I resti della famiglia dello Zar sono in Europa nella cassaforte di una banca

I resti della famiglia dello Zar sono in Europa nella cassaforte di una banca L'ultimo atto del massacro di EKaterlncnburg I resti della famiglia dello Zar sono in Europa nella cassaforte di una banca La sensazionale riuelazione della macabra odissea in un articolo del generale Janin che portò in Europa le ceneri dei Romanoff E' una pagina di storia che io rievoco a proposito della tragica fine dei Romanoff, le cui ossa calcinate furono portate per mia cura in Francia nel marzo del 1920. Mandato in Russia come capo della missione francese nel maggio del 1916, ebbi assai spesso rapporti con lo zar Nicola e spesso ebbi anche occasione di avvicinare la famiglia imperiale. Lo Stato Maggiore aveva il suo quartiere generale a Mohilef, un poco più indietro del fronte, in modo che l'imperatore e i suoi familiari non avessero a temere per un improvviso attacco da parte del nemico. A dire il vero, il Quartiere generale imperiale non aveva nulla di fastoso. Era una grande costruzione circondata da pali e da reticolati, difesa da soldati con la baionetta inastata. I capi delle missioni straniere mangiavano alla tavola dell'imperatore, che si mostrava un affabile e buon commensale. Non si sarebbe mai pensato che la tavola fosse presieduta dallo Zar di tutte le Russie e, malgrado il rispetto che gli dimostravamo, l'atmosfera era cordiale e allegra. Nicola II aveva bandita dalle nostre quotidiane riunioni la etichetta severa che regnava a corte, e spesso l'imperatore, che mi si era veramente affezionato, alzandosi di tavola, mi prendeva familiarmente per un braccio e mi raccontava qualche aneddoto o mi confidava alcune delle sue numerose preoccupazioni. Alla vigilia del dramma Alla tavola imperiale spesso partecipava anche Alessio, il piccolo zarevic, che mi chiamava «popò» dal giorno in cui avevo accondisceso a giocare ai soldati con lui. Mi ricordo di questo bambino dall'animo buono e sensibile; la sua natura esile e delicata lo rendeva ancora più simpatico; pensando alle sofferenze morali che ha dovuto sopportare prima di morire, assassinato da soldataccì, le lacrime mi salgono agli occhi. Una volta l'imperatrice venne a farci visita. Quel giorno il viso preoccupato dell'imperatore si illuminò: egli adorava sua moglie. Mi ricordo di un giuoco che ci divertiva tutti e al quale l'imperatore prendeva grande interesse. Nel giardino del Quartiere generale c'era una gran vasca, in mezzo alla quale un delfino di pietra sprizzava acqua dalle narici. Il giuoco consisteva nel tappare una di queste narici con la mano, in modo da dare più forza all'altro getto d'acqua. Eravamo, cosi, co piosamente innaffiati dal più agile che prima degli altri aveva sa puto impadronirsi del delfino. E spesso il più agile era proprio lo zar. Se vi ho raccontato questi aned doti, che forse vi faranno sorride re, è perchè comprendiate meglio quale affetto rispettoso mi legava all'imperatore di Russia. Ed è appunto ricordando questo affetto: che ho fatto di tutto per diradare il mistero che incombeva sulla tragica fine dei Romanoff ed è per questo che ho accettato di condurre a termine una 7iiissione, che molti avrebbero rifiutata. Già i primi sintomi della rivoluzione si facevano sentire a Mohilef. L'indisciplina serpeggiava fra la truppa e non era raro incontrare dei soldati che non si curavano neppure di salutare i loro superiori. Lo zar, lamentandosi spesso con me di questo stato di cose, mi diceva: «Mio povero Janin, non so proprio come andrà a finire! »■ Era evidente che l'autorità dell'imperatore se ne andava a pezzi. I suoi ordini erano male eseguiti o non lo erano affatto e mi ricordo che per una settimana di seguito gli furono servite a tavola carne di maiale e patate lesse, due piatti di cui aveva orrore. E quando gli dicevo: « Se io avessi l'onore di essere al posto dì Vostra Maestà mangerei ciò che vorrei », egli mi rispondeva : « Non vi illudete, imo caro Janin, lo zar non fa più ciò che vuole! ». Verso il massacro Un giorno, dopo avermi stretta la mano, lo zar mi annunciò la sua partenza per Pskoio. Quando lo ri vidi, qualche tempo dopo, aveva abdicato. Venne ad accomiatarsi da noi a Mohilef. Ci aveva fatti riunire tutti nella sala del consi glia; ci ringraziò tutti dell'aiuto che gli avevamo dato e si ritirò, pre</ando?ni di seguirlo. Appena fummo soli, mi precipitai verso di lui: — Sire, bisogna partire in tutta fretta. Avete ancora una possibilità di sfuggire alla rivoluzione; domani, forse potrebbe essere troppo tardi. — Lo credete t ma no, non siamo ancora a questo punto. Parto domani per Pietroburgo, dove sistemerò ogni cosa. Venite a trovarmi fra una quindicina di giorni a Zarskoje Selo; vi riposerete e io sarò ben lieto di vedervi. Ho la ferma convinzione che l'imperatore non si fosse reso conto della gravità della situazioneLa rivoluzione divampava da tutte te pinti, ed egli mi invitava a prendermi le vacanze! Da allora non rividi mai più l'imperatore. Tornai in Francialasciando la Russia alle convulsioni dell'anarchia. Nel dicembre de1917 fui richiesto al Ministero del la Guerra francese dal Consiglio nazionale cecoslovacco, che risiedeva a Parigi in via'Buonaparte per organizzare le sue truppe e comandare un'armata che il Consiglio voleva reclutare in Franciain Italia e in Russia. Accettai e assunsi il comando delle truppe ceche in Siberia. L'iniperatore e la sua famiglia eran stati, nel frattempo trasferiti a Ekaterinenburg, nella casa di un ricco proprietario, Ypatief, che era stato espulso senza alcuna forma di processo. Era partito senza domandare altro, fin troppo felice che gli avessero risparmiata la vita' Undici persone erano chiuse nella casa di Ypatief: l'imperatore, l'imperatrice, il loro figlio Alessio, le quattro principesse Tatiana, Olga, Maria e Anastasia, e quattro persone della corte, il dr. Botkin, medico della famiglia imperiale, la dama d'onore Demidova, la domestica Emppe, e il cuoco Karitonoff. Nicola II doveva comparire davanti a un tribunale che evidentemente lo avrebbe condannato a morte. Il generale Kolciak, che comandava in Siberia le truppe bianche e le legioni cecoslovacche, si dirigeva a tappe forzate verso Ekaterinenburg, minacciando di impadronirsi della città. I bolscevichi affrettarono le cose e nella notte dal 16 al 17 luglio del 1918, su decreto del soviet degli Urali, la famiglia imperiale e i suoi domestici furono giustiziati a colpi di rivoltella, nella cantina della casa che serviva loro da prigione. Ma l'opera degli assassini nonera compiuta. L'inchiesta Sokoloff L'acido solforico e la benzina la perfezionarono. In un bosco vicino, i corpi dei Romanoff arsero per due giorni. Le teste erano state staccate dal busto per rendere impossibile ogni identificazione. I macabri resti calcinati, furono dispersi nei buchi preparati per le mine, numerose in quelle regioniQualche tempo dopo, il generale Kolciak occupava la città e nominava giudice istruttore Sokoloffpersona nobile e retta, di grande intelligenza, oggi sparito anche lui, per fare un'inchiesta sulla morte dei Romanoff. A Sokoloff si unì, dopo breve tempo, il generale Dietrich, russo bianco, capo delle armate ceche in SiberiaLe ricerche si rivelarono difficili e complicate. Gli interrogati tacevano, nel timore di noie e rappresaglie. D'altra parte, Sokoloff non godeva del credito necessario alla sua missione. Ma finalmente, dopo una laboriosa istruttoria, Sokoloff e Dietrich riuscirono a ricostruire la verità e ritrovarono, presso alcuni abitantdi Ekaterinenburg, oggetti e gioielli che alienano appartenuto aRomanoff. Un fornaio aveva nascosto nel suo forno una icona e un paio di scarpe della zarina. Continuando la inchiesta sulla scorta di indicazioni sempre più precise, Sokoloff pervenne alla fine ad esumare alcune ossa calcinateUna mano di donna fu trovataamputata dell'anulare, e risultò che questa mano, che ancora recava le tracce di un'accurata toletta, ,era quella della zarina. Idito era stato evidentemente tagliato per impadronirsi del prezioso anello che essa portava il giorno della sua morte. Furono ritrovate allo stesso modo le fibbie delle scarpe appartenenti alle principesse, e il fermaglio del cinturonche portava lo zarevich. Alcuni elementi germanafili della cerchia del generale Kolciakvedevano di cattivo occhio il risultato delle ricerche di Sokoloff, perchè quest'ultimo, con il quale iero in stretta relazione, affermavo di essere in condizioni di pote e , , , a e e , o i u a i a n. a o e I e . e , e e a ff . e ti i e a ù e e. a, ò eoIl aorolie lk, lro a provare che il delitto era stato di ispirazione tedesca. I tedeschi avevano cercato di convincere Nicola II a ratificare il trattato di Brest-Litovsk e a completarlo con un patto dì stretta alleanza. Egli mi enumerò a più riprese la quantità di agenti di quella nazionalità, dei quali aveva notato V influenza nella prigione dei Romanoff e attorno ad essa Mi citò anche il nome di un tedesco che era incaricato a Ekaterinenburg del servizio delle automobili, e che procurò quelle che trasportarono i corpi delle vittime sul luogo dove furono fatte a pezzi e bruciate. I miseri resti Sentendosi circondato di male valenza e temendo per i suoi compromettenti docinnenti e per la\sua vita, Sokoloff mi domandòprotezione il 20 agosto 1919 perl'incolumità del suo bagaglio, checonteneva i resti umani trovati suiluogo dove i corpi erano stati di strutti, e per gli incartamenti dell'istruttoria, che non lasciavano nessun dubbio sull'importanza delle scoperte che egli aveva fattoGli promisi che quando avesse voluto rifugiarsi verso l'Est, lo avrei fatto viaggiare in un treno della missione francese e che lo avrei fatto poteggere all'arrivo. Ero a Karbin, quando Sokoloff mi chiese aiuto. Incaricai il capitano Gez, del battaglione coloniale siberiano, di vegliare su Sokoloff e di permettergli di arrivare ad ogncosto a Karbin con il suo prezioso bagaglio. Il rapporto che mi fece il capitano Gez, prova ampiamente che taluni elementi avevano deciso di impedire a Sokoloff dadempiere la sua missione. Durante i dodici giorni di viaggio da Omsk a Cika, il capitano Gez e due soldati non persero maSokoloff di vista, come pure il procuratore imperiale di Ekaterinenburg. che viaggiava con lui. E fecero bene, perchè ripetutamentedi giolito e di notte, si tentò drubare le due casse contenenti ìniseri resti della famiglia imperiale. Essi dovettero perfino cambiare di treno quattro volte, evitando così di finire in un burronedove due treni ch'essi avevano in precedenza abbandonato, furono fatti precipitare da mani criminaliAll'arrivo a Cika, Sokoloff chiese protezione contro le autorità giapponesi, che a tutti i costi, volevano visitare le casse, all'atamano Timenioff, che guerreggiava contro i bolscevichi. L'atamano mise il sito vagone speciale a disposizione dei viaggiatori, che sotto buona scorta presero la via di Ekaterinenburg, dove li aspettavoA Karbin, Sokoloff aveva trovato rifugio dal generale Dietrich. er Da Harbin a Marsiglia Prima di tutto essi mi chieserodi aiutarti a far inumare i restdei membri della famiglia imperiale. Le bare, dopo aver soggiornato a Omsk e poi, a Cika ««.norimaste a Khailas, sotto la protezione delle autorità cinesi. Dopuna serie di tentativi, finirono peessere trasportate nel cimiterrusso a Pechino, Dietrich mi aveva anche manifestata la sua intenzione di far giungere al granduca Nicola Nicolaievic, il parentpiù prossimo a suo avviso, i resiraccolti da Sokoloff e i convincenti documenti della sua inchiestaL'autorizzazione a portare t casse a Londra era stata chiesta al governo inglese, ma per l'avversione del console d'Inghilterra a Karbin, essa fu rifiutata. Il 17 marzo 1920 Gilliard, antico precettore dei ragazzi imperiali, fuggito a Karbin, venne a portarmi la risposta negativa del governo inglese. Gli confermai allora che ero pronto a trasportare in Francia le preziose casse, a condizione che Dietrich mi scrivesse una lettera nella quale mi proponesse questa missione; e cosi fu fatto. Nella serata del 20, Gilliard, Dietrich e uno degli ufficiali arrivarono ca ricJii di tre pesanti valigie. Esse, erano venuti il più velocemente possìbile, perchè erano stati se. gititi da «omini che essi riconob-1 bero per gli stessi che li avevano molestati fra Omsk e Karbin. | „ —. ^ ■ t ^. ' J II 21 marzo Dietrich mi porto iuna cassetta, che fino ad allora lerà stata depositata in una banca \di Karbin e che racchiudeva i re isti umani. Inoltre mi consegnò una e e o o lettera destinata al granduca Nicola e una nota degli oggetti contenuti nella cassetta e nelle vali- qe, di SII voci. Resti umani che erano caduti dal rogo in terra, e fra cui erano dei capelli, un dito tagliato che gli esperti riconobbero per l'anulare dell'imperatrice. Vi erano, poi, frammenti di gioiel- li, medagliette sacre, resti di vesti e di calzature, parti metalliche del vestiario, fibbie di scarpe, il fer- maglio del cinturone del princi- pino, pezzi di tappezzeria insan- quinata, palle di rivoltella. Con- 'trariamente a quanto è stato dei- to, non c'erano denti, perchè le ; teste, come già dissi, erano state\separate dai corpi e portate non\si sa dove da un tale chiamato , ■ ,. .,:Apfelbaum e da un complice, t* quale fu in seguito scoperto? get-,tato vivo nell'acqua bollente ;Accettai la missione che Die-,„ trtch mi affidava, senza riferirneal mio Governo. Non temevo daparte della Francia un rifiuto co-me quello di Londra, ma consideravo la mia missione una cosa troppo sacra, per sottoporla ancora una volta a pareri burocratici. A Pechino feci apporre sulle valige i sigilli della legazione francese, per evitare le indiscrete visite della dogana. A bordo del- l'« Armand Behic », che mi neon- dusse in Francia, affidai le miepreziose valige al commissario di •«* bordo, che le mise al sicuro nella cassaforte della nave. Al mio arrivo a Marsiglia un ufficiale del porto rimase sbalordito che nessun onore fosse reso ai resti della famiglia imperiale e mi rammentò l'accoglienza fatta a Cherbourg nel 1896 all'imperatore di Russia, che per la prima volta toccava la terra di Francia. Egli mi propose di consegnare le o \ venire al granduca Nicola, ma ri-i fiutai, volendo io stesso condurre -la termine il mio compito. Tras- -\portai le valige in una tenuta dio /««iff/m a ^z^a^ vicino a valioe al Ministero degli Affari esteri che le avrebbe fafte LLl"™ fi T",s" „ . °°"f a che, considerandosi «« o r o - Mens, nella vallata di Drac. ùi al granduca Nicola, che mi fece rispondere ora innanzi come un semplice privato, non poteva accettare tale de posito e mi consigliava dìconse -\ynare ogni cosa al sig. de Gyers^e n'ultimo ambasciatore russo nomi-inato dallo zar. Le trattative du--1 rarono a lungo. Nella mia tenuta,, j in una cappelletta eretta per mia ei cura, riposava frattanto ciò che restava della famiglia dei Romanotl. Non potevo fare a meno di provare un'emozione profonda quando mi veniva fatto di pensare a Nicola II ed ai suoi. Oh! caducità delle grandezze umane! Erostato nel numero dei principalicomponenti la missione che rire-'.?l_e rimPefJ'}ore in Francia ne'' 1896; nel 1920, quando vi ritornai l'imperatore e In sua famiglia non erano più che dei lamentevoli resti, contenuti in una cassetta por-tata da uno straniero, più /««Medimoiti dei suor compatrioti %Z^£%^J^termine e in seguito all insistenzadel granduca Nicola io consegnaial su/, de Gyers, verni o a prele-vario a Serre Izard. "sacro de-do che mi aveva affidato So-kolnff a Karbm. Era stato decisoin un primo tempo di depositaretutto negli archivi del Ministero degli Esteri, ma alcuni membri della famiglia vi si erano rifiutati, a causa dell'incerto avvenire po litico. / resti dei Romanoff, dormono ora nella cassaforte di una grande banca di un paese vicino Permettetemi di lasciarvi ignora-re il nome di questo paese, perchè non spetta a me di svelare l'ultimo rifugio di un imperatore che mi onorò della sua amicizia. Generale Janin La granduchessa Olga e il fratellino, lo zarevich Alessio, seduti La casa Spatieff: a sinistra semi interrata la finestra della camera del massacro