Meglio l'acqua minerale

Meglio l'acqua minerale NEL DESERTO DI SALE E DI SABBIA Meglio l'acqua minerale Che cosa è un pozzo africano -- La marcia con i doni verso la gente Aliserà i n e o a e e i i l ; i i n l è a ; , i i i a i e i e a à ni sè irto ohe ala ht raa se lrà e. ida oa y. a ulaead ro aaE' aclo (DAL NOSTRO INVIATO) POZZI DEL DUR DUR (Dancalia Meridionale), marzo. Correggiamo in Africa la vecchia idea del pozzo, il muretto circolare che fa argine a un buco nero e fondo, in alto la carrucola sulla quale scorre la corda col secchio, in basso il tenue lampeggiar dell'acqua con barbagli azzurri e rosa e il cielo nebuloso riflesso sulla mobile superficie... No, il pozzo africano è un'altra cosa, è una povera cosa che non dà gioia allo sguardo, che un profano non avverte; ci puoi passar sopra e non ti accorgi che calpesti l'elemento più sacro per le genti d'Africa, non sai che per i tre metri quadrati di superficie, sui quali tu trascorri allungando il passo per giungere con un salto dall'una all'altra sponda appena segnate, migliaia d'uomini si sono nei secoli sgozzati, per il loro possesso, interi popoli hanno battagliato, talvolta le affaticate cancellerie della nostra civiltà si sono mosse, inondando il mondo di carta stampata... Tu non sai nulla, passi vicino e non vedi niente; non capisci, finché non te l'abbiano fatto osservare, che una ragione ci deve essere-perchè, mentre nel giro di decine di chilometri non cresce una pianta, qui tamerici ed acacie formano una piccola rada foresta, magra e derelitta come flagellata dal gelo; e questa ragione è l'acqua, il solo eterno motivo di tutta la vita vegetale ed animale nelle terre punite da Dio con sette mesi all'anno di assoluta siccità. La vita Il pozzo africano c'è perchè tu 10 vuoi, o meglio, il pozzo africano te lo devi guadagnare ogni volta con il sudore della tua fronte, con l'annaspare ansioso delle tue mani nella sabbia. Una piccola traccia quasi invisibile lasciata da chi ci ha preceduti indica che qui c'è l'acqua; una, due, tre, dieci Iraccie. Ma è bastata anche una sola giornata di abbandono, è stata sufficiente una notte di vento, perchè il buco aperto dal carovaniere o dal predone si sia d'un subito colmato e tu debba riassaggiare il terreno, come se fosse vergine, alla ricerca della vena d'acqua. La troverai certamente perchè il pozzo africano, quando per un cataclisma improvviso o per una siccità eccezionale non sia stato distrutto, è un punto fermo nella vita'del deserto, su di esso, da secoli, le nomadi popolazioni fanno affidamento per la loro esistenza; qualche volta è accaduto che l'acqua sperata non c'era e allora le carovane sono morte, i cammelli sono scomparsi urlando, ini pazzia, nella bufera di sole... Ma scavando l'acqua si trova. . carovanieri portano legata al basto dell'animale, una spatola di legno per rimuovere la sabbia; una lunga esperienza loro indica il punto preciso ove far zampillare l'acqua, più abbondante, più fresca, Anche qui, vano significato delle parole! Dopo aver scavato scavato si comincierà a sentir la sabbia o 11 terriccio umidi; si continuerà a scavare e sentirai sotto le mani fango, il bel fango poltiglioso che il sole in pochi istanti renderà cocente; poi a poco a poco il fango diventerà sempre più liquido, finché nell'estrema conca brillerà una superficie mobile, larga un palino: l'acqua. E allora bisognerà affrettarsi a raccogliere con la spatola larghe manciate di fanghiglia e rovesciarle subito in un filtro rudimentale che avrai prima costrutto co»i una futa, al tuo fianco: se no, la terra si riprende la sua acqua. Farai così centomila, duecentomila volte, finché avrai dissetato i tuoi arménti, avrai riempitele tue ghirbe, ti sarai messo in grado di riaffrontare il deserto per dieci venti giornate di cammino su terre arse diseredate, sino ai prossimi pozzi. L'acqua che si ricava rimane esposta al sole, prima che sia in quantità sufficiente da colmare una ghirba, una buona mezz'ora, anche se attorno al filtro si affaticano parecchi uomini; cosicché, se segnava al momento della estrazione dieci gradi sopra zero, ne segnerà sessanta, settanta, anche settantacinque, quando la verserai nel ricurvo vaso di pelle. Un'acqua calda densa nauseabonda, insopportabile al nostro palato, spesso anche salata, amara, con infiltrazioni di- minerali solforosi. Un'acqua spaventosa, ma acqua: la vita. nosemse bidaFacacacanodistcoscgavavarideneciubavchfenopepobicivesucotonistnoqucoalvecispdtrdegstsenliribriredascdcfplevepdmsdcsgccifiitetdtrcplcecalsdnssdlimi confessione I pozzi del Dur Dur sono famosi in tutta la Dancalia meridionale per la loro abbondanza: dicono anche per la squisitezza della loro acqua, che noi non abbiamo saputo assaggiare, tanto era repellente. E poi, in una cassa della carovana, c'erano ancora quarantatre bottiglie di minerale: le contavamo, ad una ad una, quando il cuoco, preposto a tale servizio e responsabile delle riserve, ce le apriva e con gesto rapido, indimenticabile, faceva saltare nel sole il tappo metallico; e io tene vo una piccola nota vergognosa di quelle che rimanevano. Indistruttibile egoismo umano! Io solo, si può dire, bevevo la Sun Pellegri no: Cosentini pareva un uomo sen za gota, senza ugola, senza sete, Caruso si chinava come una bel-,va della foresta su tutte le poz-\zanghere che incontrava; a me era lriservata l'acqua pura, quell'ac-1'qua che non era mia, che la carovana si trascinava dietro con non lieve fatica: eppure tutte le volte che qualcuno, e sempre dopo le mie insistenze, me ne pigliava un sorso, sentivo qualcosa dentro di me che non andava, non so, come una fitta al cuore, come una sofferenza fisica. Non era altro che egoismo, che un inqualificabile egoismo di cui chiedo ora perdo- a e o r a o , i o . a a, e o o a ni e o a : a o o, a. a oi rfti e i. e n e a, aé, a o, nre. nan i. a: no ai cari compagni della mia passeggiata dancala qualora in quei momenti il mio sguardo mi avesse tradito rivelando l'inconfessabile pensiero! Ai pozzi Dur Dur dovevamo andare, secondo l'ambasciata che Fadan Cavalle aveva portato al capo Alisarà, in due soltanto, il capitano Cosentini ed io, e senza cavalcature. Ciò.per togliere alla nostra presenza qualunque segno di imperio e per evitare che i nostri muli si gettassero, assetati com'erano, come pazzi sull'acqua e scompigliassero volgendo alla fuga gli armenti che si abbeverarvano. Tre pacchi di doni ilfa poiché molti doni recavamo al capo dancalo fu necessario condurre con noi due dubat della scorta, a cui non pensammo neanche di dire di deporre il fucile. Sapevamo che i due somali, ubbidienti sino alla morte, non avrebbero questa volta ubbidito, che il fucile, avuto in un giorno-di festa dal «grande governo talidno » non l'avrebbero abbandonato per tutto l'oro del mondo. I dubat portavano in tre grossi pacchi tela bianca di cotone per futa, una specie di.tessuto rado, spugnoso, lieve, quasi una garza (a proposito: sull'involto, àncora intatto nella confezione originaria, abbiamo letto il nome d'una manifattura straniera. Ma è possibile che i nostri stabilimenti piemontesi e lombardi non si siano ancora attrezzati per questa produzione? Non sanno i cotonieri italiani che qui ci sono almeno venti milioni di uomini che vestono nello stesso modo, un cencio bianco attorno alle reni e sulle spaile, e che questi venti milioni d'uomini comprano non mena di tre metri aill'anno di tale stoffa dalle fabbriche inglesi, indiane, egiziane? Se i conti tornano sono, stringendo le cifre all'inverosimile, sessanta milioni di metri di cotone, centoventi milioni almeno di lire italiane che se ne vanno fuori, per una merce che i nostri stabilimenti potrebbero produrre nei ritagli di tempo, senza scomodare disegnatori, progettisti, esperti di moda e il cui smercio, una volta arginata l'importazione straniera, sarebbe sicuro...); in un altro pacco qualche centinaio di collanine di vetro (anche queste di fabbricazione cecoslovacca; ma cosa fanno i vetrai veneziani?), fili di perline di tutti i colori, azzurri violenti, rosso rubino, giallo uovo, verde bandiera; nel terzo pacco, enorme, caffè e zucchero, i due prodotti introvabili nel deserto e di cui il dancalo è ghiottissimo. Faremo tra poco, indubbtamente', la felicità della tribù Alisarà; degli uomini per la futa, delle donne per le perline (le dancale belle e giovani si vestono, sopratutto, di collanine; disdegnano, se non un pezzettino piccolo piccolo, sulle reni, la lieve cotonata, soltanto man mano che invecchiano aumentano la superficie coperta. Come si vede, tutto il mondo è paese...); del capo autorevole e diffidente, con il caffè e lo zucchero. Saremo tra poco i trionfatori fra la gente nomade del deserto; il prestigio di Cosentini,, residente della zona, crescerà a dismisura; il suo nome sarà cantato sotto la luna, nelle notti palpitanti di stelle, nelle nenie lente e gravi dei carovanieri. Come i re magi Dico queste cose al mio buon compagno mentre camminiamo; e sorridiamo un poco tutti e due, che anche il sorriso ci dà fatica, anche muovere un braccio oltre la pura necessità ci è di peso, lo svolgere un periodo, condurre un discorso, impresa superiore alle nostre forze. L'ultima ora di marcia, ad ogni tappa è sempre uno sforzo doloroso che si accetta soltanto perchè lo si sa breve e prossimo a finire; l'ultima ora non è di sessanta minuti, è di centoventi, è di mille, è di tutta l'eternità, non finisce più, è l'ora delle imprecazioni e degli scatti d'ira, l'ora degli abbandoni improvvisi, degli sconforti amari, . dei rimpianti inutili. Poi si giunge, in un attimo tutto si dimentica, ci si sente in cuore un orgoglio smisurato _ di noi stessi, si dice a voce aitai quasi credendoci « Ebbene, quasi quasi sarei pronto a ricominciare ». Non è affatto vero, si dice una gran bugia, se tu facessi un altro chilometro dopo che sei smontato dal mulo e ti sei ricomposto un poco le ossa, cadresti a terra sfinito; ma lo dici, perchè sei felice, perchè intanto sai che non si riparte più, perchè è piacevole fare il bravaccio quando si sa d'avere le spalle difese. Tutti fanno così, tutti i giovani delle lunghe marcie desertiche, molti anche degli anziani. E' perciò che Cosentini si rifiuta di dirci l'ora dell'arriva, per risparmiarci appunto questi sessanta minuti di strazio. Ma Caruso, che è meno diplomatico,, chioccherà e ci dà, con la sua beata ingenuità, tutti i particolari del viaggio, conditi con una punta di ottimismo; per lui le ore diventano mezz'ore, il chilometro è di settecento metri, si è arrivati, la meta è li, a due passi, non la vede, e si dovrà camminare ancora, camminare, camminare, chissà quanto, prima di giungervi... . Procediamo in fila indiana stil¬ ole nro unaaa il e le iel e di tsi i n e, l-,, z-\,a p,sta' un sfnt\er° ^!Jo un palra l!"0' seonato f™ « Via dcl- c-1le ""rovan? del sud. All'ultimo 'momento s'è aggiunto alla comitiva anche Caruso e Cosentini lo aon le oano, na he le o- guarda torvo, perchè ha a tracolla il fucile. Ma oramai è qui, vuol dire che si nassconderà, che non verrà con noi davanti al capo. Ci seguono a pochi passi i dubat con i doni. Sembriamo i treRe Magi avviati alla capanna di Gesù. Ancelo Appratii

Persone citate: Cosentini, Fadan Cavalle, Sun Pellegri

Luoghi citati: Africa