Cerchiamo soltanto una donna sotto le finestre della Malibran

Cerchiamo soltanto una donna sotto le finestre della Malibran IL GONDOLIERE DEGLI INNAMORATI Cerchiamo soltanto una donna sotto le finestre della Malibran lì primo Casinò di Venezia, fra due colonne di Piazza S. Marco Rossini e Schubert dalia fisarmonica del musicista cieco - La casa di Marco Polo - Silenzio attorno alla sospirosa canzone d'amore v ! i (Dal nostro Inviato) VENEZIA, agosto. Il giorno seguente alla mia visita all' ingegnere Gatti Casazza nel suo palazzo Zorzi, tutto rosso con pennacchi di verdura che, sprigionandosi dall'altana dise : j ' ! gnano un giardino nel cielo, trovo nell' atrio dell' albergo il promesso barbiere. Egli è semplicemente magnifico di umanità, imbevuto di Venezia come una gondola; ed è tutto vestito di nero come le gondole e di bianco non ha che i baffi spioventi e una cappellina alla « lobbia » calata di traverso sull'occhio destro. Il suo sguardo è malizioso, intelligente, ma soprattutto buono. Di colpo gli voglio bene anche se mi osserva con una certa aria di diffidenza un po' canzonatoria. Egli non sa che cosa io voglia da lui, e non lo so neppure io. Si asciuga le mani carezzevoli nel fazzoletto che trae da una tasca della giubba e si p sca della giubba e si presenta. Soc-] chiudo gli occhi per osservarlo: alle sue spalle i riflessi del bacino Orseolo se lo mangiano quietamente. E' veramente un superbo controluce da quadro cinematografico o meglio ancora, più affettuosamente, una cera viva di Medardo Rosso. Accolgo nella mia la sua mano morbida e leggera per il grande amore ed esercizio con cui accarezzò per tanti anni guance di uomini celebri nella sua onorata bottega di Rialto. — Sono Giovanni Dolcetti. — Già sentito nominare. Il barbiere erudito Egli è lo storico autodidatta, il cercatore minuzioso e attento delle origini di tutti i casati nobiliari di Venezia, l'autore di un libro che tratta di giuoco e di bische sorti in Venezia fin dal millecenlosettantadue. L'attuale Casi- nò non è una novità per l'ex glo- riosa Repubblica. La cellula dell'attuale palazzo del Lido venne su fra le due colonne che stanno all'imboccatura di piazza 8. Marco. Esse giacevano da tempo sulla riva e nessuno si sentiva in grado di alzarle. Si cimentò a tale opera | un artigiano che, a compenso del; la sua fatica, chiese al Doge di } impiantare fra le due colonne stesse, quando fossero drizzate, un banco di gioco. Per la prima volta sulla pubblica, piazza, il popolo scese in singoiar tenzone contro la dea fortuna. Così narra il Dolcetti stesso nel]suo libro, compagno di ventimila',, \' volumi forgiati e ordinati sua casa. Credo più unico che raro il caso di un barbiere possessore di una delle più ricche biblioteche rt: guardanti la vita storica e intima di Venezia. Egli aveva anche inventato il modo di radere la barba senza acqua e sapone. Le due cose andavano in compagnia e dal a piccolo » di bottei ga, venne su questo squisito feno! meno di uomo che vive nella luce ! della laguna. Spiego al barbiere erudito e bi[ bliotecarxo il mio piccolo desiderio: ' essere per alcuni giorni il gondoliere degli innamorati. Giovanni Dolcetti si mette come di abitudine il dito sul labbro inferiore. — Cosa scriverete su Venezia? — Nulla. — Molto meglio; sarà più diffi'■ die ma è molto meglio. E' proprio vero che volete una gondola t — Verissimo. Voglio fare il gon| doliere degli innamorati. — E' un mestiere maliziosetto. Sapete vogare* — Non so vogare una gondola. — E allora addio innamorati. , L'amore rovesciato nei canali è amore spento. Però anche questo, !a volte, è indizio di prudenza. — Allora andiamo. — Non posso. Un celebre poeta jugoslavo mi attende al Grande Hotel per sapere quali vtncoZi legarono la sua famiglia a Caterina jdi Russia. — ti poeta può aspettare, venite con me Dolcetti, andiamo. E siamo diventati amici e sento che lo sarò per sempre. Il suo nome pirandelliano è l'espressione fonica della sua anima. — Dove andiamo f — A cercare il gondoliere. — Lo troverà mio figlio. Il secondogenito di Dolcetti, il ragazzone biondo e bello entra fra noi due impetuosamente, vestito elegantemente di bianco, con occhiali neri sotto ai capelli biondi. La « conchiglia » delle più nelle donne americane Come ho già detto è il capo dei duemila venditori ambulanti di Venezia. Penetrare con lui nelle calli, nelle osterie, nelle cantine a bere un'« ombra » di vino bianco è come immergersi nell'anima del popolo, goderne, estasiarsene, comprenderla di colpo. Dolcetti « junior » alla Riva degli Schiavoni dà una voce e il gondoliere Piero Grossi, di balzo, cappellina alla mano, si presenta al nostro cospetto. — Servitor vostro. Niente di servile in questo « servitor vostro » ma un timbro prò- di calda e »°strana cor dialità. Non sapevo — Molmenti me lo perdoni — che la Riva degli Schiavoni prese tal nome dai marinai che veniva» con le loro barche cariche di mercanzia dalla Dalmazia. « Schiavoni » non è lo spregiativo di « schiavi », anzi, è un appellativo amichevole che i veneti davano agli slavi dalmati, amici e, in qualche circostanza, difensóri della Repubblica. Ma la storia non c'entra. Piero Grossi, quello che sarà il mio gondoliere, il nostro gondolie- ?' èJHaSÌ Cel*ÌLfJL*L^ìnt *11 "n »'arca LFZt l nella sua- «conchiglia » principi e magnati della finanza e, dice lui, le più belle donne americane. Conosce l'anima femminile quando l'adagia sull'acqua: l'anima e ristinto. Non basterebbe un bel librone per approfondire lo studio psicologico di un gondoliere veneziano: è un furbone matricolato, un istintivo, un signore, un ingenuo, un poeta, un perdigiorno se gli capita, un risparmiatore, un mistico, un bizzarro eroe del remo, un italico nel più limpido e onesto senso della parola, che, tutta la sua furberia, scompare allorchè sente l'anima, della laguna entrare nella sua. Sarebbe interessante uno studio sulla limpida italianità veneta, forse, o senza forse, la più pura. Piero Grossi parla fiorito. — Sono il servitor vostro per tutto quello che vi occorre. La mia gondola si chiama « La Dogaressa » ed ha per motto: « Ogni alba ha il suo tramonto». — Un motto ben triste. — No, signor, si riferisce all'alba dei motoscafi. — Farò anch'io il gondoliere. — Padrone. — Gondoliere di poppa. — Vi procurerò io la marinara e la sciarpa azzurra con frangie d'argento. Non state a comprarla.— Anche il sor Giovanni sarà gondoliere. — Per l'amor di Dio, mi gondoliere ? Ma poi l'idea lo alletta. Ebbene infilerà la casacca e remerà di prua. — Papà — dice il figlio — ha perduto la testa. — Ma lascia andar che poi non è un gran male anche se mi tolgo per qualche giorno dai miei libri. Il figlio di Dolcetti saluta e agile sparisce tra la folla accompagnato da una scia pettegola di ambulanti: i suoi amministrati. La « Dogaressa » dondola fra i pali E ci troviamo così, Il barbiere erudito, il gondoliere poliglotta e io, soli sul molo, davanti alla « Dogaressa » che dondola tra i pali — Le faccio toeletta e in mezz'ora sono di ritorno. Piero Grossi ha due seggiole del settecento, una grande scultura da innestare fra le due poltrone, un tappeto azzurro con una pedana di Uno bianco e quattro palloncini alla veneziana. Attendiamo nella luce il suo ritorno. Anche il meno attento dei visitatori di Venezia si accorge di colpo che l'elemento essenziale è la luce. Viene un momento che non se ne può più, ma non per sazietà di tutto quel luccichio, ma per un senso di euforia che fa spalancare gli occhi e battere icuore. Tutto si muove, tutto splende, tutto abbacina; e il pensiero se ne va, curvo sotto ai- ponti luminosi, o lungo disteso sull'acqua trafitta dei canali, o vertiginosamente appeso ai marini verdi e rosa dei palazzi. Piero ritorna con l'armamentario scenografico della gondola degli innamorati. — Ci vorrebbe la musica. — C'è, ci ho anche pensato. Se la volete è qui. Ed ecco avanzarsi col carico duna monumentale fisarmonica il musicista cieco, professor Anafesto Magrini. Professore di composizione e di organo, suonatore ambulante nelle osterie di secondo ordine. Il suo repertorio non ha limiti come non ha limiti la sua tristezza, e va da Rossini a Brahms, da Bocchcrini a Liszt, da Bellini a Schubert. Si avanza tutto vestito di nero con la sua grande faccia da senatore romano tesa verso la luce del sole che comincia a discendereGii innamorati non arrivanoLo aiutiamo a salire in gondola. Giovanni Dolcetti e io infiliamo la marinara; Piero Grossi, poiché il sole è disceso, accende quattro palloncini e attendiamo, attendiamo gli innamorati. Ah! lo storico Dolcetti in tenuta da gondoliere, che meraviglia!Le ore passano, gli innamoratnon arrivano. Ci distacchiamo dalla riva un po' delusi. Che il romanticismo sia proprio finito f Mi sento un po' umiliato fra tre uomini e penso con nostalgia ad un'ombra di donna, di una donna qualunque che abbia voglia dchiaro di luna e di musica. Scivoliamo sotto al Ponte Vecchio, imbocchiamo il Rio dei Baratteri, sfioriamo il Casinò storico della proenratcssa Vernier. La fisarmonica di Magrini sti¬ ra le note delle sue canzoni e le riconduce nsi bassi profondi dell'accompagnamento. Non una donna si ferma ad ascoltare. I palloncini piangono sull'acqua lacrime rosse. I palazzi si inabissano un dopo l'altro nei vetri dei canali raccogliendo al sommo la fredda luce siderale. Alle r.nse di Marco Polo ormeggiamo In «Dogaressa» e discendiamo, proprio vicino al teatro e alla casa della Malibran. Ah.', se salisse dall'acqua l'ombra inquieta della maliosa spagnola che rovesciò le folle di tutto il mondo nella scia della sua bellezza e della sua voce... Attraversando la strettissima calle della Corte Morosini entriamo nel regno muto di Marco Polo. Tutto appartenne al favoloso viaggiatore e mercante veneziano; tutto ciò che vediamo era suo. C'è un silenzio di deserto mongolo. Le gelosie delle case sono chiuse; i cortiletti non hanno un suono ep pure sono melodiosi e misteriosi come il cavo di uno strumento antico. Basterebbe una nota per farlvibrare. Tutto qui parla di milioni: la casa dei «milioni», la calle dei milioni, l'osteria del « milione »Possibile che vicino a tanti milioni non si trovi una donna? II caso forse è unico nella storia. Nei mi/ioni ci immergiamo noi, sulla punta dei piedi, preceduti da Dolcetti che il gonfiore delle tasche gli fa andare a destra e a sinistra la giubba nera. Lo segue il maestro, poi vengo io nella mia marinara candida e per ultimo il gondoliere. La notte ci prende, ci fascia neregno del milionario e leggendario Marco Polo. — Lì — dice Dolcetti — forse abitò la Malibran. Le finestre della casa sono chin.se e sopra ci batte la luna. Stiamo in silenzio in attesa de miracolo che non viene: ah, se improvvisamente scendesse dall'alto cielo la sua voce! Allora Anafesto Magrini allunga il biancore della fisarmonicala tende come un lenzuolo, la rac coglie un'altra volta chiudendola \come un libro di fogli d'argentoE la canzone sospirosa sale e simpiglia e quasi si addormenta sotto lo spiovente dei tetti. — Non c'è una donna. Dolcettinon c'è una donna a pagarla un mi /ione, fra tanti milioni raccolti neregno di Marco Polo. La ricchezza ha una sua poesia, ma soltantoquando non c'è più e le donne sanno l'avvicendarsi di queste basse ed alte maree. Ernesto Quadrone Giovanni Dolcetti si è infilata , anche lui la marinara... Aiutiamo a salire in gondola, col carico di una monumentale fisarmonica, il musicista cieco