D'AZEGLIO E CAVOUR di Filippo Burzio

D'AZEGLIO E CAVOUR D'AZEGLIO E CAVOUR Se io fossi uno storico farei ; se fossi un editore inciterei altri a fare, e poi pubblicherei — una collana di monografie dedicate ai Piemontesi del Risorgimento. Con delizia'm'ingolferei in quel mondo, in quella materia: porrei a capostipite Alfieri, chiuderei la serie con Quintino Sella ; lo zenit sarebbe naturalmente toccato con Cavour, e con quel Parlamento subalpino del Decennio dopo Novara, in cui tu vedi adunati, partendo dall'Estrema Destra di Solaro della Margarita, Ottavio Revel e Cesare Balbo a Destra, Cavour, Azeglio e Lamarmora al Centro; poi man mano, a sinistra, Rattazzi, ^ Brofferio, Valerio (Gioberti è già morto in esilio, e, fuori del Parlamento, Garibaldi e Mazzini sono anch'essi sudditi sardi). E poi i minori, che so? Giacinto Collegno, Cibrario, Sclopis: tutti Piemontese e tutti accolti in un 6olo periodo, non dico nemmeno storico, ma semplicemente politico, in una sola Assemblea: che nomi! Conviene-notare, cosa abbastanza singolare, che, fino alla morte di Cavour, i nobili (e quasi tutti cadetti) prevalgono nettamente, come statura politica e morale, sui borghesi; poi, di colpo, estinta quella generazione, scompaiono quasi totalmente dalla scena: ne è a dirsi che ciò dipenda dal sommergersi del Piemonte nella vasta Italia, poiché un certo tal quale primato politico piemontese continua, ma passa ai borghesi: da Lanza e Sella, attraverso Depretis e i minori, come Saracco e Tommaso Villa, fino a Giolitti, con cui veramente il periodo 6Ì chiude. Si tratta proprio di una decadenza di classe, quale raramente si vide più precipitosa. Ma, fino al Sessanta, quale fioritura! A me piacerebbe, naturalmente, nella mia collana evocare, attorno alle figure, l'ambiente ; accanto alle idee, i temperamenti: Balbo che si reca alla Consolata, Cavour che, pur tra la Crimea e Plombières, 6Ì precipita, appena ha un momento libero, a Leri, a speculare sui grani; d'Azeglio che divide i suoi ozi (troppo frequenti, gli rimproverano in famiglia e fuori) fra i pennelli, le ballerine e le duchesse: sempre elegante e irresistibile, anche a sessantanni suonati, come lo vide, da donna, Luisa Colet, al tempo del Governatorato di Milano: a Illustre nella guerra, nella politica, nelle lettere, nelle arti, Massimo d'Azeglio congiunge a tutte queste doti personali una distinzione di razza che affascina; l'età ha imbiancato i suoi capelli, le nobili passioni che agitano la sua anima hanno alterato i suoi tratti, ma le grandi linee rimangono : l'espressione della sua fisionomia è rimasta giovine, il taglio elegante e diritto della persona non ha perduto nulla della grazia d'una volta; nessuno veste con gusto più aristocratico l'uniforme e il mantello corto, di cui rigetta un lembo sulla spalla sinistra; egli ha adottato questo mantello per i giorni freddi e protesta, portandolo, contro il paletot borghese di drappo peloso. Questo vestito gli dà le movenze di un conte d'Almaviva... ». E il vecchio suocero, il Manzoni, ad annuire bonario: a II est né séduisant ». Cavour, invece, è piccolo e tozzo, inelegante e passabilmen^ te brutto, sebbene anche a lui piacciano furiosamente •€ donne (è strano come in questo periodo tutti i primi attori siano donuaiuoli, a cominciare dal Re; il nostro tempo è assai meno sotto l'influsso di Venere): ma molto probabilmente errerebbe chi cercasse, freudianamente o giù di lì, in queste opposizioni sessuali, l'origine segreta del gran dissidio che ha opposto per anni i due uomini, non solo politicamente, ma in un'atmosfera più vasta e simbolica di conflitto ideale e morale. Opposizione, non 60I0 di idee ma di temperamenti, questo sì; e non si risparmiavano botte e risposte. Se Massimo, sfogandosi con gl'intimi, chiamava empio rivale il suo successore, e raccomandava a Persane*, per il suo diario, di non spiattellare al pubblico « i tiri, i giri e i raggiri di Cavour »; e se Camillo non 6Ì peritava di definire 'na citila, quegli che, nel ministero, era tuttora il suo principale — pure in Azeglio la ostilità a Cavour non raggiunse mai, nemmeno lontanamente, la repugnanza quasi fisica che il gentiluomo sentiva per la plebea vanità di Gioberti, e per l'arrivismo di Rattazzi. Quasi che ciascuno avvertisse d'impersonare, non pure colle idee ma col carattere, un alto principio; e che il loro non era se nou un episodio e momento patetico dell'eterno dissidio fra la politica e la morale. Sotto questo aspetto, si tratta di ben altro, fra loro, che del conflitto occasionale fra Cavour e Garibaldi; e anche, a mio avviso, dell'altro conflitto annoso, che oppose '.1 fronte unito Azeglio-Cavour a Mazzini. Azeglio è la morale pura ed intransigente che, pur nella vita pratica e di fronte alle esigenze del Bucoesso, sdegna le doppiezze e non si piega ai compromessi; Cavour è invece la politica eterna, che piega ì mezzi al fine e opera sulla realtà quale è. Sappiamo tutti che, nella fattispecie, la storia diede torto a d'Azeglio e ragione a Cavour; ma ci sembrerebbe errato dedurne, in generale, una vittoria ineluttabile (e, per di più, provvidenziale) della politica sulla morale: che, per tutto iperiodo precedente il conflitto — preparazione del '48, conversione italiana a\V albertismo e utilizzazione di Pio IX ai fini nazionali, fino al Proclama di Moacalieri incluso — è proprio l'alta ispirazione morale e l'assoluta^ lealtà di condotta dell'Azeglio a dare i frutti migliori, anche politici; e, anche dopo, quando Cavour vuole infuenzare, favorevolmente alla causa italiana, la diplomazia inglese e l'intera opinione europea, è ancora all'enorme prestigio morale di Azeglio che si affi'la, e dietro lui quasi si cela. E inoltre, se il temperamento azegliano, invece di presentare i difetti dei suoi pregi, gli avesse concesso maggiore assiduità e tenacia, chi può dire che il successo politico non gli avrebbe arriso anche di più? Mentre, d'altronde, la semplice abilità e le prodigiose doti d'intrigo non avrebbero portato Cavour al trionfo, se non le avesse animate, non solo la fiamma eroica, ma- una levatura morale che, meno pura dell'altra, pra però, a suo modo, effetti'/a. La conclusi me sembra essere che, almeno come ideale demiurgico limite (a cui ci si avvicinerà tanto più, quanto più alta sarà la statura dei concorrenti), attività politica ed attività morale debbano associarsi in un'opera, in cui l'elevazione ideale del popolo e la affermazione di un tipo superiore di civiltà diano il suo pieno valore al semplice successo materiale dello Stato: se no, non ne vale la pena. Porse una simile fusione della politica con la morale fu raggiunta con tipi come San Luigi e simili: ma siamo troppo distanti per giudicarne. Nel conflitto Azeglio-Cavour i due elementi si dissociano ancora un poco, affidandosi alla loro concordiq-discors (come spesso succede alla debolezza umana, incapace di realizzar tutto in un solo individuo) 1' effetto d' insieme.ti a siamo già tanto vicini aqueir ideale-limite ! e tanta coni mozione ci dà che il Risorgimento abbia toccato tali ver tici, prodotte tali figure! P. ESantangelo, nel bènissimo li bro su Massimo d'Azeglio politico e moralista (*) che mi ha ispirato queste riflessioni, si è proposto, mi pare, di richiamare in onore il polo Azeglio, che era andato un po' sommerso nella scìa abbagliante di luce dell'altro polo Cavour. Egli ha tendenza a non nascondere, come spesso usa farsi, i lati di ombra del gran Conte ; e ha ragione, perchè, oltre tutto, una così gigantesca figura non scà pita affatto a essere vista nei suoi chiaroscuri: e mentre poi d'una parte, sottolinea il vaio re politico, tutt'altro che trascurabile, dell'opera azegliana, glriconosce, dall'altra, la sua funzione essenziale di moralista e di educatore nazionale degli Italiani. Felicissima distinzione, e correttiva, sintesi, questa sua che. mentre conserva a Cavour il titolo di sommo creatore politico (e non solo diplomatico, come vollero i suoi nemici) del Risorgimento; e a Mazzini quella d'ideologo e di apostolo della Unità, conferisce finalmente a d'Azeglio il posto di prim'ordi113 che gli spetta nell'epopea.Sicohè, se le vecchie oleografie della nostra fanciullezza — dov'erano rappresentati, seduti intorno a un tavolo, a giocare a tarocchi nell'ai di là, 1 quattro fattori dell'Indipendenza — dovessero tornare di moda, sarebbe forse giustizia aggiungervi una quinta sedia. E' noto un gentile episodio: avendo un giorno ricevuto una lettera indirizzata Al primo cavaliere d'Italia — Vittorio Emanuele la respinse dioendo: questa non va a me, va a Massimo d'Azeglio. Baiardo del Risorgimento italiano, e come quegli senza macchia e senza paura, nessuno meglio di lui impersonò in quel periodo l'ideale cavalleresco, cioè la più alta figura morale creata dalla civiltà cristiana ; la quale, a sua volta, costituisce, a tutt'oggi, la più alta civiltà umana. Dovremo aggiungere, per la necessaria umiltà, e a fissare i limiti di ogncreatura umana, quello su cutroppo spesso si sorvola, e che a noi sembra spiegar molte cose? Che, cioè, visti sotto questo aspetto, (che è poi quello che meglio lo illumina) il prestigio e la seduzione cavallereschi di Massimo d'Azeglio conservarono forse un po' troppo una sorta di colorazione sessuale, che gl'impedi di assurgere alla pura luce di Lohengrin, per non dire addirittura di Cristo? Piacque troppo, forse, e gli piacquero troppo le donne: la sua seduzione non seppe, non dico rinnegare (che sarebbe pericoloso)ma trascendere il sesso. E ciò spiega, mi sembra, certa indolenza e fatuità dell'età virile, epiù tardi, il fatto che, col declinare del maschio, tutto l'uomo abbia declinato. Non saper invecchiare è la vendetta del ses so sugli uomiui che vi abbiano hnppo puntato: quella , che d'Annunzio svbi poi così duramente. Filippo Burzio P E Stl Mi