Senza parole di Corrado Alvaro

Senza parole Senza parole Ho abitato per un pezzo un quartiere di sordomuti. Non erano tutti sordomuti veramente, ma lo ripenso tale; era di quei quartieri che si ricordano come un viaggio, eppure si trova nella stessa città in cui vivo ormai da yent'anni; è un quartiere dove il popolo è cresciuto intorno a certi palazzi antichi, non 60 quanti ; erano tutti palazzi un tempo, ma con un'opera lenta di cui è capace solamente l'uomo, i palazzi sono divenuti casupole, j|tane, covi, divise a metà le grandi sale, murate le finestre troppo larghe e le altane, coperti di panni stesi ad asciugare gli stemmi sui portali e gli archivolti. E' qui che nelle sere delle feste, una bandierina sventola accanto al vestitino d'un bimbo che fa le evoluzioni al vento fuori della finestra chiusa, su una corda. Questo quartiere è rimasto inoltre al 6Uo livello d'un tempo, mentre la città è cresciuta sulle sue rovine ; perciò esso è basso, sotto il livello del resto dell'umanità che sale sulla morte del suo passato ; la sua polvere, il suo fango, la sua sporcizia, contano molti 6ecoli. Più di mille, più di' duemila anni. Non si tratta neppure di sporcizia, ò il sordido della decrepitezza, è la vita troppo vissuta di cui rimane tutto, come d'un vecchio centenario, e ve ne sono, che abbia osservato nella sua vita tutte le scarpe usate, tutti i suoi vestiti, tutte le sue carte, fino ai biglietti del tran vai. Da questo insieme, sale a tutte le ore un rumore confuso, che non è quello ordinato e senza parole della città moderna, ma un vocio come d'una grande fa• miglia in cui accade sempre qualcosa di nuovo a qualcuno,, chi piange, chi cade e si fa male, chi canta: un rumore solamente umano di storia quotidiana, quello stesso rumore antico che accompagnò la vita per millenni ed è appena cessato da trent'anni, soverchiato dalle macchine. Difatti, io venivo a sapere ogni avvenimento di detto quartiere, appena uno avesse qualche vicenda degna di rilievo. Ma senza emozione, come se fosse scritto nel libro del destino. Lo. sola cosa nuova del quartiere, è la bottega del caffè: i tavoli verniciati di azzurro, la macchina del bar, il banco foderato di zinco. Qui si radunavano a una cert'ora le figure che lo popolavano, uomini forti e floridi come nutriti da quella rovina, e altri sfregiati smozzicati e rovinati come le lucertole e i gatti dei luoghi abbandonati ; e piccole donne giovani soltanto per essere esili e pallide, o donnone enormi che portavano i loro bambini a gustare il piacere d'essere serviti e di chiamare il cameriere. A certe ore non si sentiva che battere i cucchiaini sui vassoi e'sulle tazze. I ragazzi e le bambine erano la sola innocenza del luogo, sedevano privilegiati, serviti, curati, picchiati, in una sempre nuova frenesia d'amore. Un quartiere, come si dice, di gente d.' suore. In questo chiasso che la notte si assottiglia in un lungo sibilo sotto una finestra, e che quando per caso smette un poco si sta in Allarme come se fosse accaduto un disastro, feci un giorno l'incontro coi miei sordomuti. Erano due, seduti a un tavolino de! caffè; discorrevano animatamente, e dal loro modo avrei ascoltato volentieri le parole. Mentre gli passavo davanti, mi colpì la loro espressione. Ignoravo che fossero sordomuti. Non avevo veduto da un pezzo visi tanto innocenti, sorrisi così semplici in figure d'uomini, e ciò mi sarebbe stato causa di stupore ovunque, figurarsi in quel luogo. Ma parole non se ne sentivano. Uno di essi narrava animatamente, e a quanto pareva doveva trattarsi di un fatto molto complesso e ameno. Lo faceva coi gesti, ma non di quelli elementari e rozzi che noi attribuiamo solitamente ai muti ; erano anzi gesti appena accennati che.ricordavano quelli d'uno scultore intorno alla srua creta o d'un direttore d'orchestra. Come accade talvolta con le lingue che non si conoscono, davanti a un narratore efficace, che pare d'essere separati per un velo tenuissimo dalla comprensione, così mi trovavo davanti a quel discorso. Il narratore si aiutava pure con qualche cenno del viso, ma sobriamente ; si doveva trattare d'un sordomuto dalla loquela precisa ed elegante. Ne ammiravo la parsimonia degli aggettivi, il gusto di certe coloriture, la sapienza di certi costrutti. Il suo interlocutore rideva a tratti, o sorrideva; e quel riso era la misura di quella narrazione. E rideva anch'egli senza suono; un tale silenzio animato si era aperto il suo posto nell'aria come una custodia di vetro. Al modo stesso, in alto, su una zona di cielo sereno non arrivavano gli strilli delle rondini che impazzavano in quell'ora. Avevo veduto più volte i muti discorrere ; mà il loro linguaggio mi aveva colpito per una certa esagerazione, come d'uno che declami. Costoro invece dovevano certo dirsi i pensieri più sottili e sommessi, e mi pareva che tali cqtsslfrdrmststmsssnstr pensieri fossero ben fatti e degnci essere esposti sotto gli occhi ltutti, come la semplice raffigurazione d'un primitivo. Il loro inguaggio era all'epoca che precede l'invenzione della parolaquando tutto è visivo ed evi lente, e la raffigurazione pura c semplice di un fatto umano basta a dare il prodigio dell'intelligenza umana. Tutto doveva fermarsi, in quel discorso, alla rappresentazione d'un fatto e d'un personaggio veduti da fuori, con l'arte d'un artista demosaico. In quel quartiere consunto, dove tutto era stato detto e non rimaneva più che l'polvere e il fango dei secoli, queste erano creature nuove, chtornavano allo stupore delle prime raffigurazioni umane. Conoscevano essi il male e il beneMi pareva che ne fossero di làMi domando infatti se capita mai, nella cronaca dei delitti, dleggere che uno dei protagonistsia un sordomuto. Era percistraordinario il loro isolamentoe i loro visi senza passioni. Dovevano avere l'uno vent annil'altro una trentina. Si alzarono, e proseguirono la strada insieme, con quell'intimità che strova soltanto nelle coppie deragazzi, portando su di loro quel la colonna altissima di silenzio COme d'un vuoto rarefatto dell'aria. Mi provai a seguirli, ma all'imbocco d'una via tutta ingombra di carretti di merci, fra gente che gridava, essi scomparvero col loro silenzio. Noi siamo portati per natura a immaginare nelle città gl'incontri più inaspettati: è quello che ci tiene insieme e che dà un senso di avventura alla nostra vita quotidiana; in altre parole, questa è niente altro che la Speranza. Così io sperai di ritrovare quei due. E un giorno vidi un gruppo di tre persone, e mi accorsi che erano i miei sordomuti. Li riconobbi di lontano, solo al loro modo di guardare e di guardarsi, di ascoltarsi, e da quel senso d'un'aria rarefatta che li circondasse, incapace di trasmettere i suoni. Siccome quello 'che stava nel mezzo aveva i capelli grigi, ebbi una sorpresa, come a vedere una stranezza della natura, un bambino canuto, un innocente invecchiato. Ma ncn basta. Tutto il marciapiede, pnr un buon tratto, era gremito di gente a gruppi e a coppie, n con un silenzio stupefacente ; erano tutti sordomuti che discorrevano col loro modo, cerne gente cheuscisse dai .-Alpi uffici e dalle bot-I a e n l l i e i e r i n o o teghe. Era difatti quell'ora, e la mia fantasia cercò per la città dove potessero essere gli incantati uffici dei sordomuti. Quello sdrqcanuto che precedeva tutti, c in lmezzo a due giovani, doveva <;s- msere una persona onorevole, bi- hsognava vedere con quanta defe- 'c " -Ù 1 l J„„ .Km. lorenza gli parlavano i due amali cati, e come egli ascoltava degnamente. Onorevole, quello in crimezzo doveva esserlo per l'auto-[nrità che gli davano i suoi capelli bianchi e gli anni, e proprio per niente altro. I giovani che gli stavano accanto si comportavano secondo l'età loro, attenti premurosa e sottomessi, ma senza servilità. Allora, come al cèndmpnseguito d'una compagnia celeste'tche passasse in mezzo agli no- immini distratti i quali poi sen- otendone parlare il giorno dopo jlcome d'un prodigio si rammari- mcano di non averla veduta men-1 tre si trovavano sulla medesima jcstrada alla stessa ora, io mi miai ica! seguito di quella folla par-1alante senza suono, come ci si af-] Mfida a un fiume pieno e lento Mi pareva di intenderne il linguaggio. Non so perchè, noi attribuia- [nmo di solito ai sordomuti un'in scselnocenza fondamentale, come ai -Ibarabini e agli antichi; e questo c arebbe implicitamente un giuizio sul potere che hanno le paole di corrompere e di falsare, uasi che, con lo sviluppo del inguaggio, e col potere sempre maggiore d'esprimere che esso a acquistato, qualcosa si fosse orrotto e perduto nell'uomo. E ^e! o ™„ ;., „,.„ll'„o„„™Ul osì a me in quell'assemblea paeva di ritrovarmi in un mondo intico, il mondo del « Novelli no » per esempio, o di certi rac- onti popolari antichi, dove tutto veduto attraverso gli occhi, e non pensato nè riflettuto. Una di quelle persone s'era rivolta a me e aveva accennato il principio di un suo discorso, come fanno loro, con quei gesti da tessi-ori sul traliccio di un arazzo; ma soltanto a guardarmi negli occhi si accorse che io conoscevo e parole di tutti gli altri uomini, e passò oltre, Tn questo momento mi accorsi che tutto il gruppo era, non so come, dileguato per i vicoli là attorno. Lo cercai inutilmente, Ma da allora, nella decadenzanocenza uprema del quartiere, mi parve che quella gente senza voce e senza suono ne costituisse Vincerne angeli rimasti acustodia d'un paradiso perduto.Corrado Alvaro