RICCARDO CASSIN rievoca I'epica scalata di Guido Tonella

RICCARDO CASSIN rievoca I'epica scalata nopo Im' RICCARDO CASSIN rievoca I'epica scalata Guido Tonella. il solo giornalista che ha potuto assistere alla epica scalata dello spigolo Nord della punta Walker da parte della carovana Casein-Esposito-Tizzoni, ha raccolto dalla viva voce del capocordata Eiecardo Cassin il racconto dettagliato della lunga eroica fatica culminata nel successo dei tre modesti quanto valorosi atleti fascisti. Il nostro Tonella ha seguito l'impresa dei tre gagliardi scalatori dal rifugio Leschaux, informandone seralmente « La Stampa ». Per poter telefonare egli ha ripetuto più volte la traversata de la Mer de Giace, che divide il rifugio Leschaux da Montenvers, percorrendo ogni volta cinque ore di tragitto sul ghiacciaio. Sabato scorso, dopo aver avuto la precisa sensazione che gli scalatori l'avevano spuntata, lasciò il suo posto d'osservazione per trasferirsi, attraverso il Colle del Gigante, a Courmayeur, aggregandosi alla- cordata Gervasuti-Ottoz, la quale, a- causa- delle perturbazioni atmosferiche, aveva desistito dal tentativo di scalare, a Bua volta, lo spigolò della Walker. Salito alla capanna Jorasses — dove già si trovava l'altro nostro incaricato Toni Ortelli — dopo alcune ore di ansiosa attesa, il nostro Tonella aveva la gioia di abbracciare i trionfatori della Walker, che hanno dato, con la loro grande impresa, nuova gloria all'alpinismo italiano. Il versante Nord delle Grandes orasses — e più particolarmente o spigolo della Punta Walker — he già avevamo imparato a conocere sulle fotografie ■— ci si è rielato per la prima volta in tutta a sua grandiosa realtà nella giorata d'i domenica 31 luglio. Con Ugo Tizzoni, che da un anno — da he ilatti è militare — è entrato a ar parte con Gino Esposito della mia abituale cordata, starno andati n ricognizione nel bacino del Lechaux. Lo spigolo ci è parso saato ma fattibile; la montagna n condizioni non ideali per la preenza di ghiaccio, ma in complesso bbordabile. Immediatamente siamo tornati attraverso il Colle del igante a Courmayeur, da dove bbiamo telegrafato a Esposito. Mercoledì alle 12 eravamo di uovo a Leschaux. La capanna era uota; tuttavia — e questo l'abbiamo saputo poi dopo — ima comiva francese, quella degli assi lain e Leninge, aveva fatto un entativo nella giornata di lunedì alendo fino al termine della prima cengia nevosa (quota 3200 cira). Nel pomeriggio io e Tizzoni i siamo spinti fino alla base della arete per studiare l'attacco. Espoito è rimasto invece al rifugio per reparare i sacchi. L'equipaggiamento tecnico che portavamo con oi comprendeva 2 corde da 50 .„. metri, un cordino di 6 millimetriure di 50 metri, 30 chiodi daroc-m, una mezza dozzina daghiac-ip (alcuni tubolari tipo Roseg eltri di nostra fabbricazione) tre iccozze normali, due martelli da occia, un martèllo da ghiaccio. utti e tre calzavamo delle scarpe on suola di gomma, tipo Vibram. Il famoso « diedro » La partenza da Leschaux avveiva alle 3,30 dì giovedì mattina. Alle 6 eravamo alla base. Attraersata la crepaccia, attaccavamo u per un colatoio roccioso sparso i detriti e con fondo a placche riabili. Raggiunto lo spuntone che orona la spina rocciosa della bae e attaccato il pendio di ghiacio abbiamo trovato delle traccie videnti di gradini incisi da un paio i giorni quelli del tentativo Leinge-Alain. Abbiamo attraverato il pendio di ghiaccio tirando ulla sinistra e tenendoci piuttosto icini alle roccie. Questa tratto di media difficoltà ci ha consentito dì vanzare abbastanza rapidamente, mitandoci a delle sicurezze stabite con la picca o sugli spuntoni occiosi. Raggiunta la base della rima muraglia abbiamo subito onstatato che l'unica possibilità Questo primo diedro è senz'altroda\onaid^arsi come-uno dei trattj. difficili dell'intera ascensione^ saì'e'vrima in Unea perpendico-di passaggio stava nel superare U caratteristico diedro che già è stato osservato dalle due o tre carovane che si sono spinte fino quassù nel corso dei loro tentativi lare pef una ventina di lnetri> posi obliqua verso destra per due lunghezze di corda, cioè per 50 metrcirca. La difficoltà di questo passaggio è dimostrata dal fatto che soltanto sugli ultimi 50 metri ab biamo dovuto piantare una dozzi na di chiodi. Alla fine del diedro abbiamo trovato una specie denorme paracarro inclinato lungo il quale si è dovuto avanzare a cavalcioni per aderenza per una lunghezza dì 8-10 metri. Al culmine del paracarro vi è uno stacco netto dalla parete ddue metri circa. Mi calo nella fes suro; pianto un chiodo e, stabilita la sicurezza, ritorno- indietro sul monolito, partendo deciso al l'attacco sulla destra verso lo spi golo. Dopo una lunghezza di cor da estremamente difficile perven go ad un comodo ballatoio dalla caratteristica forma a mezzalunaDalle placche di granito coperte dvetrato si ripassa al pendio dghiaccio vivo. Il lavoro di scalinatura, che si prolunga per una lunghezza di due cordate, ci porta di nuovo sulla destra alla base di un secondo diedro, posto proprio al .centro dello spìgolo della Walker, in un punto dal quale possiamo dominare in pieno il grandioso colatoio centrale del versante Nord delle Jorasses. Qui stabiliamo il nostro bivacco; il posto scelto è relativamente comodo e ci ficchiamo tutti ih un unico sacco-tenda, previa naturalmente l'opportuna assicurazione ai chiodi piantati in parete. La mattina di venerdì riprendiamo la scalata fin dalle ore sei. Do' il buon giorno e l'addio a « Ugo » che, ficcato com'è al suo posto di ultimo della cordata, non vedrò si può dire più per tutto il restante della giornata, e via parto all'attacco del diedro. E' un pezzo durissimo e straordinariamente lungo: 90 metri circa con una serie di strapiombi uno più aspro dell'altro. Sulla destra il diedro obliqua leggermente, mentre sulla sinistra assume un andamento assolutamente diritto, con roccia peraltro alquanto frastagliata che permette di ficcare agevolmente i chiodi. Si economizzano i chiodi Sono esattamente le nove quando vediamo sotto di noi, a circa 500 metri, due persone che avanzano sul ghiacciaio, in procinto di attaccare la parete. Pensiamo che siano degli amici e gridiamo loro il nostro saluto. Dalla mancanza di una loro risposta deduciamo che si tratti di stranieri: è un incitamento a proseguire senza sosta la nostra arrampicata. Si trattava, invece, come abbiamo sapu¬ ■fs o poi dopo, di Gervasutti e Ottoza cui risposta al nostro saluto non ci è pervenuta per la speciale onformazione della parete. Il superamento del « diedro » rihiedeva l'impiego di 5 chiodi: una iecina erano rimasti in parete fin al giorno prima, due mi erano fuggili di mano al momento dpiantarli e così ho dato ordine dare la « massima economia », neenso che Tizzoni provvedesse a ricuperare tutta la preziosa ferraglia. Usciti dal « diedro » siamo tornati leggermente sulla sinistra per una successione di placche e- di nevati ricoperti da una crosta di vetrato. Una buona assicurazione con un chiodo da ghiaccio e poi su per un colatoio tra due massi caratteristici. La scalata è qui più agevole. Si sale per una quarantina di metri e poi fuori a destra lungo una cengia di 1)5 metri. Al termine della cengia occorre provvedere con una delicata manovra a pendolo: ci si abbassa di qualche metro, per poi pervenire una lunghezza di corda più in su, al di là dello spigolo, in pieno verso il canalone centrale. La scalata, contrariamente a quanto si poteva giudicare dal basso, è qui relativamente facile. Si sale per 30 metri diritto, poi ci si sposta a sinistra, lungo una parete difficile e, quindi, per una successione di placche nerastre estremamente liscie, tocchiamo la cengia nevosa posta a metà circa della parete (quota 3600). Una spruzzatina ci capita fra capo e collo in questo punto, ma per oggi è poca cosa: il vero temporale sarà per domani. Siamo ormai sotto l'enorme torrione grigiastro che si vede dal basso. Giriamo a destra, una trentina di metri sotto il torrione, e in piena parete, al disopra del colatoio centrale, stabiliamo il nostro secondo bivacco. Il posto è limitato e bisogna adattarsi: due nel sacco-tenda su di iin terrazzino, e sopra, a qualche metro, il terzo in un altro provvidenziale sacco da bivacco. Finalmente in vetta L'agganciamento alla parete è anche qui di rigore. Durante tutta la notte assistiamo ad un magnifico spettacolo pirotecnico; i lampi e le scariche elettriche serpeggiano nel cielo verso la valle di Chamonix. Il temporale non arriva, però, sino a noi ed è in' perfetta tranquillità che possìa7>io far funzionare la nostra cucinetta per far fondere il ghiaccio e preparare un po' di té. E' l'unico pasto della giornata e una buona porzione di lardo ci fornirà le calorie necessarie. Sabato mattina ci rimettiamo in marcia prestissimo: i due unici orologi della cordata sono stati rotti al duro contatto delle roccie e in base al corso degli astri calcoliamo che saranno le 5. Si riparte in direzione di destraseguendo l'andamento degli stratrocciosi. Prima per una cengia facile, che si protende sulla destra al disopra del grande imbuto centrale del versante Nord dallJorasses, poi a sinistra per una fessura obliqua, superiamo una cinquantina di metri. Proseguiamo direttamente lungo lo spigolo, facile in questo tratto, ma a roccia estremamente friabile. Man mano che avanziamo la scalata riassume un tono di più elevata difficoltà. A zig-zag traversiamo in direzione di un campo di neve, portandoci sotto un enorme tetto roccioso, appariscente anche dabasso. Il tetto è sostenuto da una grande torre rossastra, alta più di J/0 metri. A sinistra della torre si incide un camino-colatoio; sulla destra è un nuovo diedro. Attacchiamo su per il colatoio fino a raggiungere un'altezza di 10 metri dalla base della torre; quindiseguendo una cengia-fessura a andamento diagonale, ritorniamo sulla destra, attraversando completamente la facciata della torreQuesto tratto, effettuato con la punta delle dita infilate nella fessura e il corpo a gatto aderente alla roccia, è uno dei più severiIl temporale si sta frattanto addensando sopra le nostre teste:-.una prima grandinata, ci cogliequando siamo entro il colatoio inposizione quanto mai precaria pei le scariche di materiale proveniente dalla cresta. Ci caliamo di qualche metro lungo la sponda destra della torre e poi riprendendo il diedro (SO metri estremamente difficili) ci arrampichiamo per lo spigolo fino alla vetta, raggiunta in un impervesare di bufera. t Tentiamo subito di scendere, ma è inutile: siamo arrestati da un crepaccio. Ci spostiamo verso le roccie della punta Whimper per TdT2fpcsmaspettare la fine del temporale.;nBisogna passare lassù ancora una notte. In piedi, con le mani che si intrecciano sulle spalle dei compagni, il sacco-tetida infilato al di sopra del corpo, i piedi che ne trattengono i lembi per impedire che l'uragano ce lo strappi di dosso, trascorriamo l'ultimo bivacco. La notte è lunga, il freddo terribile; ma siamo felici, supremamente felici di aver conquistato all'Italia una grande vittoria. Riccardo Cassin umaDMprdstnntvz(Fotografie esclusive de La Stampa eseguite dal nostro inviato GUIDO TONELLA ). Zlmcmv La via Cassin-Esposito-Tizzoni lungo lo spigolo Nord della Punta Walker quale è stata traociata dalla mano stessa del capocordata Barbe ispide, cappelli di traverso, ma occhi luminosi di trionfatori, Tizzoni (a. sin.), Cassin e Esposito, fotografati al loro arrivo alla Capanna delle Grandes Jorasses L'espressivo gesto di Riccardo Cassin nel rievocare l'epica scalata pochi istanti dopo il suo arrivo alla Capanna delle Grandes Jorasses

Luoghi citati: Courmayeur, Italia