La leggenda del flauto incaico

La leggenda del flauto incaico La leggenda del flauto incaico # Di ritorno dal Cuzco, la gloriosa'città incaica, ero arrivato sulle rive del lago Titicaca e a Juliaca aspettavo il treno che doveva riportarmi ad Arequipa e poi giù a Mollendo, piccolo porto sul Pacifico, finalmente fuori dall'alta pampa peruviana e dal giallo pietrame dei quattromila metri su cui sorgevano una volta i templi del Sole e della Luna. Erano con me pochi turisti : una donna, una delle tante nordamericane senza età, senza sesso e.senza fisonomia che s'inincontrano dappertutto, a Gerusalemme e a Capri, al Cairo e sulle Ande, un archeologo tedesco, grasso e roseo, che avevo incontrato fra le rovine del MacciuPicciu e uno strano ometto vestito di nero, di cui non avevo ben capito la nazionalità, che mi era stato compagno d'automobile qualche giorno prima fra il Cuzco e Yucay, nella vallata dell'Urubamba. Poche parole : ci sono momenti in cui anche i più avventurosi giramondo non sono che dei poveri e stanchi viaggiatori in attesa di una coincidenza ; tanto più a quattromila metri d'altez za dove, per la fatica che si fa a respirare, bisogna far sempre economia di fiato. I treni dell'alto Perù viaggiano una volta alla settimana e noi eravamo rimasti due giorni a Juliaca a dormire in albergo uno strano albergo di legno, silenziosissimo; avevo l'impressione che tutti camminassero in punta di piedi ; e ogni volta che io aprivo la porta della mia stanza che dava su un gran palio, mi trovavo di fronte il viso immobile e melanconico .di qualche lama. Quanti lama ! Mettevano la testa dappertutto, anche dentro la sala da pranzo ; pareva che domandassero la carità'. Gli indica che li accompagnavano, sdraiati nei cantoni, masticavano grosse pallottole di coca e ci guardavano di traverso con occhietti maligni. Quando finalmente venne il giorno del treno, io mi trovai nello scompartimento con l'ometto vestito di nero; noi due soli. Gli indios avevano portato il loro mercato nell'interno della stazione ; ma i più dormivano — o pareva che dormissero — accucciati come statua di terra fra sacchi, ceste, poncho» e pelli di vigogna. — Vede — mi diceva il mio compagno — come li riduce la coca? — Poi, dopo una pausa, soggiunse : — Tutto muore quassù. Approvai con un cenno del capo; in verità anch'io non avevo visto molti segni di vita nell'alta pampa peruviana e intorno al lago Titicaca, ma mi astenni da ogni commento perchè non avevo voglia di attaccar discorso Pensavo alla mina, il terribile e misterioso mal di montagna delle Ande ohe è assai peggio de! mal di mare, e mi pareva che quell'ometto, che ora si accarez zava le mani adagio adagio, sor ridendo sottopelle, avesse qual che cosa di sinistro. — Non ha notato — continua va lui — che anche i monumenti di questi paesi, Cùzco, Macchi Picciu, Tiahuanaco, non sono che pietre, definitivamente morte, ormai ridiventate rocce nude e montagna? A Roma, in Grecia, anche in Egitto, c'è una conti nuità fra il passato e il preseti te; i monumenti, anche i più antichi, hanno una loro vita ; qui niente, invece: scheletri, paesaggio ; finito tutto. Gli diedi ancora ragione e gli domandai se per caso era anclie lui un archeologo. — No; sono soltanto un curioso, un collezionista : al Cuzco ho comperato parecchie cose: pietre, tessuti, terracotte, qualche kipu, le misteriose cordicelle annodate degli Incas; ma quel che voglio farle vedere è un oggetto veramente prezioso ; ne conoscevo l'esistenza, ma non. avrei mai sperato di trovarlo così facilmente. Credo che lo stesso antiquario che me l'ha venduto non ne conoscesse il valore. Così dicendo, tirò giù una delle sue due grosse valigie e ne trasse un astuccio di pelle nera ; come fanno gli zii quando hanno da mostrare un regalo ai nipoti, stette un po' a guardarmi prima di aprirlo, poi fece scattare la molla. Sul velluto rosso cupo dell'astuccio c'era un flauto, di grossezza normale, color dell'avorio antico, meglio', delle pipe di schiuma bruciate, con delle lunghe righe terrose. Lo sfiorò appena, passando rapidamente sui fori coi polpastrelli delle dita, poi mi fissò negli occhi, sempre col suo enigmatico sorriso di iettature, e siccome non vedeva in me nessun segno di meraviglia, soggiunse: — Sembra un flauto qualunque, vero? Ebbene, allora sappia che è fatto nientemeno che con una tibia umana. Senta co m'è leggero: doveva essere proprio una gracile tibietta femminile... Confesso che non ebbi il coraggio di toccarlo; quel macabro strumento musicale mi faceva più impressione delle stesse caoeza» reducida» — cioè delle teste umane ridotte alla grossezza di un'arancia — degli Indios Jivaros' che avevo visto in Colombia e in Bolivia. — Osso umano garantito; già fatta l'analisi — continuava il mio strano compagno di viaggio. — Nessun dubbio ormai che questo sia il famoso flauto della leggenda. Non avrei mai creduto che potesse toccare a me tanta fortuna. Il treno era partito ormai da mezz'ora da Juliaca e stava arrampicandosi con fatica verso i 4500 metri del Crucerò Alto ; la testa mi girava e sentivo negli orecchi fischi e ronzii; aspettavollgtcidpdmcic ! la pana da un momento all'altro ; il mio amico invece era tranquilissimo e tenendosi sempre sulle ginocchia il suo tesoro che ogni tanto guardava e accarezzava compiaciuto, mi raccontò la storia del flauto. Al tempo degli Incas, quando il Cuzco era la capitale del graude_impero del Tahuantinsuyo, le più belle fanciulle della città e della campagna, scelte dal Sommo Sacerdote, venivano consacrate figlie del Sole e rinchiuse in un convento di strettissima clausura. Soltanto Tinca poteva vederle; tutti i giorni se le faceva passare e ripassare davanti: un po' di danza, qualche canzone e quando poi egli poneva l'occhio su qualcuna, bastava che facesse un cenno al Sacerdote che montava di guardia accanto al trono : la sera stessa la nuova sposa veniva ammessa agli onori del talamo regale. Un bel giorno si sparse la voce che era arrivato nelle terre dell'impero dalle montagne di Tiahuanaco un flautista come fino allora non s'era mai sentito l'uguale: bravissimo, un vero prodigio. L'Inca, al quale piaceva molto anche la musica,, m 10 fece condurre alla reggia, lo provò e tanto gli piacque che lo nominò subito concertista di corte. Era costui un giovanotto povero, con un bel viso ispirato, capace di suonare per ore e ore senza mai stancarsi, tutto rapito dietro le fantasie della sua musica. L'Inca lo ascoltava estasiato e voleva che gli stesse sempre accanto, specie nell'ora della sfilata delle figlie del Sole. Diceva che così, coi dolcissimi concenti del flauto, non solo si deliziava come mai non gli era accaduto, ma gli riusciva anche più facile scegliersi la sposa. Tanto lui che 11 Sommo Sacerdote erano però lontanissimi dal pensare che anche il flautista era un uomo, e per di più bello e giovane; credevano anzi che certi sentimenti potessero provarli soltanto i re. Invece, guarda e riguarda, suona e risuona, sempre al cospetto di quell'adunata di bellissime figliole, anche il giovane musico povero si sentì ardere d'amore e spesso soffiava nel flauto qualche lungo sospiro che gli veniva proprio dal fondo del cuore ; meno male che i sospiri dei flautisti si convertono sempre in dolce musica, se no, se Tinca se ne fosse accorto, sarebbe stato un guaio serio. Comunque non c'era niente da sperare e il giovanotto sapeva benissimo che se lì dentro avessero scoperto anche sol tanto il suo desiderio amoroso, lo avrebbero punito con la morte. Nessuna parola mai ; soltanto lunghe occhiate languide mentre lui suouava e fanciulle danzavano agitando bianchi veli ; ma lamusica è galeotta e alla loro volta anche le figlie.del Sole s'innamorarono dell'eccellente -flati tista ; una speciameute. bella, la più giovane e la più ardente, proprio quella che faceva sospirare di più il giovane musico, fu presa da tanta passione che, non potendo sopportare il segreto tormento del suo impossibile amore, un giorno, lasciato il corteo delle compagne che si avviavano alle danze, si uccise nel giardino del tempio della Luna. L'indomani, tanto il cadavere della fanciulla quanto il flautista erano misteriosamente scomparsi; nessuno ne sapeva nulla; vuoto l'altare su cui era stata deposta la salma imbalsamata, vuota la cella del giovanotto. L'Inca, che non poteva darsi pace di aver perduto a un tempo la sua più cara fidanzata e il bravo musico che lo rallegrava ogni giorno coi suoi- concerti, ordinò che si facessero indagini per tutte le terre dell'impero, ma ogni ricerca fu vana. Soltanto dopo parecchi mesi, in un'isola deserta del sacro lago. Titicaca, venne ritrovato il cadavere ormai ischeletrito della bella figlia del Sole privo di una gamba, e poco più in là, dentro una caverna, anche il povero flautista, pazzo e ridotto in condizioni pietose dai lunghi digiuni. Il disgraziato non si accorgeva neppure dela gente che gli stava attorno; continuava a soffiare nel suo strumento ed empiva di gemiti e di note lamentose la buia caverna. A fatica lo trassero di là ; ma allora si accorsero ohe il flauto col quale suonava non era più quello di prima ; era nuovo nuovo; confessò di esserselo fabbricato lui con una gracile tibia della fanciulla amata. la più— Il flauto del povero folle • mi diceva ora il mio compagno di viaggio — eccolo qua ; secon do i-calcoli, può avere circa sei cento anni; mi hanno detto però che pesa su di esso una tremenda maledizione; tutti quelli che hanno voluto soffiarvi dentro 'sono diventati pazzi e sono stati trovati morti dentro buie caver ne. Io non sono superstizioso, ma francamente non me la sento di provare... Dal giorno che l'ho acquistato sono stato più volte tentato, ma poi mi son sempre trattenuto e mi accontento di accarezzarlo così, afiorandolo con le dita... Chissà se potrò resistere alla tentazioneI... Io non dicevo nulla; a buonconto lo consigliai di sdraiarsi e di star tranquillo per evitare le insidie della puna. Arrivati ad Arequipa ci perdemmo di vista e da allora non ho più incontrato il mio ometto ; ma vi assicuro che anche adesso, tutte le volte che sento il suono di un flauto, mi guardo attorno, perchè ho sempre paura che qualcuno debba impazzire. Ettore De lttaai

Persone citate: Tinca