Dal forte di Fenestrelle alla lotta del dopoguerra

Dal forte di Fenestrelle alla lotta del dopoguerra Vita e idee dei generale Douhet Dal forte di Fenestrelle alla lotta del dopoguerra Il progetto di Armata Aerea Interalleata -- Una grandiosa impresa da affidare a Gabriele D'Annunzio -- Giudizio riparatore «Ho fede negli uomini e nella storia » - Douhet. Attorno all'ufficiale imputato e poi condannato si era fatto intanto il vuoto più spaventevole: come è ben naturale, colleghi, amlci, conoscenti e non conoscenti in una nobile gara di' indignazione, più o meno fruttuosa, cercarono di sorpassarsi nel vituperarlo. Il Comando Supremo, ribadendo la vittoria conseguita sul Governo — il quale timidamente aveva in primo tempo cercato di evitare il processo — diramò una circolare in cui l'atto che egli aveva compiuto veniva definito « vergognoso > e si vietò esplicitamente ad ogni militare di dare notizie sulla guerra — anche se richieste — a qualsiasi membro del Governo, salvo che per il tramite del Comando Supremo. Queste disposizionif unite alla preclusione a ministri e deputati della zona di guerra, crearono una vera muraglia cinese fra Esercito e Governo. Il maggiore giornale italiano di allora scrisse che ufficiali come Douhet dovevano essere « spazzati via dall'esercito » e poiche il processo di Udine era stato fatto a porte chiuse, ognuno in Paese potè immaginare sul suo conto le colpe più mostruose. Bombe e macchine fotografiche Il prigioniero di Fenestrelle, frattanto, meditava freddamente sul passato e sull'avvenire. Riconobbe gli errori di condotta che nella vita pratica aveva compiuti, spinto dalla sua incontenibile passione per il bene dell'aeronautica e dell'esercito. In sostanza, nonostante il suo acuto spirito di osservazione, egli era un ingenuo che ricopriva la sua ardente fede negli uomini con una vernice di ironia. Aveva sperato che le sue profferte a favore dell'aviazione venissero prese in considerazione perchè i fatti le giustificavano sempre più, e non aveva calcolato di aver di contro due elementi formidabili: la gelosia dei nuovi capi dell'aviazione che temevano in lui l'uomo che aveva mostrato di intendersene e avrebbe potuto tutti eclissare, e la coalizione degli interessi materiali che specialmente avversava chi, imponendo all'aeronautica di seguire nelle costruzioni rigidi criteri tattici, avrebbe fatto terminare lo stato di cose fruttuoso per cui l'aeronautica era in realtà dominata dai capricci e dagli interessi dell'industria. Aveva sperato che il suo grido di allarme per la penosa situazione strategica e morale dell'esercito venisse inteso, ed i npliticanti si erano serviti di lui per i loro maneggi, abbandonandolo poi senza il menomo scrupolo. Ma la potenza del suo spirito costruttore vinceva le debolezze del sentimento, dominava e soffocava, comprimendolo spietatamente, il palpito del suo cuore generoso, fremente di amarezza. La Patria era sempre in cima ai suoi pensieri ed a lei continuava, nonostante tutto, a dedicare ogni energia. Mentre studiava la costruzione di una macchina fotografica panoramica per aerei ed un tipo di bomba speciale per il bombardamento aereo dei porti — che doveva più tardi concretare — rivedeva e collaudava mentalmente, punto per punto, con la minuzia di un ingegnere mosso da una ispirazione divinatrice, le sue teorie sulla guerra aerea e sull'avvenire di questa. Come conclusione di questo suo travaglio, compilava in ogni particolare tecnico e tattico un progetto di « grande offensiva aerea interalleata » che, il 23 giugno 1917, dal forte di Fenestrelle, inviava al nuovo Ministro della Guerra, gen. Giardino. Un progetto respinto Si trattava di costruire e allenare nel periodo di un anno un potentissimo gruppo di aerei da battaglia e cioè di bombardieri fortemente armati i quali — indipendentemente dalle aviazioni ausiliarie dei singoli eserciti, avrebbe avuto i compiti di: «1) impadronirsi del dominio dell'aria, mediante la distruzione sistematica degli aeroscali, centri di rifornimento e di produzione del materiale aereo nemico; « 2) procedere alla distruzione sistematica dei centri vitali nemici onde togliere o almeno ridurre agli eserciti ed alle armate avversarie i mezzi di rifornimento e di vita, di abbattere la forza morale delle nazioni nemiche ». E' da immaginarsi l'imbarazzo del ministro! Il Comando Supremo da cui egli umilmente dipendeva aveva voluto mettere la maschera di ferro a Douhet perchè non parlasse — appunto come un suo illustre e disgraziato predecessore — ed ora quella voce implacabile risorgeva dalla tomba. Douhet era sempre un ingenuo: credeva che il ministro potesse occuparsi davvero del progetto al quale egli aveva tanto lavorato: buono o cattivo, esso proveniva da individuo pericolosissimo: rispose perciò frettolosamente che la proposta era inaccettabile « non potendosi certo per ora pensare ad effettuare grandi azioni aeree data la relativa scarsità dei nostri mezzi ». Naturalmente Douhet sapeva che i mezzi erano insufficienti e, appunto per questo, suggeriva i modi di renderli sufficienti e di impiegarli in modo più redditizio. Se si tiene conto che l'Italia — una delle nazioni allora meno attrezzate — produsse durante la ruerra circa 13 mila apparecchi,; si. può farsi un'idea dei risultati conseguibili se le risorse industriali interalleate — e in ispecic quelle grandiose dell'America — fossero state in parte riservate a costruire, non già aerei da logorare atmltpaczptpCI a spizzico, ma una potente Armata aerea da impiegare organicamente a massa. La sorpresa dell'avversario sarebbe stata completa e irreparabile. Sta di fatto che nel marzo 1918 il rappresentante americano propose al Comitato interalleato di aviazione esattamente la stessa cosa e nel 1918 l'Inghilterra ini zio la costruzione di una Armata aerea indipendente per scopi iden-tici, che sarebbe entrata in linea nel 1919 qualora la guerra si fosse prolungata. Resurrezione... Douhet usci da Fenestrelle il 15 ottobre 1917, dopo un anno preciso dalla sentenza, essendosi il Comando Supremo non solo opposto inizialmente, a concedergli il beneficio della sospensione della pena — che si applicava a chi fosse condannato fino a 7 anni — ma avendo respinto in seguito anche la proposta inoltrata per via di ufficio, come prescritto, dal comandante della fortezza per il consueto condono dell'ultimo terzo della pena « perchè la pena era stata troppo tenue ,in confronto del reato ». Il 23 ottobre venne collocato « a riposo » d'autorità. Lo stesso giorno, quasi per una Nemesi storica, si iniziavano gli avvenimenti che egli, con lucida visione di patriota e di soldato, aveva cercato invano di scongiurare con parole che sembrano, assai più che una profezia, la sintesi storica degli avvenimenti futuri. Nel vortice della disfatta scomparvero il Governo rammollito e il Comando Supremo. Bisognava tutto ricostruire, e l'on. Chiesa — il quale, come repubblicano e industriale di giocattoli era apparso al Parlamento il più atto a ricoprire la carica di Commissario Gen. per l'Aeronautica — chiese in servizio Douhet. Il Ministro della Guerra — che era tornato ad essere quello del pesce piccolo e del pesce grosso rispose con una ripulsa « perchè era stato indisciplinato ». Ma durante una seduta segreta alla Camera, essendo venuti in discussione i profetici avvertimenti di Douhet ed avendo un deputato di buon senso esclamato « ma, almeno, utilizzatelo in aeronautica, quell'ufficiale! » ed avendo Chiesa ribattuto: «Io l'ho già chiesto» il ministro rinfoderò subito la disciplina e richiamò Douhet, che venne addetto al Commissariato come Direttore centrale al primi del gennaio 1918. ...ma limitata Douhet ritenne finalmente di aver conquistato il posto donde avrebbe potuto rendersi utile, ma era un'altra illusione. Nei tre anni di guerra si erano cristallizzati oramai metodi e uomini del tutto avversi alle sue concezioni. SI intendeva, certo, rifabbricare l'aeronautica, ma continuare a impiegarla come prima. Egli cercò allora di concretare almeno. una grande azione aerea, il bombardamento di Pola e della flotta austriaca in quel porto racchiusa, mediante il nuovo e temibile modello speciale di mina aerea, che egli aveva studiata a Fenestrelle. L'Ammiraglio Thaon de Revel approvò vivamente il progetto e manifestò il parere che, date le modalità cosi opportunamente studiate, un simile attacco o avrebbe distrutta la flotta avversaria o l'avrebbe costretta ad uscire dal porto a costo di affrontare la nostra. Il Comandante d'Annunzio al quale Douhet voleva affidare il comando dell'Impresa, ne era entusiasta. Ma, nonostante l'approvazione del Capo di S. M. della Marina e il buon volere del Commissariato, sorse istantaneamente un tale e ben congegnato sistema di ostracismo attorno al una impresa la quale avrebbe consolidato e resa dominante la posizione di Douhet, che questi, alfine, sdegnato, dopo tre mesi di lotta, risolse di abbandonare il CommissariatoIl 4 giugno scrisse all'on. Chiesa domandando di venir rimesso in libertà: « Ho sempre affermato che l'aviazione può rendere grandi servizi alla guerra e può divenire fattore risolutivo di vittoria; ho fatto di questa affermazione la mia fede da circa dieci anni, ed a questa fede molto ho sacrificatoDesidero che i fatti ai quali partecipo non rinneghino la mia fede, che oggi è più profonda che mai. Ma anche se potessi rinunciare a ciò, che può essere un sentimento di orgoglio personale, pen so che il Paese ha il diritto desigere che le sue risorse sianosfruttate nel modo migliore, equindi non posso rimanere indi/-ferente dove lw la convinzione che ciò non uccada ». Già nel mese di maggio aveva cercato di rendere popolare la sua concezione grandiosa, organicadella guerra aerea, cosi lontano daquanto si stava attuando, con ilromanzo «Come finì la grandeguerra - La vittoria alata» nelquale, in forma imaginosa, descri-veva la risoluzione della guerra a mezzo dell'intervento di quella grande armata aerea interalleata di attacco che egli aveva propugnato nei 1917. Ma nessuno poteva oramai mutare l'indirizzo che era stato assunto e il romanzo apparve più che altro, una brillante fantasia: mancava anche e soprattutto nell'aviazione stessa il senso della dell'azione strategica di masse aeree impiegate come forze indipendenti. Egli comprese che bisognava esporre le sue idee in un'opera di puro carattere scientifico, e cominciò a raccogliere gli elementi per quella che fu poi II dominio dell'uria. La nuova battaglia La guerra fini vittoriosamenteMa Douhet ebbe subito la sensa-zione che l'Italia avrebbe perduto la pace e si sarebbe perduta se le migliori energie popolari che nonostante tutto avevano vinto da sole la guerra, non avessero spazzato la vecchia, inetta classe dirigente e in pari tempo annientato il bolscevismo dissolvitore e nega» tore della vittoria. Era la tesi di fondo del suo romanzo del 1916: L'onorevole che non potè più mentire. Perciò egli si stabili a Roma ove, nell'aprile del 1919 fondò, e diresse poi per oltre due anni sostenendolo a sue spese il settimanale di battaglia Il Dovere di cui ecco il superbo programma: « ... Basta! L'Italia « ne ha basta di lutti questi uo« mini « indispensabili » ormai « smascherati dalla formidabile « tormenta e di tutti i sistemi che « hanno dimostralo la loro falsi« là passando per il terribile cri« vello. Essa ha dimostrato di « possedere in sè energie suffi« denti per modificare la sua rot« ta, virilità superbe per cacciare « gli eunuchi dal tempio... Tale è «il mio pensiero. Il nostro Paese « ■— ripeto — ha in sè tante vir«tù che — NON OSTANTE — « ha superato trionfalmente la « terribile crisi della guerra. Ma « oggi deve raccogliere le sue « energie per superarne un'altra. « Oggi sta per venire dilaniato fra « coloro che si aggrappano con le « unghie e coi denti ad ogni appi« .alio per impedire che la Verità « e la Giustizia possano trionfare, e. e coloro che cercano di sfrutta« re gli innati sensi di verità e di « giustizia radicati nel cuore del « popolo per provocare la definiti« va dissoluzione del Paese. ■ « Fra queste due vie, entrambi « concorrenti alla rovina, ve ne è « una: quella che porta dritto alla « mèta luminosa indicataci dalla « Vittoria, quella che è percorsa « fieramente dalla Verità e dalla « Giustizia, perchè senza Verità « non può esservi Giustizia, e sen« za Giustizia non può sussistere « pacifica convivenza degli uorni« ni. La salvezza e il progredire « d'Italia sono qui, e non altrove». L'idea del Milite Ignoto Sulle colonne de « Il Dovere », egli dunque combattè una fiera lotta contro i negatori della Vittoria, ma affermò in pari tempo che <r. il vero vincitore è stato il Soldato, l'umile Soldato, figlio della nostra magnifica stirpe ». Perciò bisognava onorare un Soldato caduto, ignoto, quale simbolo e rappresentante di tutti i Soldati, caduti e sopravvissuti, e dell'intero popolo italiano. In un articolo meraviglioso, ardente di passione, pubblicato il 24 agosto 1920, che resta la più bella cosa che si sia scritta in Italia sulla guerra, (e che perciò manca in tutte le antologie di guerra) propose di trasportare solennemente a Roma la salma di un soldato ignoto, fra il corteggio di tutto il popolo italiano, e di tumularlo con ! sommi onori. L'idea venne subito accettata e realizzata dal governo britannico, poi da quelli francese e belga: in ultimo la accolse il Governo italiano e il ministro della guerra del tempo, on. Gasparotto, scrisse a Douhet riconoscendo che a lui si doveva « la semplice e bellissima idea ». Cosi sembrò che noi copiassimo dagli altri quello che gli altri avevano preso da noi. In seguito a ricorso al Tribunale Supremo di Guerra e Marina patrocinato dall'illustre avvocato Antonio Russo, il Tribunale, con sentenza del 5 novembre 1920 cassò la sentenza di Codroipo « poiché è chiaramente risultato che il Douhet non fu spinto a compiere l'azione contestatagli da motivi personali o sotto altro aspetto riprovevoli, ma unicamente dall'amor di Patria, dal timore cioè che il modo di condotta della guerra non ne mettesse in pericolo l'esistenza... l'atto compiuto, in sostanza, consiste nell'aver posposto, anche a costo del proprio interesse personale, i vincoli della disciplina al bene della Patria ». Splendido atto di riparazione che onora altamente il Supremo consesso giudicante militare nella persona del suo Presidente, Tenente Generale Augusto Vanzo e dei giudici, Generali Papini e Saccomani, Consiglieri di Stato Aicardi, Bonelli e Luzzatto. Non vi è dubbio che Douhet agendo come agi — e prescindendo dal fatto che l'ordine di un ministro, in un Governo serio avreb I be dovuto coprirlo da ogni e qual!siasi responsabilità •— abbia nel j 1916 contravvenuto alla disciplina 1 formale determinata su quel pun- to dalla ordinanza del Comando Supremo. Ma anche la ribellione del generale York, anche la spedizione dei Mille, anche l'occupazione di Fiume e la Marcia su Roma sono atti di formale indiscipli- i na. Ma, per contro, sono azioni che \ rispondono ad una coraggiosa di jsciplina sostanziale, che obbedisce 'alla più alta delle voci: l'amore al- ' la Patria. « La storia — dice Macaulay — spazia su più vaste idee, ed il tribunale migliore per i casi politici è quello che antidpa la sentenza della storia ». La sentenza della storia era stata pronta e terribile ed aveva giustificato in modo cosi perfetto- il grido di allarme di Douhet, aveva fatto apparire in modo cosi nitido la nobiltà delle sue intenzioni e la verità del suo coraggioso asserto, che la condanna, che veniva a costituire non una macchia ma un titolo di gloria, non poteva più susssitere: la giustizia umana doveva necessariamente inchinarsi alla giustizia della storia. Questo comprese il Tribunale Supremo. Emilio Canevari (Proprietà riservata), Continua,