Quattro uomini e una donna di Ernesto Quadrone

Quattro uomini e una donna il gondolieri: degli innamorati Quattro uomini e una donna Dal Grand Hotel ai "Due Plori,, L'AvePiarla di Schubcrt Marinai in imbarazzo (dal nostro inviato) VENEZIA, agosto. E questa volta finalmente, spunta la donna. La donna che ho cercato per una settimana. • Appuntamento al Grand Hotel, per le undici. Me lo dice Piero, trionfante. Infilo svelto i pantaloni azzurri, la marinara e mi metto la cappellina con il nastro e corro dietro a lui sulla Riva degli Schiavimi. Il suonatore di fisarmonica Anafesto Magrini è già al suo posto, con 10 storico Giovanni Dolcetti. Quattro uomini e una donna. Una donna romantica alle undici del mattino. — Ci vuol pazienza — dice Piero — cominciamo con questa. — E solai — Sola, paron. — Io non vengo — fa Dolcetti — son di troppo. Ma niente affatto, amico delle mie giornate veneziane, non sei di troppo. Vieni anche tu, vesti la marinara. — Ho sessantotto anni e sono sempre stato un uomo serio. — E non ci sono forse dei marinai della tua età e della tua serietà; Un'ora di gioia Dolcetti aorride maliziosamente. 11 pensiero lo alletta. Ha il cuore dolce e tenero come quello di un fanciullo e la parola gli esce con nfinita bontà e arguzia dalla bocca sulla quale i baffi spioventi piangono in grigio gli anni velocemente trascorsi fra pennelli rasoi e libri, ma soprattutto libri. Ci vuole un po' di fatica a infilargli la marinara di Piero che, un po' di pancetta, volere o no, gli è spuntata. — Io — dico — »iì metterò a poppa e tu Dolcetti a prua. Sai vogare? — Come un gondoliere. Il più /elice di tutti, dopo di me, è Anafesto Magrini che sfodera immediatamente la sua fisarmonica. La « Dogaressa » non è mai sfata così bella ed elegante. Usciamo dai pali guardati, osservali da molti curiosi che hanno l'aria di chiedersi l'un l'altro: «.Ma dove andranno costorot Che siano diventati matti! ». Afetfiaino trionfalmente il « ferro » sul Canal Grande. « Stai! » « Premi! ». La voce profonda, stentorea di Piero dà anima e spirito all'imbarcazione. Le prime vogate, in gondola, sono quelle che estasiano di più. Nessun « galleggiante » come la gondola, incute un senso di rispetto o risveglia lontane fantasie di avventure marinaresche. Anche se l tragitto è breve, piano, arcinoto, senz'ombra di imprevisti. La gondola, te la senti nel more e non sotto ai piedi e ti dà alla testa come una sorsata di vino a stomaco digiuno. Essa è veramente come uno strumento musicale che, appena toccato, vibra e canta. E' un violino col remo, un violino sull'acqua che parla e sospira quando non dico il vento, ma i colori lo toccano. I colori di Veneaia, naturalmente. Dolcetti resti/o alla mannara biancheggia come un'antica divinità acquatica e, scommetto, in quest'ora meridiana è felice anche il cieco e non sente la sua sventura nè il peso dei cinque finii che ha da mantenere. Cinque figli che sono un amore, dive lui, e si estasia a descrivere non le forme ma i delicati colori delle carni del suo ultimo nato. Egli, in quella sua creatura, concepita nell'ombra, vede la luce della vita che è la più splendida f raggiante. La serenata di mezzogiorno All'imbarcadero del Grand Hotel la donna sconosciuta ci attende. Senza far parola discende nella « Dogaressa » e con un cenno della mano ci indira la laguna. Forza Dolcetti, rema vigorosamente e mantienti all'altezza dela situazione. Piero Grossi è scomparso dietro la spalliera delle poltrone. Quello che non si sente a suo agio sono io. Altro è parlare di gondolieri altro è fare il gondoiere. Metto tutta la mia attenzione a mantenere nella forcola il remo pesante e più di tutto a non scivolare sul tappetino che si arriccia sotto ai miei piedi. A metà tragitto mi par di non j[i potercela fare e sussurro la mia angoscia a Piero che mi rincuora con un'occhiata di approvazione. Insomma adesso che lu> trovata la cliente pagherei qualcosa per perderla. Il « ferro » dondola nella luce e risplende. Piero con dei cenni quanto mai pittoreschi mi dice di tenere il petto in fuori e la testa alta e il piede destro allineato col sinistro checon questo, deve fare un angolo retto. La posizione dello schermltore insomma. Conosco benissimo questa posizione ma non ho mai tirato di scherma su una gondola. La signora pare felice e beata. Piero allunga il collo, la guarda poi si volge a me per dirmi che sorride, sorridendo egli stesso. Lo storico Dolcetti è alle prese col remo, con la pancia e con la marinara troppo stretta quindi non ha tempo per dedicarsi alla mia tragedia. Tragedia di poppa, e solitaria. Finalmente Anafesto Magrini stira la fisarmonica e attacca senz'altro l'Ave Maria di Scftubert.Ci siamo; a mezzogiorno, una serenata patetica lungo le Fondamenta della Giudecca. La gente si ferma, guarda, ascolta attonita e motteggiente. Per il cieco, purtroppo, è sempre notte, gli batta sul bel viso sereno la luna o il sole; ma per noi. Dio. sia ringraziato, è giorno alto, splendido, scintillante. La laguna è verde come un prato e rosee sono le ville che preludiano fra gli alberi e i fiori dei giardini alla miracolosa ascensione della cupola della « Madonna della Salute ». I paggetti del Doge Due « sandoli », due piccole imbarcazioni veloci come freccio, spinte ognuna da due ragazzi che vogano come demonietti o come angeli, vengono a saettare intorno a noi, come i delfini davanti alla prua dei piroscafi. Dio vi benedica figli dell'acqua, pesciolini /elici che cosi bene tenete il remo in mano e le bionde testine erette nel sole. Sono quattro gattini per t quali il remo non è che il prolungamento delle loro braccia abbronzate e già muscolose. Più magnijtcatnente a brandelli dì cosi i loro pantaloncini e le loro magliette non potrebbero essere, e io non ho mai veduto una miseria cosi ricca. Sono cosi spuntati dall'acqua in fondo alla quale — penso — debbono avere lasciati i loro vestiti "da paggi. Sicuramente sono i paggi preferiti di qualche Doge che dorme nel vetro della laguna che, in caso diverso, non potrebbero essere cosi nobili. Oh! bei /uncinili italiani, venitemi vicino, datemi un po' della freschezza dei vostri carpi e dei vostri cuori, che io sudo come un galeotto. La signora romantica appoggia il capo ai cuscino della poltrona e beve l'Ave Maria. La fisarmonica prega per lei, Schubert prega per lei, tutta la soavità che ci circonda prega per lei, ma chi prega per me, per me miserabile uomo di ferra legato al remo, oscillante sul tappeto che mi sfugge di sotto ai piedi t E la serenata meridiana, lasciando la laguna, si insinua nei canali, desta echi sulle fondamenta e nei campielli che hanno l'ombra dei loro pergolati per quelli che beatamente siestano. Passano sui ponti macchie rosse e bianche di vestifini leggeri, portati con estiva gaiezza da ragazze popolane. Oh, virtù della gente nostra che sa far cantare uno straccio colorato, che può comporre una melodia battendo, di corsa, gli zoccoletti sul marmo delle calli sonore. Come deve star bene la nostra « cliente » sui cuscini della « Dogaressa ». Ecco, adesso ha reclinato il capo su una spalla e sogna. Indubbiamente sogna l'amore di un uomo. Purché quest'uomo sia lontano, molto lontano, e non le salti, in testa di ordinarmi di ritornare al Grand Hotel per imbarcare anche lui. Giovanni. Dolcetti dev'essere agli estremi. Anche Anafesio Magrini gronda sudore. Il più felice è questo volpone di Piero che se la gode. Felicità — La signora — io faccio abbandonando il remo — avrà appetito. — Oh si — fa lei — ho molto appetito. Dio t'abbia in gloria. Ti porterei cara e dolce sconosciuta per ore e ore -sull'acqua della laguna purché non io, ma un altro fosse attaccato al remo. L'osteria dei « Due Mori » si trova a quattro vogate da noi. Il « ganzer », pronto sulle fondamenta, ci uncina e ci trae a riva. Il trattore ci accoglie con quel'esuberante e contenuta gentilezza di cui soltanto gli osti di Venezia sono capaci. La signora desidera che tutti facciamo colazione al medesimo tavolo. Siamo in famiglia. Anche il vino bianco è di famiglia poiché é stato spremuto dall'uva che vien su attaccata ale viti della Giudecca. La vigna del Signore. Piero Grossi, prima di niziare la colazione, sente la necessità di fare un brindisi ed esaltando la bellezza e la gentilezza della signora, non dimentica di menzionare la sua « Dogaressa », a mia conchiglia — dice lui — che ha cullato sulla laguna dodici principi, i magnati della finanza americana e le più belle donne del mondo. — E voi — mi chiede la sconosciuta — da quanti anni fate il gondoliere t... — Da ?»iolti, signora, da molti... Ho saputo mentire cosi bene che tutti fummo amici nell'umiltà raccolta e signorile dell'osteria. Così è finita la mia breve uuven tura del « Gondoliere degli innamorati ». — Non esistono più innamorati a Venezia. — O si, signor — esplode Piero. — Qui a Venezia siamo tutti innamorati. Ultima battuta gentile che mi ha sussurrato Anafesto Magrini: — L'anno scorso ero così povero in canna da non potermi presen¬ tare che nei locali di terzo o quarto ordine. Considerate che ho studiato dodici anni al Conservatorio per fare « l'ambulante ». Ebbene, uno dei conduttori di queste osterie mi ha prestato mille lire perché mi vestissi, mi rimpannucciassi e potessi cosi suonare anche nelle trattorie di Venezia. Me le ha date senza nessuna garanzia. — E adesso ? —- Adesso sono /elice. Quando penso che a casa ho cinque figli sono arci/elice. Alzo il bicchiere alla nostra salute, alla salute di noi Italiani. Fu in quel momento che Piero Grossi volle ancora intervenire — come ho già scritto — augurando alla signora che « la sua strada sia sempre illuminata dalla luce incandescente della fortuna ». — Pian — concluse Dolcetti — pian che te la brusi. La serenata meridiana pose termine al mio esperimento di gondoliere. — Ho sessantotto anni — disse ancora Dolcetti — ma una serenata a mezzogiorno non l'avevo mai udita nè immaginata. Ah! Dolcetti, barbiere storico agunare, non sai che a Venezia, soltanto a Venezia, si può essere poeti a tutte le ore. Ernesto Quadrone ii più felice di tutti, dopo di me, è Anafesto Magrini mente la sua fisarmonica che sfodera immediata

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