A Napoli nel '92...

A Napoli nel '92... A Napoli nel '92... Quando D'Annunzio guadagnaua uenti lire per articolo e scriueua in uersi alla sua padrona di casa perchè gli comprasse una scriuania e a r 1 e i o i Frugando negli archivi galanti e letterari di una vecchia famiglia gentilizia napoletana, ho potuto ricostruire un grazioso aneddoto del soggiorno partenopeo di Gabriele d'Annunzio. 81 era intorno al 1880, in pieno periodo umbertino, quando cominciavano a prendere parte alla vita nazionale le generazioni che non avevano combattuto sotto gli antichi regimi. Dopo un primo periodo spiccatamente piemontese e lombardo, si era iniziato a Roma un forte movimento accentratore. Intorno al Parlamento e nelle già tediose e semideserte aule della Sapienza, accorreva una gioventù nuova e ardente dalle provinole meno evolute della Penisola. I figli del notai, del medici,. degli avvocati che avevano dovuto sacrificare ambizioni ed energie negli Abruzzi, nelle Puglie, nella Basilicata, nelle Calabrie oppresse dalla ferula borbonica, si precipitavano su Roma: il mito verso cui si era protesa la loro fanciullezza. In quell'agitarsi di sogni nuovissimi e di appassionate discussioni, cominciò a maturarsi la prodigiosa giovinezza di Gabriele d'Annunzio Padrino negli ambienti letterari romani gli fu 11 corregionale Edoardo Scarfoglio, che era la lancia spezzata della ribellione al romanticismo letterario e politico Gli anni di Cavallotti La fastosa e animosa repubblica letteraria romana, che aveva for' tezze pugnaci nel Capitan Fracassa, nel Fanfulla, nella Domenica Letteraria, nel Don Chisciotte, durò quattro o cinque anni. Condottiero ideale di quella pattuglia era, naturalmente, il Car. ducei, e luogotenenti, oltre lo Scarfoglio, Luigi Arnaldo Vassallo (Gandolin) Ferdinando Martini, Leone Fortis. Dominava da un decennio il radicalismo. La Destra Storica, depositaria delle tradizioni e della forza morale che avevano permesso il conseguimento dell'Unità Italiana, era stata battuta dalla democrazia progressi sta. In questo partito erano riusciti ad intrufolarsi molti di coloro che durante le ultime lotte per l'Indipendenza avevano favoreggiato i vecchi regimi o erano rimasti neutrali. Nasceva il trasfor- mrlvatotelie sipAfziinzogpvpmlsmo. Erano gli anni di DepretisIe;di Cavallotti6! giovani più WEllgenti e generosi ai dibattevano in un incomprensibile malessere. Credevano per un po' di combattere contro i giganti e si avvedevano, ad un tratto, di rompere le lance contro i mulini a vento. Scarfoglio opportunamente adottava il pseudonimo di Don Chisciotte. L'incertezza del giovani era quasi tragica: si imitavano i ritmi latini e ci si tuffava in un naturalismo di ispirazione zolania. Scarfoglio si batteva alla sciabola con Gabriele d'Annunzio, da lui accusato di tradire l'ideale « barbarico » della vita nei salotti di Andrea Sperelli, e Incrociava il ferro con molto maggior rischio con Felice Cavallotti, messo alla berlina dalla sua feroce critica. Mentre la Tribuna di Maffeo Sciarra si industrializzava, Scarfoglio, che aveva sposato Matilde Serao, tentava col Corriere di Roma una fòrmula lussuosa di giornale politlco-letterarlo-illustrato. L'esperimento, che fu compiuto tra 11 1888 e 11 1889, non ebebe fortuna: i due coniugi si trasferirono a Napoli e fondarono 11 Corriere di Napoli. Lasciavano Roma con disillusione e quasi con disgusto. Era il sogno della prima giovinezza che svaniva. I due forti giornalisti si ripromettevano di trovare in provincia una atmosfera più sana e ambienti più sensibili. Non avevano torto: solo con gli anni, anzi coi decenni, Roma avrebbe potuto del tutto liberarsi dal clima papale; mentre a Torino, a Firenze, a Milano, e specialmente a Napoli, fervevano tutte le energie che erano state represse nei precedenti regimi. Molti scrittori del gruppo romano seguirono Scarfoglio e la Serao a Napoli. Specialmente D'Annunzio che, malgrado il cavalleresco scontro, rimaneva so dale del giornalista abruzzese. Il pianoforte in redazione a | La vita letteraria napoletana i 1 era molto più folta e prestigiosa di e ; qu.-ila romana, composta nella tetiddbnimrtadaVsaGrl'mmtrzgpvrDptpvmdrSFqgpr, massima parte di immigrati bolognesi, fiorentini, lombardi e pie- MdcrsniLNspivvalbs« montesi. Il gruppo Imbriani-Poelo-Spàventa-De Sanctis esercitaa una grandissima autorità. Edi. ori come Plerro e Blderl tenevan esta a Sòmmaruga. Il giornaismo, dopo l'arrivo di Scarfoglio della Serao, ricevette grandisimo Impulso. Il Corriere di Napoli, nel 1891 fu trasformato in fatrino : su questo foglio fu iniiato un movimento vivacissimo n difesa degli interessi del Mezogiorno. Altri giornalisti di vaglia, come Martin Cafiero, Giuseppe Turco, Rocco de Zerbl, già avevano reso temibile la scuola dei polemisti napoletani. D'Annunzio, fresco ancora del„d$! ^Z'V^T^rVJfn EittSM: egrante della redazione del Matino. Strano giornale e strana redazione, a riguardarli oggi. Il modello era ancora il Journal des Débats e l'allora giovane' Tomps: unnutrito articolo di fondo seguito mmediatamente dai Mosconi, una ubrica mondano-letteraria redata da Matilde Serao sul modello dei parigini Bchos. Si chiamavaanzi, in origine Api, Mosconi eVespe, ed ebbe tale fortuna cheseparatasi la Serao dòpo alcunanni da Scarfoglio per fondare iGiorno, i due giornali si disputa-rono in Tribunale la proprietà e 'esclusività della rubrica. Un gramo notiziario telegrafico vivacemente commentato, qualche letera da Róma, da Milano, da Parigi, e una vasta, epica, romanzesca cronaca non sempre peregrina e non sempre volgare, completavano la parte politica devecchio Mattino. Nella parte letteraria spiccavano l'Innocente dD'Annunziò, che si pubblicava a puntate, la critica teatrale esercitata da Roberto Bracco, frequentpoesie di Salvatore di Giacomo e vaste e colorite relazioni di viaggmediterranei e oceanici scritte dallo Stesso direttore, Ugo Ricci, che successe nella direzione dei Mosconi a MatildSerao, dopo un breve Interregno dFerdinando Russo, mi narrava dquei giorni con mimica ed immagini pittoresche. Nei giornali napoletani di mezzo secolo fa, si sarebbe potuto notare l'assenza dellMarinoni o del calamaio, ma nondi un pianoforte. E che spazio occupasse questo frumento nellaredazione del Mattino di complessive tre stanze, è facile Immaginare. Il Ricci, che era figlio di unindustriale cartiere di Isola deLirl, veniva di tanto in tanto Napoli per tentar di esigere il nonsempre facile e non sempre liquidpagamento della carta. Saputolin redazione esperto di musica, invece di saldargli le fatture, lo convocavano a sera tarda, e, messolal plano, tra Colauttl, Scarfogliola Serao, d'Annunzio, Mario Giobbe e qualche attrice di passàggiosi organizzavano quadrighe e fan«eri comandate ed eseguite ch . n o n o i l : n o a o a, era un'Ira di Dio. Solo la Serao, comechè donna, riusciva a salvare qualche lembo del prestigio redazionale. Naturalmente tra 1 balle, rinl spiccava Gabriele d'Annunzio, avvolto in un enorme palamidone, col collo stretto in un enorme solino, col petto adorno da un enorme fiore. nue degabubeinPer Gabriele erano tempi di bohème e di amore nel senso pieno delle parole. Egli aderiva completamente agli ideali sdegnosi e antidemocratici dell'amico Edoardo. Sono di quegli anni - alcuni suol vivaci articoli politici contro la corruzione parlamentare. Il compenso era di venti lire ad articolo. Mal il poeta Gabriele avrebbe usato cosi volgari espressioni. Soleva scrivere all'amico: « Caro Edoardo, ti prego di autorizzare l'amministratore Lecaldano a pagarmi due luigi ». Alla parola luigi, Scarfoglio che pretendeva di restituire d'Annunzio alla primitiva barbarie abruzzese, dinaturalmente un Cam- e [ventava e, bronne. i Franz Lecaldano, feroce ammi-; ilinistratore del Mattino, sapeva! -1 strappare al prodigo poeta auto-| e . aneel edi a iti e gi e ide di di aaae Due « luigi »... grafi preziosissimi. A lui fu indirizzato il famoso sonetto erotico. Ad lunae sororem, venduto recentemente dal libralo Casella ad una personalità politica. La prima quartina di questo sonetto è stata inserita In una sestina del Cento e Cento e Cento e Cento pagine di Angelo Cocles che comincia: Luna, che così dolce t'arrotondi... Verso la fine del 1892 D'Annun. zio cercava un rifugio quieto e romito nel quale lavorare in pace intorno al Poema Paradisiaco e alle Elegie Romane, e per nascondere altro e più dolce travaglio. Ma la sua vita mondana, a Napoli, non era meno intensa di quella romana. Nel salotto di Emma Gallone principessa di Ottalano, il poeta conobbe una piccola e arguta dama, la baronessa Marianna Cassitto della Marra, che gli offrì in fitto un appartamento della sua villa di Resina, il sobborgo di Napoli sorto sulle rovi , , rn ne di Ercolano, non lungi da.quel-;sc- le pendici del Vesuvio che furono ;^a!tanto care a Leopardi. La sua Ps-, ospite era una di quelle donne deli- la vecchia Società borbonica che n ! avevano conosciuta e assimilata el-la modernità attraverso il filtro a francese. La baronessa era celen ] bre per la sua arguzia e per la o, sua sensibilità al comico e al grotlo - tesco, che aveva In comune con n- j tante altre personalità di quel vecn-. chio e decadente mondo: anche lo lei, come il Duca di Maddaloni e o, il Marchese di Caccavone. rompob- j neva odiclne, epigrammi, madrlga o, n-1 di incrociare la penna con la pun Pcsn „ sli. Poteva sdegnare D Annunzio ,he|gente padrona di casa? Ecco al-'tbfs cuni documenti del galante scontro: Nell'appartamento della Villa Vargas, D'Annunzio non aveva trovata una scrivania degna di sopportare le sue nobili fatiche. Nelle sue peregrinazioni cittadine aveva adocchiato una mirabile scrivania dei tempi di Luigi XVI, esposta nella bottega di un antiquario di via Costantinopoli. Ma il prezzo, cento lire, cinque luigi, era proibitivo. Senza por tempo in mezzo, il poeta espresse alla baronessa il desiderio di avere proprio quella scrivania tra la mobilia del suo appartamento. Cento lire! Figurarsi la risposta. Ma per D'Annunzio il bisogno di quella scrivania divenne vitale. A segno che scrisse al genero della baronessa: Gentilissimo Signore, la baronessa della Marra mi ha ri. ferito Sue parole così cortesi a mio riguardo, che lo mi permetto di scriverle pur non avendo il piacere di conoscerLa personalmente. E Le scrivo, indovini perchè* per implorare la Sua intercessione presso la baronessa che è troppo severa verso il suo nuovo inquilino. Immagina Ella uno scrittore senza scrittoio t Ebbene, tutto c'è ne/la mia nuova casa fuorché un tavolo per scrivere. E invano io lo chiedo ad alte voci. La baronessa è inesorabile. Perciò scrivo al gentilissimo genero, pregandolo d'intercedere in favor mio presso la suocera che, per straordinaria eccezione, è amabilissima e piena di grazia. La ringrazio e la saluto cordialmente, scusandomi della stranezza di questa lettera certo per Lei Inaspettata. Suo devotissimo Gabriele D'Annunzio. La supplica decisiva H barbuto cameriere di cappa e spada di Sua Santità, genero della baronessa, non dovette spiegare eccessiva eloquenza. I suoi buoni uffici furono preceduti da ben altra missiva. Una supplica in settenari: mfooleansbMrscus/updsmtS; ! | Mia dolce baronessa, non mi sarà concessa dunque una scrivania che In tutto degna sia dello scrlttor famoso? L'animo generoso non moveranno 1 versi supplici? Dunque apersi Invano la mia vena? O amica, gratta piena, non mi fate languire per quelle cento lire che l'antiquario chiede! Voi sarete l'erede del morituro sposo. Domani un prodigioso flutto d'oro le casse v'empirà senza tasse... Che sono dunque cento lire buttate al vento? Deh! fate che domani sera le belle mani baronali io vi possa baciare! Non vi ho mossa la pietà nel pio cuore? Orrore! Orrore!! Orrore!!! E' dunque un cor di pietra che nè pure la cetra d'Orfeo distoglierebbe? Ahi me, chi mai l'avrebbe lmaglnato? Addio baronessa crudele. Misero Gabriele! nella sua innocenza egli resterà senza la scrivania. Per cento lire! Per sole cento lire! Per cento lire sole! Ah, meglio morire! Il vostro cor m'ascolta? Questa è l'ultima volta. L'ultima volta sia. Voglio la scrivania, quella di cento lire! o pur voglio morire... Gabriele d'Annunzio 22 decembre 1892, sera. e e e e . i a e o E' Inutile aggiungere che la ba , ronessa sciolse i cordoni della bor -;sa e acmiist6 io ,rHv»nia «iViia o ;^,ale doveva esser a Poema Paradiaiaco. e a fucinato il Alberto Consiglio