Tradizione della Falange

Tradizione della Falange COME SORGE Lfl WUOVrt SPAGNA Tradizione della Falange Disse Jose Antonio Primo De Riuera : "lloi applicheremo lo spirito religioso e patriottico a un ordine militare,, (DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE) VALL ADOLI D, giugno. TI 4 agosto 1937 un decreto dì Franco approvava gli statuti della Falange Espafiola Tradicionalista y de las JONS. Agli articoli 35-41, questi prevedevano un Consiglio Nazionale investito della missione di determinare -le linee fondamentali della struttura del partito e dello Stato, le norme dell'ordinamento sindacale e la soluzione dei problemi interni e internazionali che il Capo gli sottoporrebbe. Il 19 ottobre seguente un nuovo decreto dava vita al Consiglio ed eleggeva i quarantotto membri destinati a farne parte. Opportunamente dosate, Falange e tradizionalismo si insediavano alla sommità del potere. D'ora innanzi Vuna e l'altro non avrebbero potuto competere e manovrare se non per linee interne, nell'ambito di qtiella specie di parlamento, supremo moderatore del quale restava il Caudillo. Un'unità di destino Per cattivarsi la fiducia della Falange, i tradizionalisti invocarono allora i diritti dello spìrito. Vi sono conciliazioni che poste al cimento della concreta pratica quotidiana offrono impedimenti gravi, ma che trasportate nell' atmosfera dell'astratto si presentano praticabili. I ventisette Punti avevano definita la Spagna: « Un'unità di destino nell'universale ». La definizione apparteneva, V ho già detto, a José Antonio, il quale nel suo discorso del 19 maggio 1935 aveva aggiunto, per illustrarla, che « la monarchia spagnuola era stata lo strumento storico della realizzazione d'uno fra i più grandi destini universali » e nel discorso, del 17 novembre successivo che la Spagna « ha cumplido un gran destino en lo universal, y puede seguir cumpliéndolo ». Il « grande Assente » aveva affermato anche qualcosa di più di questo richiamo generico all'opera politica della Spagna dei Re Cattolici e dei primi Absburgo e al la possibilità di riprenderla, allorchè, in un articolo del 18 gennaio 1934 apparso sulla rivista Fe di Madrid, aveva scritto esser stato il cardinal Jimenez de Cisneros il « primo falangista della storia » e il falangismo dover fare di costui il proprio Capitano Generale. Un nazional-sindacalismo il quale spontaneamente si collocava sotto l'egida del frate che non fu soltanto il ministro di Ferdinando e il primo artefice dell'unità spagnuola, ma il confessore di Isabella, il provinciale del minore ordine francescano e l'ispettore dei conventi del regno, « da lui visitati e riformati, dice Juan Vallejo, con magna saggezza e prudenza », viaggiando asceticamente a pie scalzi per città e villaggi e vìvendo di pubbliche limosine, era un nazional-sindacalismo sul quale i tradizionalisti non avevano tutti i torti a ripromettersi dì far presa. « San Francesco d'Assisi, spiegava José Antonio, applicò lo spirito cavalleresco e militare a un ordine religioso. Noi applicheremo lo spirito religioso e patriottico a un ordine militare e saremo simili a un ordine francescano ». Queste ed altre simili parole del capo spirituale della rivoluzione sarebbero state il cavallo di Troja mercè cui i tradizionalisti dovevano farsi strada nella Falange. Entrati nella fortezza, costoro non perdettero il loro tempo. In un'opera che ritengo capitale per l'intelligenza del loro delicato proselitismo spirituale, José Pemartin, scrittore pieno di sottigliezza andalusa, funzionario di quel ministero dell'Educazione Nazionale ai cui destini presiede un altro filosofo di vaglia, Pedro Sainz Rodriguez, scrìve : « Coloro che pretendono creare ex nihilo, per un atto di volontà entusiasta, la forma dì un nuovo Stato imitato dallo straniero misconoscono una verità essenziale così per l'individuo come per le nazioni: che, cioè, per paradossale che sembri, è nel passato che giace la sostanza spirituale dell'avvenire (Pemartin, Qué es « lo nuevo »... Sevilla 1937). Qual'è per la Spagna questo passato"! Nella gloria del '500 Il secolo XVI, anzi il Medioevo. Come l'Italia fascista im.postò la propria resurrezione politica sulla tradizione romana, così la Spagna nazional-sindacalista imposterebbe la propria sulla tradizione cristiana medievale. Fra tutte le potenze d'Europa, non è forse la Spa¬ gqmdCtzvllmcssCsdmcagF«glzdslMiqtmgdègzd l e . e i i , o i ì o , a r e a e ¬ gna l'unica rimasta fedele a quello spirito cristiano che forma la vera grandezza dell'Occidente f Mentre gran parte del Continente si abbandonava ai trascorsi della Riforma e del razionalismo cartesiano da cui dovevano uscire l'Enciclopedia, il liberalismo, la democrazia, il relativismo einsteiniano e finalmente il bolscevismo, la Spagna, coi paesi dove la sua- civiltà stampò la sua orma, Italia, Austria, Belgio e America meridionale, teneva viva, grazie alla Controriforma, la fiaccola dello spirito cristiano, che è spirito di Crociata e non di libero esame. Ermanno Keyserling disse che la Spagna è « la riserva morale dell'Europa ». Il Pemartin applaudisce, sostenendo che la guerra combattuta da Francisco Franco contro il bolscevismo, « mostro immenso dalla testa giudaica innestata su cento milioni dì corpi mongolici avanzanti strisciando per le marche d'Oriente a divorare il cristianesimo occidentale », forma l'epilogo di quella battaglia di Mùhlberg che Carlo V aveva impegnata contro la Riforma quattro secoli or sono. Meno fortunata e meno coerente, la Germania, figlia di Lutero e di Hegel, si oppone in certo qual modo alla sua stessa ideologia, che è di stampo hegeliano. La Spagna continua, invece, in un'azione, in una resistenza, in un discorso intrapresi a datare dagli albori della propria esistenza nazionale mediante la lotta- contro l'Islam, le guerre contro il protestantesimo e la grande crociata transoceanica, affermandosi nel presente momento storico come il più conseguente, il più rettilineo dei motori politici del mondo civile. Contro l'ani i-Spagna Non è difficile vedere l'importanza immediata di queste idee e il partito prezioso che se ne poteva trarre. Ad onta di ten denze più laiche che non quelle del Pemartin, un altro filosofo di merito, Alfonso Garcia Valdecasas, sottosegretario del Ministero dell'Educazione Nazionale ma prima di tutto triumviro della Falange, vi sottoscriveva fin dal 1933, riconoscendo a sua volta in un discorso di quel 29 ottobre, che il protestantesimo fu un movimento insurrezionale contro il genio della Spagna e che per questo la Spagna gli oppose Ignazio di Loyola e la Controriforma. Dal protestantesimo uscì la morale puritana. Ma non fu la morale puritana il punto di partenza della sete di lucro che dette nascita alla borghesia e al capitalismo? Il calvinismo condusse al moderno prevalere del temporale sullo spirituale, al particolarismo nazionalista, antitesi dell'unità cattolica dello spirito, al socialismo, alla lotta di classe. Oggi tutto questo è sul punto di crollare. Ma poiché « la rovina dell'Anti-Spagna i evidente, spetta alla Spagna rimettersi a impartire al mondo le sue norme, riaddìtare al mondo le vie dello spirito ». La ban diera della sua rivoluzione sa rà, dunque, il labaro dell'universalismo cattolico. All'Europa infetta di materialismo razionalista la luce verrà ancora una volta da Valladolid, la capitale della Castiglia eroica, la città che nel giro di soli quarantacinque anni, secondo Menendez Pelayo, o in ogni caso in poco più di mezzo secolo, vide « l'unione con l'Aragona, la vittoria sul Portogallo, l'epopea di Granata e l'estirpazione totale dell'islamismo, il recupero del Rossillon, l'annessione della Navarra, la riconquista di Napoli, l'abbattimento del potere francese in Italia e sui Pirenei e il trionfo dell'egemonia spagnuola in Europa, mentre dal mare (l'Occidente emergevano isole ignote, promessa di immensi continenti mai ancora sognati, come se all'espansione del genio ispanico la terra non bastasse più ». Evidentemente, le preoccupazioni che dettero origine alla Falange non si riducevano a semplici nostalgie storiche. L'idea maestra dei padri,della rivoluzione, di cui solo una minoranza restava monarchica, stava nell'assicurare alla Spagna una migliore orgamizzazione politica, sociale ed economica, sfruttando gli utili ammaestramenti forniti loro dal Fascismo italiano e dal Nazionalsocialismo tedesco. Quello che ai falangisti premeva era, per così dire, la tecnica dello Stato. Ma, a nome dei tradizionalisti, anche il Pemartin parlò di tecnica, spiegando che « in Ispagna il Fascismo doveva èssere la te¬ clscplccvcvgcdsvtioIcdnmqsdlds à ù l cnica del tradizionalismo ovvero la traduzione del tradizionalismo in termini attuali (v. Acciòn Espanda, Burgos, 1937, p. 402) ». E, per chi trovasse la formula insufficiente o poco chiara, lo stesso scrittore adduceva che nella maturazione, verbigrazia, del proprio ideale corporativo la Falange non doveva dimenticare come la Spagna possedesse tuttora nelle confraternite sivigliane un modello magnifico di fraternità senza distinzione di classi, un vivaio di selezione sociale spontanea, una scuola di vocazione interiore, una palestra di fede operante e concreta. Mentre in Italia, così, il ritorno all'idea corporativa s'era compiuto badando ad evitare ogni confusione, ingenua o voluta, con la mentalità medievale, in Ispagna quella confusione i tradizionalisti la provocavano, ripromettendosi di farsene, in seno al partito unico, una ragione di intelligenza- con la Falange, un modo di avviare sin dal principio il novatorismo di questa su una strada consona alle direttive dell'età d'oro spagnuola: l'età di Valladolid. Madrid e Valladolid Il concetto del sindacato verticale fu la loro ricompensa. Ma la coscienza d'essere artefici di un movimento originale fu la ricompensa della Falange. Chi vuol comprendere lo spirito e il processo della rivoluzione spagnuola non può dimenticare che questo popolo, in cui l'Europa s'era troppo facilmente abituata a vedere un minus habens accantonato in un angolo morto del suo. territorio, fu ed è un grande popolo, conobbe i fastigi della potenza, dettò legge ai due mondi, espresse dal proprio seno una civiltà tenace, rimaista pressoché intatta dovunque giunse ad affermarsi. L'orgo glio spagnuolo, nato fra i portali platereschi di Valladolid ma induritosi e incupitosi a Madrid a misura che la decadenza nazionale e internazionale della patria gli insegnava quella psicologia del « risentimento » alla cui scoperta Max Scheler deve forse d'essere oggi il filosofo più letto nella penisola, aveva bisogno, quanto e più dell'orgoglio tedesco, di scoprire i termini d'una rivoluzione che non si riducesse alla copia d'una- rivoluzione altrui ma che avesse il piglio o se non altro il tono, il colorito d'un movimento suo proprio. Sceso in campo imitando con candido zelo i modi, le parole d'ordine, le iniziative delle rivoluzioni fascista e nazional-socialista, dalla camicia quasi néra al rito dell'appello ai morti, dall'aiuto invernale al dopolavoro, dalla battaglia del grano al piatto unico, era inevitabile che lo Spagnuolo della rivoluzione si gettasse con sollievo e gioia su una dottrina che gli permetteva, quando meno se lo sarebbe atteso, di rivendicarne la paternità. Appellandosi al precedente dei Re Cattolici e di Carlo V, i paladini della tradizione facevano vibrare nel cuore della Falange una corda che non vibra mai invano nel cuore d'un partito e meno che mai d'un partito spagnuolo. La loro posizione in seno al Consìglio Nazionale ne riuscì assicurata. Valladolid poteva attendere con calma .gli avvenimenti. ' Concetto Pettinato Il Duce assiste alla rappresentazione dell'» Aida » al Colosseo. Da sinistra a destra: il dott. Ley Capo della delegazione tedesca, il Duce, il Capo di S. M. delle S. A. Liitze e Gustavuss Town Kirby, Capo della delegazione americana. (Telefoto).