Un panorama dell'arte italiana di Marziano Bernardi

Un panorama dell'arte italiana Oggi si inaugura la XXI Biennale di Venezia Un panorama dell'arte italiana La superba affermazione della nostra scultura fra le intense ricerche pittoriche dei giovani e le salde posizioni dei maggiori maestri Venezia, 31 maggio. La Biennale di quest'anno ha un carattere ben definito: è limpida, è riposante, è chiarissima di comprensione, la « si legge » — diremmo — tutta d'un fiato; e se sì pensa che il fiato bisogna tenerlo per una quarantina di sale, si vede che giungere all'ultima sani e salvi, anzi abbastanza contenti, non è poco. Cos'è che ci dà questa sensazione di agio e' di raccoglimento, di pacatezza e quasi di pulizia — come di.linde stanze igienicamente aerate? E' l'ordine esemplare di cui Maraini è maestro; poi il criterio dell'allestimento: perchè il paradosso delle grandi esposizioni d'arte è questo: che la loro perfetta vittoria, anche prima che nel procurare un autentico godimento estetico, sta nel saper condurre adagio adagio, con garbo, il visitatore all'uscita non completamente intontito, ancor capace di ragionare su ciò che ha visto, di architettarsi nella testa un giudizio d'insieme che lo faccia concludere: «Dopo tutto, sono state due ore utili ». Due concetti Più che mai dunque le Biennali ■— queste massime rassegne internazionali di pitture e di sculture — debbono superare con ingegnosi accorgimenti la contraddizione che esiste fra l'isolamento, nel tempo e nello spazio, richiesto da qualsiasi opera d'arte per il suo apprezzamento, e l'indigestione intellettuale che la successione di centinaia di quadri e di statue inevitabilmente procura. La posta è giocata quindi tutta sull'interesse, su uno spunto nuovo che di volta in volta modifichi e varil lo spettacolo; e — regista impareggiabile — Maraini riesce ancora a procurarci ogni due anni qualche « sorpresa >. Così, persino quando l'estro artistico dormicchia, egli sa fare ancora qualche « scoper ta », mettere in evidenza valori sconosciuti, od elegantemente sfruttare i tempi d'attesa; e cosi soprattutto, sotto la sua regìa, le Biennali sono andate trasformai dosi profondamente. Nel 1895 esse eran nate con l'aspirazione « ad essere una raccolta sobriamente misurata d'opere originali ed elette » (parole di quel Regolamento di quarantatre anni fa), anche se l'originalità e l'elezione eran connesse a giudizi che, come tutti i giudizi, potevan riuscire personali, incerti o fallaci. Da anni Invece « l'esposizione di Venezia vuol essere un'eletta raccolta di opere originali che riassumano la produzione artistica contemporanea di • tutte le arti». Due concetti sottilmente diversi: il primo, un criterio di eccellenza; il secondo, un criterio di cultura o se non altro di informazione — e nello stesso tempo di infinitamente più larga indulgenza. Nel 1895 o giù di 11 si andava quindi ai Giardini per vedere (o con l'illusione di vedere) le più belle opere dell'arte italiana contemporanea; adesso da tem; po vi si va per vedere come dipingono e scolpiscono duecento o trecento o quattrocento artisti italiani contemporanei, Tiotlssimi, meno noti o addirittura quasi ignoti. Prima, alcuni più o meno autentici culmini; ora, dei vasti panorami. Nessun stupore perciò che nel 1895 le opere italiane esposte fossero 188, e che già nel 1932 fossero 1579. Se a queste cifre se ne ponessero accanto due altre: nel 1895, visitatori 224.327; nel 1932, visitatori 249.960; data la proporzione fra opere e pubblico, chi volesse meditare troverebbe da meditare. I cinquanta del 1938 Panoramica dunque anche questa XXI Biennale, che in realtà risulta un grandioso complesso di « mostre personali », quelle dei famosi cinquanta invitati sul cui numero, sulla cui scelta tanto s'è discusso e scritto e chiosato che non sarebbe neppur più necessario ricordare i replicati avvertimenti del Maraini intorno alla « rotazione » degli invitati per le Biennali venture. Ai cinquanta del '38 altri cinquanta succederanno nel '40 sempre per meglio illustrare e documentare al pubblico l'arte nostra. Vediamo così Carrà, Severini, Carena, Tosi, Marini, grossi calibri degli anni passati, presenti con sole due o tre opere, quasi semplici biglietti di visita, al pari di Tito o di Canonica o di Martini (qui si parla di quantità e non di qualità) ; e addirittura assenti Rubino (che pure era stato invitato) Soffici, Messina, Dazzi, Selva. Ve diamo invece intere pareti o ade guato spazio di sale liberalmente offerte ad artisti finora (non s'offendano) di secondo piano almeno in queste mostre, quali Eso Pe luzzi che con impegno e bravura supera questa sua difficile prova, il napoletano Giovanni Brancaccio, bel pittore chiaro, discorsivo di forte evidenza descrittiva, Angelo Del Bon che più sfatto nei volumi e più evanescente nei toni sembra seguire le orme di Tosi, il varesino Francesco De Rocchi, molto attento nelle sue ricerche coloristiche, il giovane scultore Giacomo Manzù che con eccezìo-• naie delicatezza plastica, con una intensità emotiva profonda, con innegabile suggestione sentimentale, riecheggia — ma con trentanni di ritardo — nelle sue cere e nei suoi bronzi quell'impressio nismo romantico lombardo che Medardo Rosso, dopo CremonaRanzoni e Grandi, figliocci della ideologia rovaniana, portò alle estreme conseguenze, segnando con la sua genialità 11 limite invalicabile fra pittura e sculturafra valori piasti- ; e valori musicali. Ecco quindi alcuni incontrio ritrovamenti approfonditi, nonpqnatcmpèsdgp e i i e e - a n e e , a e o , , n privi di interesse, e resi possibili qui ai Giardini dal criterio ordinatore delle mostre personali. Ed ai più noti espositori che delle altre ■ son protagonisti or ora accenneremo. Ci interrompiamo invece un momento per osservare che la « sorpresa » di quest'anno in parte ci è data dai ritratti, sia dipinti che scolpiti, e dai paesaggi e dalle vedute di città che passarono sotto giuria in seguito ai concorsi di pittura, scultura, incisione, medaglistica; in parte dagli affreschi e bassorilievi ispirati ad aspetti, momenti, episodi dell'Era Fascista, che, pure attraverso concorso, han trovato posto nelle sale centrali del padiglione italiano, e ne costituiscono — eseguiti sul posto dopo accettazione dei bozzetti — la principale decorazione. Opere e autori Un cenno per le prime opere. Scelta severa e numero limitato. Vogliamo dire che sian tutti capolavori? che opere di pari merito (qualcuna l'avevamo vista prima dell'invio) non abbia invece preso la malinconica strada del ritorno? Sono le esclusioni, forse ingiuste, ma inevitabili in ogni concorso troppo affollato; e chi ha fatto parte di una giuria di accettazione e dopo ore ed ore di esame non si è trovato nella quasi completa impossibilità mentale di scegliere il buono dal cattivo od almenp di graduare i valori, scagli la prima pietra. Qui comunque ci basti segnalare alcune opere: il ben plasmato busto del Duce di Angelo Righetti, un impetuoso e gaio paesaggio di Pauluccl, il Monferrato sotto ìa neve di Terzolo più che mai fìammingheggiante, un'Estate di Tommaso Cascella, il solito paese dalle tinte verzoline leggere leggere, gentilissime, di Canegrati, un ritratto di Mario Bacchelll, altri buonissimi di Ferrazzi, Cadorin, Bortolo Sacchi, Rambaldi, Blanchl-Barrivlera, Chiancone, Prudenziato, Di Giorgio, Fabbricatore, Pizzlranl, paesaggi notevoli di Coluccl, Dafne Casoratl, Cesare Monti, Collina, Lomini, Fiumi, Dani, Barrerà, Barli, Bonfanti, Cortiello, Gordigianl, Barbieri, Vellani-Marchi, Aloi, Vinzio, Nomellinl, ed una simpatica veduta di Dessiè di Piero Monti, già combattente in AfriOrientale. L'insieme compone una selezione accurata, specie se vi si aggiungono le eccellenti acqueforti di Marcello BogUone (volentieri l'avremmo visto Invitato con una « personale » accanto a quelle dei migliori rappresentanti in questa Biennale del bianco e nero, e cioè Dentala, Mauroner, • Petrucci, Chiappelli, Anselmo Bucci, Mino Maccari), e le varie incisioni del Carbonati, di Dina Bellotti, di Mimi Quilici Buzzacchl, di Servolini, di Vellan, della Fortini, del Dessy, del Pascucci, del Cisari, tutte di vedute di città. Ma se fra i partecipanti ai concorsi si dovessero graduare i valori, forse la scultura avrebbe il sopravvento. Da anni giustamente si proclama che ITtalla è alla testa della scultura europea. Lo vedremo meglio passando — fra i cinquanta — da Berti a Crocetti, da Martini a Marini, da Guerrisi a Innocenti, dall'anziano Rivalta al giovani Mascherini e Giordani; ma qui, sia pure con meno maturi accenti, basterebbero ad avvertircene alcuni esempi Più ci interessano i saggi dei giovani, come la Flora del MastroJanni, un non ancora trentenne che da tempo seguiamo nei suoi progressi di raffinamento dal nativo naturalismo meridionale verso intenti plastici sempre più sorvegliati nella gentilezza del tocco e nella sicurezza del modellato; o come il Venanzio del Minguzzi e l'Autoritratto del Gallo, pieni di carattere, la Liliana Caccialupi del Gelli che fra 1 giovani toscani è dei migliori, il bronzetto di Adriano Alloati, dalla modellatura pura, fermissima, il Ritratto Intenso nella sua espressione dolorosa, acuto nella determinazione formale di Filippo Tallone, quello assai promettente d'Enrico Serafini, e vìa via 1 bronzi del Graziosi, del Castagnino, del Galletti. E veniamo ai concorsi d'affre¬silhfaunmtmddnasvcdfmtpM sco e bassorilievo che vorrebbero interpretare ed esaltare fatti, idealità, figure che il clima fascista ha reso possibili ed ha fatto trionfare. Vorrebbero. Per quanto sia aspro ed anche difficile tornare su un argomento che parecchi uomini fra i più autorizzati del Regime vanno, si può dire, giornalmente trattando senza lesinare ammonimenti e rampogne, quel condizionale resta purtroppo 11 ad indicare, nove volte su dieci, una nobile, magnifica ma insoddisfatta aspirazione. Sono infine i medesimi giovani (ed anche non giovani) — e fascisti purissimi — che pure dan prove non comuni di maestria nel paesaggio, nella figura, nel ritratto, nella natura morta.' Perchè non s'accostano al tema prefisso con maggior semplicità di sentimenti? Perchè quel Minguzzi che poc'anzi abbiamo lodato, per rappresentarci II primo grano dell'Impero ha bisogno di snaturare con retoriche apparenze forzute e costrinzlonl di atteggiamenti plastici e impacciate ricerche di monumentalità giottesche le sue spontanee qualità di scultore? Come è possibile concepire con una ingenuità compositiva addirittura da ex-voto il sacrificio eroico di Padre Giuliani, quale è rappresentanto da uno di questi affreschi? Enrico Pettenello che ha plasmato un Minnlti ha riflettuto sulla mirabile semplicità di ritmi di cui si è valso Arturo Martini per modellare il suo stupendo martire d'Africa? Questi artisti che vogliono darci delle famiglie rurali, delle famiglie italiane, son mai entrati In una casa colonica a vedere come una donna italiana allatta veramente e non retoricamente un in fante e come il pater Jamilias sie de al desco con la moglie accanto nella corona dei figli vigorosi? Ed è con quel misero murlcciuolo diroccato che Carlo Alberto Severa, il quale pur abita a Firenze dove a due passi dalla facciata albertlana c'è la più moderna e viva stazione d'Italia, crede suggerirci l'idea di un Risanamento cittadiSi pensi alla frase epica del Duce: « SI redime la terra, si fondano le città ». E ci si dica se queste stente cose rispondono in arte, quattro almeno su cinque, agli sforzi formidabili, alle vittorie grandiose del Fascismo nelle bonifiche, nei piani regolatori, nella rinascita ideale degli antichi monumenti. Insomma, il più bell'affresco, accanto a quello ' del Santagata per la Regina del Mare e a quello di Ferrazzi per la Nascita di Venezia (ma queste son pitture vere e non gonfiori letterari) resta sulla facciata del padiglione la Nascita di Roma, perchè candidamente, con dedizione totale al fascino del mito, Franco Gentillni vi rievoca con un gusto quasi popolaresco quella favola di Faustolo, della Lupa e dei due fanciulli divini che forse narrata per decenni e decenni dal pastori del Lazio divenne attraverso i secoli più vera d'ogni realtà. Sono anni che tutti noi si predica per il ri torno all'affresco, per strappare la pittura e la scultura a) puro e semplice esercizio stilistico restituendole entrambe a quell'alto stile narrativo che da Giotto a Tie polo fu la guida ideale dei nostri antichi più grandi. Generosamen- te Marami ha voluto tentare un «sperimento grandioso. Dobbiamo concludere di esserci tutti ingannati? Non lo crediamo: almeno a giudicare da quelli che in vario prova, il Predonzunl o il Privato, l Girasi o il JJovati, Gigetto Tito o Enrico Gaudenzi, Giovanni Majoll che fu aiuto d'Ettore Tito nei rifare la cupola degli Scalzi, Ermanno Toschi od Ezio Buscio; e per la scultura lo Sgarlata o il Vucentich, il Venturini o il Girelli, ma sopratutto Mario Raimondi, ancora sempre un po' legato dàlia sua sconfinata devozione per Arturo Martini a forme ormai superate dal maèstro (il Martini del Sof/no, tanto per intenderci), ma attentissimo a certe cadenze rlt miche, e di una pura ispirazione Mastica che lo conduce a sintesi lineari 1 cui esempi lontani stanno nelle tuniche delle statue dell'Eretteo, idgme Variazioni stilistiche Fin qui s'è soddisfatto a precisi doveri cronistici che tuttavia, in un'esposizione tanto vasta, è giocoforza restino sommari. Vogliamo ora un poco accostarci a quei cinquanta cui parrebbe affidato il compito d'una definizione stilistica dell'attuale arte italiana? Siamo, in un certo senso, in un'atmosfera pacata che elimina le sorprese e necessariamente, quindi, la polemica. Di per se stessi questi inviti son già selezione; e la selezione — cosi intesa — esclude forze acerbe e dure, gli scatti dell'imprevisto, insomma la passione. In artisti che si seguono da anni, che son quasi tutti ormai dei valori stabili, non si possono notare, nel. giro di un biennio, che modulazioni sottili, passi cautelosi, ricerche introspettive: che ormai sembra finita la stagione dei salti nel buio, dei trasformismi camaleonteschi e del le palinodie gratuite da autunno a primavera. Rosai rimane il Rosai a tutti noto, con un'accentuazione di inchiostrature violacee e forse un'esasperazione di espressionismo caricaturale ( Uomo che prega) ; in Vagnetti il piglio narrativo prettamente toscano è denunziato dal bozzetto per affresco Pranzo di nozze, che quasi richiamandosi a classiche Cene è quanto di più in lui si riallacci al Parto di due anni fa per le belle intenzioni compositive, mentre l'accenno a Degas del suo Parlatorio appare alquanto gratuito e, nell'esecuzione faticosa, fuori dalla linea di spontaneità; la pittura volutamente ed intelligentemente popolaresca di Ceracchinl non rinunzia neppur quest'anno alla sua rigidezza lìgnea, ai suoi contorni metallici che sacrificano atmosfera, chiaroscuro, tono, in omaggio ad un primitivismo da antico « Mistero »; in Colacicchi la propensione ad esprimersi attraverso un simbolismo ermetico soffoca spesso le chiare e robuste qualità descrittive, che sono poi le sue doti più autentiche, visibili in certi bei brani paesìstici; Italico Brass e Floravante Selbezzi restan fedeli al loro franco, simpatico vedutismo veneziano, il primo, seguace convinto (e spesso con risultati veramente persuasivi) della grande tradizione canalettiana e guardesca, il secondo con una nota più acuta di modernità, e quindi di sintesi; Penagini, con quella sua pittura un po' sfaldata,grado sembrano aver superato larvceppSèpL. | ' si presenta fra l'altro con un interessante studio di Donne che zappano; Socrate, Bacci, De Grada Gaudenzi, Primo Conti, Ennio Pozzi, pittóri ormai maturi, formano — vorremmo dire — la solida fanteria di quest'armata artistica, uomini di capacità . riconosciute, di mestiere spesso eccellente, in grado di darci buoni ritratti, ben costruiti paesi, composizioni di figure e nature morte egregiamente meditate: sono, in fondo, dei realisti attenti che hanno fatto le loro varie esperienze per convincersi infine che il loro temperamento li portava ad una visione naturalistica del mondo; ed al loro realismo sodo si oppone il tradizionalismo illustrativo di un Palazzi {L'orchestra della Scala) e, con vent'anni di differenza d'età, di Aldo Carpi (.Nello studio), entrambi propensi a sciccherie e ad abili eleganze. Pattuglie di punta Prendiamo fiato. Dove sono le pattugìie di punta ? Forse Campigli che nel suo affresco della Rotonda ripete per l'ennesima volta, ingrandite si direbbe col pantografo, e stecchite stavolta da passare il segno, due delle sue intelligenti marionette? O Cagli che di fronte a questa allegoria della Pittura ci dà un Orfeo curiosamente barocco? O Mafai che nella Roma dal Gianicolo, divampante fra rossastri ed arancioni, tradisce le affinità intellettualistiche col povero Scipione, mentre nella stessa sala Zivieri si esercita in acrobazie co- loristiche, e poco più in là Tozzi nsiste in quel suo frigido calco ella pittura romana alternata col geometrismo delle sue nature morte, avendo per compagno 11 Ca- vala che, anche lui, nelle sue ben omposte figure, trae motivi dagli esempi arcaici di Roma, di Pompei, e del Museo nazionale di Napoli? O, per concludere, Bruno Saetti il cui voluto primitivismo è giocato in modo ancor tanto scoperto che nel suo grande affresco La Madonna del grano, dove è anche delineata la figura del Duce, non esita ad introdurre particolari giotteschi (11 fanciullo tra le fronde dell'albero, ricordo dell'Sntruta in Gerusalemme) d'assai dubbia coerenza stilistica col resto dell'opera ? Gira e rigira, passa di sala in sala (comprese le tre dove — come al solito In sezione autonoma ordinata da Marinetti — espongono anche 1 futuristi «aeropittori» e « aeroscultori » d'Africa e Spagna, valentuomini che ormai disdegnano di tenere i piedi sulla terra e per l quali fieramente Marinetti scrive: «I tradizionalisti continuino pure a difendere la loro arte tradizionale ma non tocchino per carità gli aeropittori » — e. noi non li tocchiamo) le famose Uova sulla tavola, del 1920, di Felice Casorati tornano con magico impero, con intensità ossessionante alla memoria. Pezzo di pittura ormai classico nella storia dell'arte contemporanea, per potenza di stile questo quadro non ha uguali in tutta la Biennale. E' la straordinaria coerenza intellettuale del pittore novarese, da questo saggio di quasi vent'anni addietro alle recentissime Sorelle Pontormo dove i colori sembran liquidi cristallizzati in fluide trasparenze, che fa di lui l'artista che tutti conosciamo, discusso e discutibile fin che si voglia, sconcertante talvolta per le sue intransigenze, per certe sue perentorietà a parecchi (e siamo tra questi) inaccettabili, e tuttavia di una completezza sentimentale, di una logica pittorica che forse oggi è quasi solitaria. Egli espone quindici pezzi, per la maggior parte noti; e noti sono pure alcuni degli undici che ha inviato Francesco Menzio. Pienamente in possesso anche quest'ultimo di uno stile tanto cercato, le sue raffinatezze coloristiche ci riappaiono, una volta di più, de liziose. Ch'egli* abbia preso dalla pittura francese il meglio che poteva prendere, non ha pjp. importanza: ciò che conta è la sua personalità conquistata, matura. Gli scultori Da simili forme di padronanza artistica si può agevolmente passare alla scultura, che è l'autentico successo della Biennale. Varia secondo i temperamenti, essa si palesa in tutta la sua sicurezza di mezzi espressivi. La fase sperimentale è superata: siamo nepièno di una produzione sagaceintelligente, frutto di un clima intellettuale che ha fuso e disciplinato le ricerche singole. Già abbiamo fatto alcuni nomi, e possiamo allinearvi accanto, tra i migliori, quelli dell'elegantissimo Lucarda, del Lazzaro che via via sspoglia del residui del « martinlsmo », del bolognese Giordani chnon dimentica il panneggiare dJacopo della Quercia, del fiorentino Rivalta, uomo di forte mestiere, di Marcello Mascherini, forspiù per l'opulento decorativismoil sontuoso sensualismo della suEstate che non per i bronzetti un po' troppo ricalcati su quelli dscavo; di Pericle Fazzlnl che cosuol legni gustosissimi (eccellente il Ritratto di Ungaretti) dimostra d'essersi accortamente liberato da quell'inutile gigantismdeformlstlco che lo ingombravnell'ultima Quadriennale, di Bruno Innocenti, fedele all' insegnamento di Andreottl ma oggi forsun poco prigioniero di eleganze lineari, di Giovanni Prinl, di Michele Guerrisi che, coerentissimo coquanto da tempo va pensando sul le funzioni rappresentative del l'arte, ha tentato con successo uncomposizione difficile e ardita: lResurrezione di Lazzaro a tre figure, quasi di ispirazione preseplale settecentesca. Ma la più franca affermaziondei giovani — con le due teste dMarino Marini di una sintesi bellissima, affrancata dal sordo geometrismo del suo recente Cavaliere — è affidata ad Antonio Berti e a Venanzo Crocetti. Il primocol Ritratto di Barbara Hutton, hportato fino all'estremò della pu fl l i qualità di realista toscano. E' ormal un limite invalicabile, che un passo più in là si cade nel preziosismo o nella fotografia. Ma qual ferma gentilezza in questo bronzo, quale scatto di vita nel torso di questa figura! Il secondo, autodidatta venticinquenne di straordinari intuiti, sba'ordlsce per il suo candore narrativo unito alla sapienza plastica. Il Giovane ammantato (che potrebbe esser trasportato nel Sogno di San Gioachino), la Bella addormentata, la Leonessa, sono opere degne d'un maestro. Ed il maestro è là in fondo, che attende, fra 1 cinquanta quadri un po' statici e immoti ma con tanta cura dipinti che costituiscono la retrospettiva di Piero Marussig: vogliamo dire Arturo Martini, con il suo colossale ritratto (una testa enorme) di Lorenzo Viani, sbozzato veramente con « arte di levare » in un blocco di marmo di Carrara. Questo diavolo d'uomo ch'è lo scultore di Treviso ad ogni mostra ci rinnova una sorpresa. Attendevano al varco Martini: « Martini non ci darà mai un t'ero ritratto ». Ed il ritratto è qui, imponente, impetuoso, spettacoloso di evidenza e rassomiglianza, d'un vigore plastico magistrale. Vedete com'è segnata la bocca con un colpo solo di scalpello: una meraviglia di sicurezza: quella parola unica che sostituisce la frase prolissa e che solo sanno pronunziare i veri artisti. E' un congedo superbo dalla mostra. E ad altra volta i padiglioni stranieri. Marziano Bernardi FRANCESCO MENZIO: «MAURO» ARTURO MARTINI: « RITRATTO DI LORENZO VIANI»