I BEI VOLUMI

I BEI VOLUMI I BEI VOLUMI La rilegatura seicentesca è la prima bellezza del volume che contiene in facsimile il manoscritto dell'Incoronazione di Poppea, dono di un ultimo Contarmi alla Marciana. Ben distesa su gli spessi cartoni, la morbida pelle di color granato scuro è carezzevole. Lavoro ammirevole 6 l'impressione dei fregi su foglietti d'oro fino. In ciascun angolo della filatura di contorno traspare un ventaglio "«ve quanto un merletto. Il dorso incuriosisce per l'enigma di due sovrapposte scritte dorate. La più pallida scandisce in quattro riquadri il nome ÌWun-te-ver-de ; la più recente spazia le sillabe Nero-ne. Così, per brevità forse, il popolo a Venezia e a Napoli designò l'ultima e ammirata opera di Claudio. O forse, come suggerisce Giacomo Benvenuti, eruditissimo del Cinque e Seicento e promotore di questo esemplare, la coperta contenne altre musiche di Monteverdi e fu poi adattata a questo manoscritto. Aperto, il volume oblungo sta comodamente sulla palma delle mani. Simile è la grana della carta pentagrammata, simile la rifilatura dei margini, simile la 6trisciolina d'una aggiunta; e questa è autografa di Monteverdi, la sinfonia, ch'egli abbozzò in testa al prologo,. cancellò e riscrisse. La fedele riproduzione commuove chi ama e la musica e il libro. Note e fogli furono scritti e copiati per le rappresentazioni veneziane àeW'Incoronazio■ne nel 1642. Affidate agli amanuensi le parti del canto e del basso non cifrato e, come usava, la sola linea del basso nei pezzi orchestrali, Monteverdi riguardò le copie, corresse gli errori, e non tutti, completò le voci strumentali, aggiunse didascalie, prescrisse il trasporto dei toni, i tagli, <ti miglioramenti » che la riflessione recava all' impeto creativo. Il Benvenuti, minuziosissimo indagatore, ha distinto sette scritture nel corso dei tre atti; quella ben nota di Monteverdi, fissata da un inchiostro fortemente tannico, è òui e là maculata dai colpi di polpastrello, sbrigative condanne di note ripudiate ; tre di copisti, per i versi del Busenello, e tre, per la musica, non 6ono scevre di errori. E la seconda bellezza, se ne è scritto l'anno scorso, è la musica. Scena per scena si rinnovano sorprese seicentesche e incanti monteverdiani senza date. Qui Nerone conquiso e Poppea seduttrice per la prima volta duettano d'amore, qui Ottavia nobilmente si sdegna e lamenta del ripudio, più avanti Drusilla gioiosa rossignoleggia, il Valletto e la Damigella scherzano ingenui come alla vigilia del_ peccato, Seneca severo e spirituale dà l'addio alla vita di quaggiù, squilla infine il trionfo dell^mperatore, ed è anche la vittoria di Amore che tutto muove... Il più compiuto e ricco melodramma del secolo XVII è tutto qui, sprigiona suoni cordiali e commoventi, fonde il fantastico e il realistico, desta immagini fastoso, modella l'opera italiana. Un tesoro, per la musicologia e per la bibliofilia. Un ampio leggio occorre invece al voluminoso in folio nel quale Carlo Permeilo ha riprodotto la prima e rara stampa, 1697, dell'A m.fiparnaso di Orazio Vecchi, aggiungendovi la sua moderna partitura e trascrizione. Duplice iniziativa, cui spetta il ringraziamento degli studiosi, insoddisfatti delle precedenti edizioni dell'Eitner e del Torchi, e degli amatori di facsimili. Precedono il frontispizio, la dedica, il testo verbale. In consecutive tavole su due facciate son raccolte e nitidamente impresse le cinque particelle del canto, dell'alto, del tenore, del quinto, del basso, che l'editoria nel tempo della primazia del coro usava staccate. E ciascuna delle quattordici scene di questa bizzarra « comudia harmonica » corale, e perciò non destinata alla rappresentazione, è accompagnata dalle vignette, che lo stesso Vecchi pose sotto gli occhi dell'uditore per agevolargli la comprensione della vicenda dialogica e l'immaginazione dello spettacolo. Minuscole e forbitamente incise, tali illustrazioni documentano la prospettiva teatrale cinquecentesca, tutta a costruzioni reali, _gli sfondi, i laterali, i praticabili, e anche la tecnica del costume e del trucco : facciate di case signorili o modeste, con portici e finestre, le porte, le piazzette, le strade, il castello, la chiesa col campanile, il simmetrico centro cittadino e la periferia dirupata; Pantalone e il dottor Graziano, lo spagnuolo Capitan Cardon e Zanne bergamasco, gli innamorati, i servi, gli ebrei; commedia e vita. Queste vignette, l'Argomento preposto a ogni scena, le molte dichiarazioni esplicite del Vecchi, la forma della composizione, le altre affini commedie corali fra il Cinque e il Seicento, provano senza ambiguità, come scrissi da Firenze or e un mese, che il faceto canonico modenese ed eccellente polifonista non vagheggiò neppure l'ipotesi della rappresentazione delVAnifiparnaso. Con orgoglio e coscienza di dotto contrappuntista egli volle mostrare ai primi operisti e ai sostenitori dello stile recitativo che anche una commedia d'intreccio vario e numerosa di personaggi poteva diventar il testo d'un madrigale a cinque parti, e che un taflavoro era assai più difficile e glorioso di quello monodico, celebrato dal nuovo gusto. Malgrado tante prove il Pennello pertinacemente sostiene nella prefazione la tesi dell'» intenzione » vecchiana « della rappresentabilità scenica », e per avvalorarla ricorre a viziose re- strizioni mentali, come quando cita i versi i Questa comedia nostra Almen di due novità composta > (cioè di musica e dialogo) e dà all'almen un significato presuntuoso, scordando il verso « Se non di ricca e vaga scena adorna », dove il « se non » ammette la mancanza; o quando per magnificare la novità <le\Y A mfimnui»o confonde il sorger dell'opera con l'apertura del teatro al pubblico e scrive: « Pochi decennii dopo la morte del Vecchi sorse il teatro d'opera ». Inoltre egli, trascrivendo modernamente la musica corale, ne ha staccato quella o quelle parti' che volta' a volta recano più spiccata la cantilena o la recitazione, e vorrebbe fossero eseguite da solisti, mentre il coro Fungerebbe da orchestra. E chiama « integrazione » questa, che, trattandosi di un'opera compiuta e perfetta, è, come ognuno intende, una disintegrazione, piuttosto. Ma la soverchia esaltazione de.l- 10 opere d'arte a lungo amate ed elaborate, che è un difetto frequente negli studiosi, non scema 11 valore del contributo musicologico del Pennello. La sua lettura filologica dell' A m/iparnaso è dottissima, quale poteva derivare soltanto dalla familiare consuetudine col Cinque e Seicento c dallo studio intimo della cqmposizione. Con la sua scorta è ora assai facile leggere, concertare, cantare, le beile linee duttili e plastiche, gustose, mordaci, patetiche, ironiche, complesse ed evidenti, di questo gran saggio di fantasia italiana arguta e gentile. Volumi belli, questi, dentro é fuori. A. Della Corte Il facsimlli di Monteverdi è «dito da Boera, Milano, e coita 360 lire ; quello di Vecchi, edito da «La Zarllniana», Milano, costa 300 lire.

Luoghi citati: Firenze, Marciana, Milano, Napoli, Venezia