Negli stabilimenti Ansaldo e S. Giorgio "dove vengono preparate le armi per la potenza della Patria,,

Negli stabilimenti Ansaldo e S. Giorgio "dove vengono preparate le armi per la potenza della Patria,, Negli stabilimenti Ansaldo e S. Giorgio "dove vengono preparate le armi per la potenza della Patria,, ,(DA UNO DEI NOSTRI INVIATI) Genova, 16 maggio. Un paesaggio di ferro, un orizzonte d'alte ciminiere, selve d'acciaio e torrenti di metallo, un vibrar formidabile d'immense lamiere, un pulsare terribile di magli, uno stridere assordante di trapani e di lime, un gigantesco ansimare di caldaie nell'aria fosca di un duro lavoro — e poi di colpo il silenzio e il nitore, un susseguirsi metodico di gesti cauti fra parole appena bisbigliate in un'atmosfera da laboratorio chimico, càmici bianchi e mani delicate, strumenti fatti per frazionare fino al millesimo delle minime unità lo spazio e il tempo — e infine grandi aule tranquille dalle terse vetrate, il calcolo algebrico che si alterna all'azione più rude, schiere di giovani intenti al cenno d'un maestro, il genio posto al servizio della guerra, i più mostruosi ordigni obbedienti alle forze di un solo individuo, la materia domata ad ogni istante malgrado le sue vane, impetuose rivolte: ecco ciò che Genova ha mostrato di sè stamani al Duce, al Capo infaticabile che tutte queste volontà disciplina e riassume. . Di officina in officina Non più la Genova delle bandiere e dei canti, degli archi trionfali è delle spettacolose parate, la. Genova rivierasca dal mare limpido e dai colli ridenti che alza al cielo il suo cantiere festoso nel sole splendido e nel vento gagliardo: la Genova dei naviganti e dei mercanti, dalle calate colme di merci esotiche, dai palazzi che ancora portano il nome dei dominatori di tutti gli oceani. Ma una Genova che, stesa fra il Polcevera e il Va: renna, quasi ha dimenticato il suo azzurro. ed i suoi, fiori; vive una sua vita aspra e chiusa, tende le sue energie in un quotidiano stupendo travaglio, inorgoglisce cinquantamila famiglie che sanno quanta potenza italiana su loro riposi, la Genova delle acciaierie, delle officine, degli opifici, e degli altlforni, la Genova che fabbrica cannoni e corazze, armi pelmare, per la terra, pel cielo, e quelle altre armi non meno magnifiche che son gli strumenti della pace e del progresso. Questo il Duce doveva vedere, anzi rivedere dopo dodici anni, per misurare i risultati raggiunti dopo i Suoi ordini, per consigliare, incitare ed ancora comandare': Lui, Ministro della Guerra, della Marina e dell'Aviazione, Lui Primo Maresciallo di tutte le nostre Forze Armate, Lui restauratore delle nostre forze militari, Lui conquistatore dell'Impero. E' stata la rassegna di un Condottiero che numera le armi ad una ad una, ne esamina il grado di efficienza, tutti chiama attorno a Sè perchè di tutto Gli rendano •conto. Lo abbiamo visto appoggiato a un carro armato rivolger secche domande a tre carristi, batter le nocche sopra le lamiere, cacciar la testa nell'interno del mostro, manovrare le leve e le chiusure; L'abbiamo visto controllare la precisione di un telèmetro, seguire l'elevarsi di un periscopio, interessarsi sommamente al mirabile congegno per la prestabilizzazione dei tiri con mare mosso e con mare agitato. Perciò nessuna coreografia, quasi nessun apparato un gran rapporto di capi al Capo supremo, un giudizio definitivo su quanto si è fatto, direttive precise per quanto v'è da fare. « Molto si è fatto • ma ancor molto v'è da fare»: uno dei motti della Rivoluzione, qui ripetuto da officina ad officina. Ma nello stesso tempo una ec< cezionale ripresa di contatto — in un ambiente del pari eccezionale per potenza, vigore, maestria te cnica — col popolo operaio, col più vero popolo, diremmo, quello che mai sosta, quello che sempre lavora con impegno cocciuto e silenzioso, quel lo su cui meglio poggia la forza e la fierezza della Nazione. Gente magnifica dai volti volontari, dallo sguardo ardito, dalla mente sveglia. Un cenno, e già tutto è capito; un ordine, e già tutto è eseguito. Gli occhi madavano lampi, i loro gesti eran faville di azione. L'altro giorno seguivamo Hitler fra i capolavori di Pitti e degli Uffizi; stamane ab biam seguito Mussolini fra i capolavori della nostra scienza metallurgica. Rare volte ci sentimmo tanto orgogliosi d'essere Italiani. Alle Acciaierìe E la ripresa del contatto è stata stupenda. Si lavorava, ed il Capo, passando, guardava il lavoro, che è la cosa che più Gli sta a cuore, Egli che ha sempre lavorato' e sa che questa è la più alta ambizione ' dell'uòmo. Ma qual fervore -al Suo passaggio, ' quale fierezza in questi evviva da soldati; quanta maschia letizia in questi applausi possenti! E fuori, per tutte le strade, per tutti l vicoli, nelle piazzette di Pegli, di Pra, di Sestri, di Cornlgliano, gli altri, le famiglie, le donne, i vecchi, i ragazzi, i bimbi, la gente cara per cui questi uomini-lavorano e sudano, tutti inquadrati come militari, militi anch'essi, dai bambini alle fanciulle, di questa grande idea che è la Patria italiana di oggi.' Ed erano allora tumulti d'ovazioni, fuor dal chiuso dei severi muri; era un appassionato levarsi di braccia, qui lungo i cantieri dal color del piombo, un- fiorire improvviso di occhi vivaci, una lietezza fresca che schiariva l'anima,.uno sfarfallio di mani che agltavan bandiere. E Mussolini pas: sava sorridendo — un sorriso di gioia schietta e paterna — coglieva quest'offerta che Genova Gli faceva con tutto l'impeto della sua fede di fuoco. Questo,, crediamo, fu il culmine delle giornate della Dominante, di queste sessanta ore indimenticabili che tennero deste settecentomila persone. Ore nove, alle Acciaierie di Cornlgliano, sotto gli spalti verdi di Coronata, in un mattino grigio che s'intona a questa formidabile rassegna di ferro. Fuori, in tuta turchina, rigide come soldati, Schiere di uomini. Sono gli operai non di turno, quelli che fra poco subentreranno ai compagni. Davanti a loro, in mezzo a loro, come gli ufficiali di un esercito, i dirigenti, gli ingegneri, 1 tecnici in divisa fascista. Militi tutti di una sola battaglia. Dentro, nel capannone centrale dei forni elettrici, una specie di sterminata basilica metallica a tre navi lunghe più di seicento metri, i ciii archi rampanti, all'esterno, sian costituiti da immani gru a elettrocalamita. E infatti cumuli di rottami di ferro, vere montagne di tinta rugginosa, fanno da spalto al colossale edificio. Tanta è questa vastità che contiene dieci forni elettrici da sei, da trenta, eia cinquanta, da ottanta tonnellate (pensate, una colata d'acciaio di cinquanta tonnellate, d'un colpo) che occorron punti di riferimento per poterla misurare. E qui infatti, all'ingresso, il modello di legno del « dritto di prora » della corazzata Impero, il « dritto di poppa » per quattro navi petroliere ordinate dalla Romania, e già fuso un mastodonte: i bracci porta eliche della Impero, una formidabile massa metallica che pur sembra un gingillo in questa indescrivibile capienza. Divampano tre forni elettrici da quaranta tonnellate, un trofeo di carcasse per locomotori elettrici alza una vertiginosa barriera sotto un cartello rosso di trenta e più metri: « Saluto al Duce, Fondatore dell'Im¬ pero »: le ruote Pelton per' turbine elettriche, una traversa per pressa idraulica elevano sagome titaniche sul rossastro - della « terra di-Biella », la terra che — fedele al precetto autarchico — ora, dopo le sanzioni, Genova chiede alla sua forte sorella piemontese per le forme di fondita degli ordigni bellici. Giù giù a perdita d'occhio, attraverso le ombre e le luci di queste navate, uomini, uomini, e poi ancora uomini: silenziosi, immobili,, impugnano'strumenti, manovelle, leve, volanti, in attesa di un cenno per l'inizio del lavoro che quest'oggi è stato di qualche poco ritardato. Un'attesa fiera, che non degenera in ansia. Uomini e metallo E il cenno giunge. E' un- lontano clamore di popolo, che dilaga, romba, si frange, riecheggia per queste cave sonorità con un ronzante vibrare metallico. E' l'accla¬ mazione degli operai all'ingresso, è l'invocazione della folla sulle strade. Allora una tremenda sinfonia si scatena con formidabili ruggiti. Seghe, lime, torni strido^ no, i magli .picchiano, le gru cigolano, i martelli colpiscono, dai forni elettrici con bagliori apocalittici le fiamme divampano più alte, un soffio rovente se ne sprigiona: è il saluto guerriero che rivolgono al Duce questi soldati del lavoro, questi domatori intrepidi dell'acciaio ribelle. Ed Egli giunge, in piedi sull'automobile, a capo del corteo dei ministri, dei generali e dei gerarchi, lo sguardo acuto, il volto concentrato in un'attenzione che, via via, si farà sempre più intensa. Rimbomba un « alala » nel frastuono indescrivibile, scattano le braccia, in un attimo di pausa, a salutare romanamente. Ma già Egli brevemente accenna di continuare il lavoro, e sosta ad osservare la colata del forno. Il momento è altamente suggestivo. I bagliori arrossano il viso del Duce, che sj protende verso quel terribile ribollir metallico; il calore diventa insopportabile, l'occhio è ferito da quella sorta di lava scaldata a milleduecento gradi. Magnifico ingresso in questo regno vulcanico. Tosto la massa incandescente è ^sfornata, afferrata da tenaglie colossali,' gettata come una vittima sotto dei rulli che paion farne scempio: è la prima pressa della fusione. Ed ecco muoversi qualcosa che pare prima una. tavola bruna, una tavola immensa che sbarra la visuale del capannone, e si arrossa, e si accende dall'interno. Lenta, irresistibile, si solleva, ora è tutta librata nell'aria, sostenuta da catene dello spessore di quelle d'ancora per corazzate; e, adagio adagio, scende in una fossa che di lontano non comprendiamo che sia. Ma ci fa edotti uno sfrigolio d'acque, un levarsi di fumi vorticosi. E' la tempera d'una lamiera per la corazza della nave « Impero », la tempera sulla quale invano forze avversarie tenterebbero rottura. E' un rito, questo spettacolo superbo; è 11 battesimo' che il Duce dà a una durezza che nulla può frangere. E le macchine riprendono la corsa. Sono col Capo i ministri Starace, Alfieri, Lantinì, S. E. Cavagnari, S. E. Sebastiani, il Pre fetto, il Podestà, il Federale Molfino, gli alti ufficiali dei nostri Stati Maggiori, i maggiori .gerarchi, le maggiori autorità genovesi, i dirigenti dell'* Ansaldo », i tecnici testinati a fornir schiarimenti. Ora si passa nelle sale del- la tornitura, e ci aggireremo, da] questo momento, fra i mostri del la guerra. Ecco i cannoni della Littorio, della Duilio, della Vittorio Veneto: volate immani, lucenti, dinanzi alle quali gli uomini appaiono pigmei. Un operaio è presso ad uno di questi colossi e lo tenta con una lima, e dà l'impressione di chi volesse sgretolare con uno stecco una montagna; pure è anche questo manuale lavoro di rifinitura che porta alla perfezione di potenza. Ci dicono nomi bizzarri, nomi 'da mondi, da regni di favola; tubo anima, culla; e passano strane masse di ferro e di ghisa, forme terribili, pesi spaventosi. Un ordine meraviglioso, uno scattar, militare al passaggio, una ripresa istantanea del lavoro, e poi, al congedo del Capo, un irrefrenabile tuono di evviva. Una torre corazzata della Impero chiude, come un sigillo scarlatto — ancora il'minio là ricopre — questa 'prima rassegna sbalorditiva. Macchine e armi Da stabilimento a stabilimento cosi vària e incessante e persino paurosa è la visione, che la mente quasi si' confonde. Agli Stabilimenti «Vittoria», che comprendono il reparto grandi artiglierie e quella mirabile sezione elettrotecnica che vanta- l'assoluta indipendenza da ogni ausilio straniero, i. locomotori, i trasformatori gli alternatori,. gli impianti elettrici complèti per.bordo e gli apparati elettrici di ogni genere offrono al Duce uno spettacolo su perbo. Non sai più distinguere il punto in cui l'uomo.si libera dalla prigionia della macchina e la macchina diventa la schiava del l'uomo; e ti prende uno stupore immenso che tutta questa potenza, tutto questo lavoro, tutto questo tremendo complesso di congegni possano uscire da cervelli umani, gli stessi cervelli per cui nasce un quadro o una scultura, canta una musica, sorge una lirica. Che è questa mole'che, docilissima, gira con precisione ultramillimetrica sopra un enórme tornio? E' un 381 per la Littorio, ed un alesatore penetra nella sua góla a calibrare l'anima del mostro. Un sorriso di compiacimento, un lampo di amimrazione passano sulla bocca e negli occhi del Duce. Egli sa quale impulso ha dato a questo agire stupendo; sa che, fino all'ultimo di questi operai, l'insieme dello Stabilimento è un'espressione della Sua volontà inflessibile che ordina all'Italia di marciare instancabile, ■ che arma la Nazione per mantenere — lo disse nel Suo grande discorso di Piazza della Vittòria — la pace. Ed eccoci, con'corsa che all'Interno dei cantièri si fa lenta e circospetta, ed all'esterno procede velocissima, allo Stabilimento '« Delta ». Una acclamazione impetuosa accoglie il Duce fin dalle prime sale del bossolificio, e gli operai dei laminatoi, delle trafilerie, delle corderie tradiscono dall'espressione dei volti la loro commozione, mentre dai loro evviva prorompe l'entusiasmo. Tutto Egli guarda ed osserva, compiacendosi con i dirigenti. E quando riesce, sul piazzale, Gli vien. presentato un operaio. Accanto a lui sta una ancor giovane donna che tiene in braccio un bimbo di due mesi, e attorno le fanno corona altri dieci ragazzi. Il padre è Cristino Dellepiane, di Pontedeclmoj orgoglioso di mostrare al Capo questa sua florida famiglia numerosa. E Mussolini sorride contento, si curva fuori della macchina, batte sulla spalla del bravo lavoratore, gli rivolge domande ottenendo risposte pronunziate con voce rotta dall'emozione, e mette in mano di questo forte ligure due biglietti da cin quecento lire. Un applauso gioioso risuona per l'aria. Sembra che la sbalordita felicità dell'operaio si trasformi in augurio.per tutte le maestranze del cantiere. Adesso attraversiamo fra siepi di popolo plaudente l'animatissima Cornlgliano. Qui deve sorgere la Casa Littoria « Randaccio » e il bel progetto è qui sulla strada, e sposto sopra un trespolo ed at tende il giudizio di Mussolini. Il corteo s'arresta un attimo, il Du ce guarda, approva, si compiace col progettista architetto Bonistal li che riconoscente ringrazia, e se ne resta lì felice dell'elogio a guardare il Duce che, in piedi sulla macchina, continua a salutare la folla acclamante. Alla scuola di Calcinaia Lunga, attenta, minuziosa è la visita alla « Scuola Apprendisti Interanziendale Ansaldo » di Calcinaia, che ospita per ora cinquecento allievi fra i quattordici ed 1 sedici anni, e ne.avrà l'anno venturo settecentocinquanta. E' questa una istituzione che, sorta ad iniziativa della. «Ansaldo» è particolarmente intonata alle - direttive L'elogio del Capo al Popolo ji Genova Taluni dei progressi realizzati conferiscono alla Dominante un primato europeo Genova, 16 maggio. fi Duce, al momento détta partenza da Genova, ha fatto le seguenti dichiarazioni: « Dopo dodici anni ho ritrovato Genova rinnovata e più bella, la popolazione entusiasta e in pieno fervore di lavoro. I progressi realizzati nell'attrezzatura portuaria e industriale nonché urbanistica e assistenziale sono imponenti e taluni conferiscono a Genova non solo un primato nazionale ma europeo. Ho ammirato il contegno disciplinato della popolazione che ha reso superflui cordoni e altre misure del genere. La tenuta delle Camicie Nere e delle formazioni della G.I.L. è stata esemplare. « P porto le migliori impressioni del mio contatto con industriali e maestranze operaie degli stabilimenti «Ansaldo» e« San- Giorgio », dove vengono preparate le armi per la potenza della Patria. « L'importanza di Genova nella vita della Nazione è fondamentale e i problemi che attualmente la riguardano saranno posti senza indugio all'esame degli organi centrali e risolti il più rapidamente possibile. « Le Gerarchie fasciste di Genova e Provincia, alle quali va il mio vivissimo elogio, devono ricordare che sopra tutto per Genova vale la frase del mio discorso: Chi si ferma è perduto ». mussoliniane. Qui si addestrano 1 giovani a divenire tecnici perfetti del loro lavoro meccanico, come un tempo i giovani di bottega divenivano perfetti artigiani sotto la guida di maestri provetti. Gli allievi percepiscono, lavorando le loro 40 ore settimanali, una loro paga, e l'istruzione è svolta con criteri sommamente pratici e realistici. Il Duce passa di reparto in reparto, dopo la trionfale accoglienza all'ingresso, guidato dall'ing. Rocca. Si alternano comandi secchi. «Attenti! Riposo! In azione! ». Anche le aule delle lezioni vuoi vedere il Capo, ascoltando quanto Gli riferisce l'ing. Postiglione,- direttore della Scuola; e sfoglia quaderni, tabelle, manuali; prende in mano una piccola morsa d'acciaio, prova la resistenza di alcune treccie metalliche; e passa quindi nella grande palestra dove sono radunati i componenti del Consiglio d'Amministrazione della « Ansaldo », il Consigilo sindacale, i rappresentanti del Commissariato per le fabbricazioni di guerra.' Qui è la centuria Avanguardisti Moschettieri, coi gagliardetti e la fanfara. Squillano le trombe alle note di « Giovinezza », i fieri giovani sfilano — bellissima parata predisposta — con perfetto passo romano. Il Duce manifesta tutta la Sua soddisfazione ai dirigenti della « Ansaldo », e dalla Scuola si reca agli Stabilimenti San Giorgio. Questo, come è noto, è uno dei più delicati centri per lo studio e la costruzione di quegli strumenti che alleano la scienza all'arte della guerra. La vastità dei piazzali, dei viali, degli ambienti consente un'adunata di lavoratori fors' anche maggiore che alla Scuola Apprendisti. La folla, dal canto suo, ha visto uscirne il Duce, sa ch'Egli s'appresta a visitare la « San Giorgio », e. s'assiepa in ogni punto da cui lo spazio consenta di vedere, d'acclamare, di risalutare Colui che ha atteso per dodici anni. Breve è il percorso, e tuttavia le macchine impiegano qualche minuto a giungere fino al magnifico Stabilimento: tanta è la passione, popolare, tante sono le continue invocazioni cui Mussolini deve rispondere a braccio levato, sereno in volto, toccato certo nel Suo animo sensibile da questo affetto che sente crescerGll intorno, d'ora in ora, in questa Sua sosta fra i cantieri di Genova lavoratrice. Prodigi di tecnica I senatori Oderò, Bocciardo, Rolandi-Ricci ossequiano il Capo, i dirigenti — mentre un imrfce.nso grido si leva rti .Viva il D«sp*» — Lo guidano a un vero e jso«