai troppo vaste, i giganti romani — l'Arco il Teatro il Foro — cominciano insensibilmente a scrostarsi; ieri ancora erano il cuore della città, oggi i superstiti abitatori li abbandonano per accorrere in sotterranee catacombe a onorare i corpi di recenti martiri; in rustiche cappellette adorare le effìgi di ignoti iddìi. « Pieno di squallore è l'aureo Campidoglio — tuona san Girolamo — di densa polvere e di tele di ragno soli coperti i templi pagani. La Consolata sta in una di queste cappelle, a ridosso delle vecchie mura: come quelle case dei bimbi, che orollano a ogni soffiar di vento, così l'infantile edilizia barbarica travolge due, tre volte l'Immagine nei calcinacci delle sue rovine ; e, due, tre volte obliata, sempre, per sovrannaturale intervento, essa riappare, dopo secoli, dai cumuli sdelle macerie. E una volta non I rpotrà mancare (in Piemonte) il j lsogno di re Arduino; un'altra' volta è la visione di Giovanni Ravacchio, il « cieco di Brianzone • : « Nella città di Brianzone nel Delfinato viveva un cieco nato di nome Giovanni Ravacchio, figlio dì una nobile e ricca famiglia. Era pio e fervoroso cristiano. Un dì ebbe una visione della Vergine SS. che con maestoso e dolce aspetto gli disse: «Vanne, o Giovanni, là (e gli addita Torino); vicino a una mnvdtmlsgvnl gran torre, fra le rovine di una abbattuta cappella troverai la mia immagine ed avrai la vista... Partissi alla volta di Torino e giunto, dopo grandi fatiche e disagi, al luogo detto Pozzo di Strada, e dal quale scorgevansi le alte torri della Porta comitale di Torino, istantaneamente gli si aprono gli occhi e sopra una di quelle torri vede una luce splendidissima. Fuor di sè per la gioia di avere acquistata la vista, mosso da celeste ispirazione, dice alla guida esser quello il luogo dove devono andare... Il Vescovo e il popolo prorompono in accenti di santa allegrezza e prostrati innanzi alla prodigiosa immagine esclamano estasiati: Ora prò nobis Mscoprimento dell Immagine gei-,urino ebbe nuova vita ». Siamo al le soglie del primo e più vero Ri intercede prò populo tuo, Virgo at?!1^ .*' iE il 20 giugno 1 KM : « Collo dmezzo del cieco di Brianzone, To- slnascimento, del bel l")ueccnto ca- ifvalleresco e cristiano; intorno ai ldue nuclei del Castello e del San- j tuario, a poco a poco, lentissimamente, la città cresce e si articola, si differenzia e si snoda. Ci sarà caro, una prossima volta seguire poeticamente, dal punto di vista del Tempio, il ritmo alternato, religioso e politico, di quello sviluppo. Filippo Burzio