Vita invernale del pastore di Filippo Burzio

Vita invernale del pastore Vita invernale del pastore Quando, al termine della lunga migrazione autunnale dal monte al piano, il gregge è alfine comodamente allogato nelle ampie stalle del cascinale, ' per passarvi in letargo tutt'i' lunghi mesi d'inverno — al pastore non resta quasi più niente da fare, meno ancora del solito; e ne approfitta per darsi pivi sfrenatamente che mai al suo vizio congenito: errare fra le cose contemplando in silenzio. I contadini, che nei campi e per le vigne'attendono ancora agli ultimi lavori, se lo vedono sorgere accanto come un'ombra, con quel suo fare trasognato, e allontanarsi senza- rispondere più di un monosillabo alle loro apostrofi facete. Se fosse luglio, quando tagliare il grano sotto il solleone e issar covoni.sui carri pei campi arsi è un inferno, fremereb bero di sdegno solo a vederlo, quel fannullone privilegiato ; ma e il pio novembre, anche per loro ormai l'opera è leggera, e così è senza rancore che lo guardano- inoltrarsi e svanire, seguito dal suo cane inseparabile, nella nebbietta' che già a mezzo il giorno rasenta il suolo, vela il pallido sole, limita d'ogni parte l'orizzonte. Senza rancore, e quasi con' un senso d'oscura attesa (quasi la pigra fantasia percossa s'impennasse per un attimo ad un volo) guardano quel loro cugino stravagante, e i suoi comportamenti inesplicabili: sempre solo in giro, sempre assorto, che cosa mai pensa: e, quando nessuno poi lo vede, che fa? Egli se ne va leggero in quella scìa di curiosità che lo segue, discreto fra le cose, nè lascia quasi orma sul suolo; s'arresta a tratti, talora siede s'una proda, poi si rialza e riprende, senza mèta apparente, il suo cammino. Finita la vendemmia, l'opera sosta in campagna, quel che resta da compiere non è più che un piacere, quasi un giuoco, un ornamento della breve giornata: un lento errare e far gesti rituali, seminando, con sostar frequente, a ogni solcò colmato. Come una creatura stanca che posi, con ogni membro effuso al suolo, la terra si lascia fare: dagli uomini, dal sole, che l'accarezza e non la sferza; la forza dei raggi, così obliqui e insidiati dai vapori, non è più feconda, e divien pia. Riscalda i vecchi, i cimiteri, fa fiorir l'ultime rose e i- crisantemi, ma non travaglia più la • natura. Scalda le vene, non accende più il san: gue ; illumina i pensieri, e non li brucia. II.ritmo della vita intorno è sì pacato che commuove. 'Guarda come gli aratori muovon lenti nei campi, come, adagio fuma la terra. L'aria avvolge e non^i sente, ne fronda muove, nè passero stride. Gli ultimi insetti fan gli ultimi'voli sui cespi radi fra il seccume: spighe senza chicchi, grappoli sui tralci che la vendemmia ha trascurato, ed il colore delle stoppie. La terra .veste il sajo, e il sesso tace. Non più femmina, guarda, è la natura: qualche vecchia madre appena muove, lenta, in gramaglie, che lontano è il tempo del suo figliare; va forse a,,messa, e al cimitero, ma non, è dì di festa. Mattinò stuporoso d'estremo autunno, che tutto stafuori del tempo: la terra il sole gli uomini, tutti han finito ogni bisogna; nulla han più dà fare j nulla più préiné, tutto va da se ; son, finalmente, come-gli insetti, e il passero del bosco; come il pastore, quando il gregge è alchiùso. Com'è bollo esistere senza impegni, così (pensa il pastore), avvolti nel grigiore, quasi allo stato larvale, ombre e non più corpi, senza più miclei duri dì volontà dentro il cervello, nè, in cuore, aculei di desideri o di rimpianti ! Sciolto di ogni responsabilità, vieppiù fasciato dai vapori, man mano che infittiscono, ti senti come effuso nell'opaca atmosfera, condensazione appéna un poco più viva di quella, e pronta a- scioglierlesi in seno: meno staccato dall'Essere, più affine alla sostanza delle Madri, nella matrice generante ; meno' rischioso e orrido il salto dalla vita alla morte. Per gli sgombri orizzonti, nel luoido aere, tu sei solo, visibile e nettamente individuato, ti .senti nudo, l'occhio di Dio ti segue, tende come il sole bruciante, ' implacàbile come quel che arse Caino; qui invece sei tutto con tutto, a tre passi invisibile come un arguto fantasma, sfuggi a ogni controllo ; l'avventura del vivere è men grave. O cara nebbia, a te si deve questo, conforto, a te che rechi il silenzio ed il riposo sopra la terra affaccendata- invano ; dissimuli col pio velo l'orrore del vuoto spazio, fai della casa dell'uomo, sospesa sull'abisso inter-. stellare, una mite, ovattata dimora, com'è giusto sia per chi nulla sa, nè dove va, nè donde ■venga. Quale meteora più dì te sacra alla pace? L'amica sei tu del pastore, più dell'estiva luna che, pur con miti raggi, lo punge e assilla di mille enigmi; sei della condizione umana vera in-terprete e pietosa . ausiliatrice. L'immensa monotonia ilei ruolo, mascherata d'azzurro, come dis-.se un poeta: e tu la veli. A che il vano agire, e l'inane superbia del costruire nell'effimero tempo? Parlino i Celesti, se da noi vogliano ascolto; se no, meglio è che la nebbia ci avvolga. Anche Londra, riempita di smarrite ombre, si placa subitamente, e in ogni parte del Nord cessa il fragore, quando, soffiata dal vento in masse immani, pel cielo settentrionale e sulle schiumose acque il Giti/ Stream caccia la bruma. Anime erranti fra le braccia delle onde. Leggeri più leggeri ancora, pastore, trascorrere come fa la nebbia in vaganti stormi di spiriti, in una ridda senza fine. Nebbie, nient'altro che nebbie trasparenti sono gli elfi, e i folletti, e i geni i tutti, dell'aria: .quelli che fanno dondola^ le foglie come campanelli muti, e un po' folli; e quei che vellicano invece i fili d'erba; e quei burloni-che soffiando a. tergo del tardo insetto spingonlo a salire sulla festuca, per poi precipitarlo a terra ancora. Figlia dell'acqua, eterea sublimazione della neve : grigia, se quella è biauoa, pigra, per quanto quella è balzana, quella folleggia ma poi cade, e tu stai, per un miracolo che sfida le leggi del peso, senza fine nell'aere col tuo umido ingombro. Oh, non più sole, non più primavere. . ' . A desinare, il pastore stupi-J sce gli astanti dichiarando di vo-/lersi recare, lui buono soltanto a vagar fra le nebbie, nel pomeriggio in città. Per che farci,? col suo naso in aria;- il meno clfoe possa capitargli sarà di ancfyir sotto un tranvai — lo moftegiia il contadino che, abituato, nella buona stagione, a recarvisi QMjni majtina in biroccio, parla d'ella città da, intenditore. Sono, Lutti riuniti, la famiglia e l'ospite 1 nella Brande stanza a pianterreno, e jjihi sta accanto al fuoco ad arrossirsi, chi sulla panca coi gomiti jountati sopra il tavolo; chi, in piarli presso la porta a godersi l'<tfvara luce, immerge fumante 1»; gialla polenta nel bianco latte. Il cascinale sorge, come un a; capitale rustica, nel mezzo dei suoi campi e prati, che arrivai; o fino.alle porte cittadine, e in/parte sono già terreni fabbri: cabili, valgono fior di quattrini ; nifa i 'sentieri che li solcano obliqui fingono ancora la piena camnagna (come i loro fratelli perduti nell'immenso verde) quando, di maggio, le forosette a copUpie vanno alle funzioni del mese 'mariano, in quelle notti innamorate che l'odor del fieno invade la città fin nei suoi vicoli più ciechi; e in chiesa l'altare è fiorito di rose, onde l'olezzo vena il greve tanfo. Bei cascinali periferici, votati presto o tardi- al piccone demolitore, che la città già avvolge, insidiando, fin d'ora, nelle spire dei suoi sobborghi : zone di transizione fra due mondi, avamposti di due armate che si guardano con l'arme al piede — viali di -venerandi olmi li cingono, sul <:ui suolo asfaltato la vita si affretta, con veloci veicoli, a mèli.e lontane; e, pel.contrasto, la ^vicenda campestre, che ai loro margini perdura., è'più toccante. Un'antica villa settecentesca, o del primo Ottocento, sorge a fianco del cascinale: casa di caccia, e di piacere un tempo — Monplàisir, Marirc/pos '— quando le città, chiuse peranco nelle vecchie mura, n'era distante legbe e leghe, e ci si arrivava in tiro a due : e spesso reca sul tetto i;.n bel cervo, o almeno un paio d'immense corna ramose spicca nel fastigio di un timpano neoclassico. Chiusa gran parte de)l'anno, quando non sia del tutta abbandonata-, oggi, in quel microcosmo del cascinale, essa è l'ultiìma ruota del carro: ma il padrone benedice i suoi avi banchieri, o magistrati da poco annobiliti, che latineggiando' — Deius nobili linee otta fer.it, sta sonitto ancora in qualche angolo, sopra un cartiglio svolazzante- — gli prepararono una. così pingue riserva patrimoniale: e,.p/.T poco che sia. furbo, o abbia il senso del patetico, se ne viene quasi ogni giorno a far quattro chiacchiere, e un po' di conti, col fattore (così già Cavour sembra usasse, ai suoi tempi, per certi orti presso Pozzo Strada). Talvolta capita perfino che qualche pstroso Don Giovanni .gli prenda in affitto un quartierino nella villa, per farsene una t/arconnière magica: e non è a dirsi quanto giovi al suo prestigio, come vinca più di un cuore e travolga più di una resistenza nell'onda galeotta dei ricordi e dei sogni, quel canapè Luigi Filippo che sta in salotto, presso il pianoforte: A inumi Alfredo, di questo cuore... e lui vigliacco ne approfitta. Bizzarri incontri, su cui strologa il pastore quando, uscito dall'aia, infila, lo stradino che mena alla città. Egli, che ha il fiuto di queste cose,, giunge al prossimo capolinea tranviario all'ora giusta che si accendono i lumi : è l'ora che anche i soldati sciamano dalle caserme in libera usci la; e lutti cominciano a giron dolare qua e là. Filippo Burzio

Persone citate: Cavour, Luigi Filippo, Mattinò

Luoghi citati: Londra