CESARE BALBO AL CONFINO A CAMERANO

CESARE BALBO AL CONFINO A CAMERANO CESARE BALBO AL CONFINO A CAMERANO |s' sCesare Balbo, a me piace im macinarlo ai giorni del confino! znel suo castello di Camerano in quel d'Asti; durato, per l'ostilità di Carlo Felice, e com'egli stesso lasciò scritto, « dal mezzo il 1824 a mezzo il 1826, i due bellissimi fra i begli anni suoi »; poiché, sposo novello, i< l'oppressione che ei pur sentiva per sè e per la compagna gli era più chp consolata da questa, che non la avvertiva ». Cominciano infatti a nascere fn quel periodo i -primi dei suoi otto figli ; segno indubbio di una vocazione per la vita di famiglia, che fu solo uguagliata (in questa figura esemplare di gentiluomo piemontese dell'epoca post-rivoluzionaria: ed intendo « esemplare », cioè tipica, in misura ben superiore a Massimo d'Azeglio e a Cavour, pur di lui tanto maggiori) dal culto congiunto della patria e della religione. « Così, nel 1824 — chiosa Ercole Ricotti nella sua bella Vita del Nostro cominciava j pel coute Cesare Balbo come una seconda vita. Non più gloria militare o diplomatica, non più le agitazioni delle corti o gli strepiti del campo ; ma la quiete muta della villa, turbata dalle amarezze di un confino, temperata dalla soavità della famiglia, resa feconda e chiara da severi studi. Fra gli immensi benefizi delle lettere è pur quello di recar refrigerio agli uomini sbalzati dalla vita pubblica alla privata Refrigerio ben grande e ben necessario davvero, se ne abbisogna e vi ricorre anche Cavour — pur così preso e consolato dalla vita pratica, comprare e vendere grani e buoi — nei suoi, di poco posteriori a questo, esili di Grinzane e di Leri; e se vi fa appello perfino Napoleone, in quegli anni tediosi di guarnigione ante-rivoluzionaria, e poi ancora in quei mesi forzati d'inattività, alla vigilia della campagna d'Italia: quando entrambi architettano, e addirittura abbozzano, storie, ió-manzi, novelle. . ' . .Pcro 1 animo esulcerato con cui Cesare Balbo si accinge all atti-vita letteraria, considerandola come un surrogato, inevitabile nelle sue condizioni, ma troppo inferiore c meschino rispetto a quella che per lui è sola vera e degna occupazione per un pari ~ "... ,..t • , suo: l'attività politica o diplomatica o militare — è fenomeno ben più singolare, caratteristico, e direi quasi simbolico, in lui che negli altri due: caratteristico di una forma mentii: quanto mai tipicamente « piemontese simbolico dei limiti spirituali di Cesare Balbo, della sua incapacità ad assurgere ad una visione superiore della vita e di ciò che si chiama l'azione. Poiché l'angolo visuale da cui io esamino queste figure, e le tratteggio, è pur sempre — se bene con piena h-berta di movimento ed estroso amore dei personaggi — il demiurgo, mi sia lecito usare anche qui questo metro. « Nel 1831, salito al trono Carlo Alberto — ci narra il Balbo nella sua breve autobiografia, scritta in terza persona — desiderò apertamente, e sperò tornare alla vita pubblica o.alla militare, che ambe gli parvero sempre operosità maggiori e più efficaci che non la letteraria... ». Come capisco Balbo mentre scrive queste parole, come qualcosain me si sente congeniale con lui, come fremo del suo stesso fremi-to al pensiero cocente che tante cose importanti son da fare, nel-l'economia, nell'esercito, nella amministrazione, in diplomazia, e lui è tenuto lassù, dall'antipa-tia succesiva di due re, confinatoe impotente! E il vecchio san-gue piemontese che ribolle, il bi-sogno assillante del fare concre-in l'nmnre dei fatti e il disDrez-to, 1 amore dei tatti e il aisprez zo delle parole ^quello stesso .c]ieCavour placherà poi nell attivitàfrenetica prima in affari e po nella politica. Ma, Cesare Balbo per te la cosa e più grave: tu haitempra diversa, ami il lungo me-datare; fra poco, per meglio po-terti astrarre nei tuoi pensieri, lascierai addirittura alla mogliela cura del patrimonio familiare;e ora sei qui, in questi annidi esilio, sul tuo bel poggio a La-merano, onde domini intorno, so-vrano, l'immensa ondulazionemonferrin a delle conche e dei col-li; e, oltre il limite regale di Superba e l'intravisto varco padano, ti circonda l'augusta cerchia dell'Alpi; hai sul capo le stelle, in quelle sere che, sospesa l'opera diurna, esci dal tuo fortilizio signorile, dalla breve arida ombra del giardino feudale, in mezzo ai prati — e tutto questo non sa dirti niente ? Questa immensa natura in cui si placa l'agitazione della storia ? Per due anni interi di meditazione, di solitudine e silenzio, una rivelazione non ti affulge, che saprebbe darti la pace? Non avverti, oltre l'attività economica, la militare e la politica, a cui si arresta la tua onesta, angusta visione o piemontese » della vita, un'attività più alta che oscuramente avvolge, informa anche l'altra, e la dirige? Qual-cosa che non è « letteratura », cioè, come tu pensi, un perditempo per poveri esiliati, ma (a saperla praticare) la vita più alta, e la più efficace, nobile creazione? qualcosa, insomma, che si chiama l'attività poetica, l'invenzione morale e religiosa? Tu, che sei, o ti credi, così profondamente religioso, non arrivi a concepire che, in questo campo, il più importante di tutti, ci sia sempre qualcosa da fare? Questo doveva essere il prezzo inestimabile di due anni di esilio — una palingenesi interiore — e questo prezzo e mancato. Incapace d'innovare nella sfera poetica, mora-le e religiosa, di cui si limita ad accettare le condizioni statichedel momento in cui vive, CesareBalbo rimane tragicamente rivolto a quella sfera economico-poli-tica donde invece è espulso ; quella dove Cavour guazza come neproprio elemento, e ove anche lui, Balbo, tardivamente e per un attimo approderà, finalmente, i sul declino della vita — lui Capo, ! per sei mesi, del primo governo i costituzionale d'Italia. Sospeso ] fra due mondi, che entrambi gli rimangono, per un verso o per : l'altro, stranieri, non è possibile |sottrarsi, studiandolo, all'imprcs' sione penosa di un destino par- ! ziaÌmente"mancato Così, in esilio, Cesare Balbo si consola meri che a mozzo : con la Storiti d'Italia (scriverla, visto che all'impediscono di farla) ; con la Vita ai Danti: (ch'egli crede congeniale alla sua): «Vedemmo e vedremo fino all'ultimo Dante posparre /tempre la nitri eontem/tintira all'attiva; i suoi studi ai carichi datigli dalla Repubblica... ». Ma è possibile che egli creda davvero che Danto (o Leonardo o Goethe) abbiano preposto una modesta attività pratica alla loro grande opera ideale ? Anche qui, come sempre, Balbo è preda della sua ossessione, che gl'intorbida la vista; e sì che perfino il suo diretto predecessore piemontese, Alfieri, ha avu¬ to ben altra opinione delle lettere e del loro rango ! Ma appunto per questo dico che Balbo è più i piemontese » degli altri; e a questo titolo m'interessa e mi attrae: vi scorgo le mie stesse origini, e un destino a cui sono sfuggito. Piemontese dello antico stampo, egli non innova il tipo, arricchendolo di nuovi motivi (come fanno, in diversa misura, l'Alfieri stesso, Carlo Alberto, Massimo d'Azeglio e Cavour) ; si limita a conservarlo e rappresentarlo nobilmente, portandolo ai suoi modesti fastigi. Gli c che, a differenza di molti della sua generazione, Balbo b ben poco alfieriano: se quegli ha voluto, in un impeto d'ira (e. d'altronde, senza riuscirvi) « spiemontesizzarsi », Balbo dichiara, invece che « si piemontesizzerebbe, se non fosse nato piemontese ». O Pleninnt. o pois d'i móntagnar Pai* (l'omini diir e t.iit d'un toc Ma aut., ma Treni, ma fort (jòm'i I,o roo Ma militar! Bozzi e faticosi versi (e ho citati i migliori) cosi lontani dalla finezza e fluidità del Brofferio, in cui diresti adombrati tutte le ifficoltà e lo sforzo della vocaione letteraria del Balbo ; e quel puntare sul carattere militare del Piemonte è un altro segno esseniale. Anche agli altri 9110Ì conemporanei non fa certo difetto o spirito militare; anche Cavour ha riorganizzato l'esercito e la marina, e ha perso un adorato nipote in guerra; anche d'Azeglio i è battuto magnificamente a Monte Berico; ma Balbo arriva a chiamare «divino » l'esercito piemontese, e considera come la più bella, giornata della 9ua vita a fazione di Pastrengo, a cui si trovato presente con cinque dei uoi figli. Il che mi fa pensare, da una parte, a quei cinquanta Balbi di Chieri che, secondo la tradizione, rimasero sul campo di battaglia di Legnano pugnando contro il Barbarossa ; mentre, dall'altra, rivedo quel bel quadro di Versailles (se non erro) rap¬ presentante il re Luigi Filippo a [cavallo, seguito dai cinque suoi bellissimi figli. In un tipo così inveteratamen te « piemontese ». il sorgere del 'idea e della passione «italiana» e evidentemente un fatto di sin-golare novità e di primaria im-l portala. Come (cioè attraverso quali influenze spirituali ed eventi episodici) sullo scorcio dell'Ottocento, tale idea sia sorta nella mente adolescente di quanti furono poi gli eminenti Piemontesdel Risorgimento, è ricerca piena, non men di utilità che di fascino. Quanto a Cesare Balbo, cracconta egli stesso il luogo e l'anno, inquadrati su un bel fondo di romantica villeggiatura: «Tu quell'anno 1813, incontrato ai bagni di San Didier il generaGifflenga che veniva a curarvuna forila toccata, nel suo bel fatto d'armi di Malojaroslawetzn'udii con una certa meraviglia che quelle idee nostre italiane, le quali in 'eran parute fin allora come una ragazzata, eran pure dlui e di parecchi altri uomini dpratica e di spada, principalmente dell'armata d'Italia; e che in-tendendo essere fedeli al [ radore finche vivesse, era pureimpedesiderio di molti liberar l'Italiachiamarla all'indipendenza dopo Napoleone. Non mi parlò di so cietà segrete, no credo che ne fos se. Ma io m'accostai a. quelle no1 bili idee, a quelle parole ». l Tilippo Burzio

Luoghi citati: Chieri, Italia, Legnano, Pastrengo, Piemonte