Umanità dell'antico in Ercolano di Marziano Bernardi

Umanità dell'antico in Ercolano La trama d'una vita da duemila anni scomparsa Umanità dell'antico in Ercolano Jl sole brilla sui uiridari, la fontanella della Casa dell'Atrio a mosaico fruscia sommessa come uenti secoli fa: e tutto il mondo tutta l'esistermi sembrati racchiusi in questo canto lieue... Resina, 26 marzo. Mentre in tre giorni Pompei spariva sotto la coltre di ceneri e di pómici combuste che il vento tempestoso spingeva verso sud dall'eruttante voragine del Vesuvio, sorte diversa — come è noto — toccava ad Ercolano, pur distante in linea d'aria ^solo una dozzina di chilometri. Qui non le grevi scorie pioventi dal cielo, ma una dantesca «pégola spessa» di lave fangose segnava il destino tragico della città marmorea nel cataclisma, che il z:t agosto dell'anno 79 sconvolgeva la più splendida plaga della « Campania, felice ». Torrenti semiliquidi di materie vulcaniche, fra crolli di terremoti e muggiti di maremoti, investivano la parte alta dell'abitato, là dove oggi sorge Resina, preceduti dalla pazza fuga dei coloni delle falde vesuviane, orbati in un minuto dei loro fertilissimi poderi; irresistibile, inesorabile, la spaventosa alluvione che trasformava in un bollente deserto grigiastro gli ubertosi declivi verdeggianti, superava gli edifici più elevati e lo stesso culmine del Teatro, invadeva le strade in pendenza che facilitavano la sua colata, penetrava nelle case dirompendo e frantumando con l'urtò ed il peso della stia fluida massa e tutto travolgendo lontano nella rovina, colmava i vuoti, aderiva agli oggetti, faceva d'una città intera una sorta di calco gigantesco che poi, raffreddatosi e solidificatosi, doveva per circa diciassette secoli tener sepolta sotto venti metri di materia tufacea la antica immagine d'una vita interrotta ma non annientata. Qui, non la strage Saranno al l.o ottobre duecent'anni esatti che i primi scavi regolari iniziatisi sotto Carlo di Borbone non con l'intento di restituire alla luce quella vita, ma semplicemente di esplorarne e ricuperarne gli avanzi per mezzo di cunicoli sotterranei, confermavano lo svolgimento dell'immane catastrofe e le sue rapidissime fasi. Vittime si, e orrore di una tragedia che toccò i più profondi abissi dell'angoscia, che certo tolse per sempre a chi ne fu attore il gusto e la serenità dell'esistenza; ma diversamente da Pompei dove la morte veniva dal cielo e continuava ad inseguire i fuggiaschi pur lungi dalle loro case soffocandoli e lapidandoli, qui la minaccia era in questa fiumana fangosa che avanzava, è vero, irrefrenabile ma permetteva se non altro l'esodo di tutta o quasi tutta la popolazione senza aggiungere allo strazio per i beni perduti, pei frutti di tante fatiche in un attimo annientali, anche l'atrocità della strage. Pochi dei cinquemila abitanti di Ercolano dovettero perire nei vortici del denso torrente vulcanico: l'allarme era stato dato dai boati dell'eruzione, dai violentissimi movimenti tellurici le molti eran quelli che ricordavano il pauroso terremoto di sedici anni innanzi), dagli stessi pastori e agricoltori della zona vesuviana precipitatisi verso la città; la gente s'era riversata per le strade, poteva — malgrado la sinistra notte piombata in pieno meriggio su tutta la costa — rendersi conto di quanto accadeva; c'era tempo quindi per radunar le famiglie e mettere in salvo almeno la vita con poche masserizie e qualche oggetto di valore; e se qualcuno trovò la morte in quel frangente fu per troppo attaccamento ai propri averi o-— tolti coloro rimasti subito uccisi dai crolli — per deplorevole esitazione. Sia i trivellamenti borbonici dal 1738 al 1828, interrotti per scssantatre anni dopo l'esplosione della Villa dei Papiri ed il ricupero del suo favoloso tesoro di testi e di sculture; sia gli scavi razionali condotti fiaccamente pri ma. della conquista del Reame e con maggior vigore sotto Vittorio Emanuele II; sia infine la stupen da e totalitaria opera di ripristino voluta nel maggio 1927 da Benito Mussolini ed in corso di restituirci tutta intera la vita antica d'Ercolano; documentano, si può dire ora per ora, quella lontana formidabile vicenda. scstnmdnssqd Realtà viva e drammatica Come avviene a Pompei, anche la suggestione di Ercolano sta in questo straordinario ritorno, dopo quasi duemila anni, al pensiero, al costume, al gusto, persino al quotidiano agire di un popolo che qui tra queste lnsulae ed in queste abitazioni pare possa d'un tratto ridiventare il plausibile protagonista d'una fin-ione scenica che altro non è invece se non pura e semplice verità storica. Ma il dato concreto, il particolare spicciolo, la realtà cronistica, la presenza umana ancor tangibile nelle sue più varie o comuni forme dopo secoli di sonno e di cieco silenzio che costituiscono — meglio di i i e i l i e o o o i e a e n o l ui e o oe e aone o ndi qualsiasi rievocazione culturale, di qualsiasi squisita gioia estetica — il più autentico fascino pompeiano, si direbbero nella loro persuasiva efficacia centuplicati dalla visione d'insieme che sa offrirci Ercolano. V'è anzi, un. pregiudizio da sfatare: che delle due città sepolte dall'eruzione vesuviana la minore valga essenzialmente per la meravigliosa miniera di papiri e d'opere d'arte che fu e forse tornerà ad essere (opere e testi da studiare e godere nella raccolta sede dei musei), e l'altra invece sia quella dove recarsi a ritrovar completo, come nessun altro luogo sa dare, il tessuto della civiltà romano-campana al primo secolo dell'Impero. E' un errore di valutazione che anche oggi, undecimo anno della ripresa degli scavi integrali che hanno rimesso in luce buona parte della città, fa trascurare Ercolano da moltissimi dei turisti che giustamente affollano Pompei. Non soltanto attraverso il miraggio, delle sue grandi scoperte del passato — come avverte Amedeo Maiuri — si può giungere alla comprensione e all'amore di Ercolano, bensì accostandosi alla sua . « realtà umanamente e drammaticamente viva di città ormai dissepolta ». E' appunto il senso umano dell'antico ad affiorare con pàlpito commosso, con rinnovata e crescente persuasione dai quadrivi riemersi, aleggiando da casa a casa, e spandendosi fino alle terrazze, e alle pergole, ai giardini e ai solarii dove la brezza reca l'odor salso della prossima marina. Non siamo, come a Pompei, in una vasta città diroccata sul cui scheletro fantasia e cultura in pari grado van ricostruendo nella mente quanto duemila anni fa dovevan formare brulicante convivenza, floridi commerci, attive industrie, competizioni politiche vivaci, incrocio fitto di gusti e di costumi. Qui tutto è intimo e pacato, cordiale e raccolto. La meravigliosa conservazione delle cose non annulla t secoli, ciò che sarebbe scenografia grossolana: ma mantenendo il necessario distacco temporale ci rida l'immagine degli uomini che furono, ci fa partecipi dei loro pensieri, quasi ci mostra i loro gesti abituali, le loro azioni quotidiane. Annerita e carbonizzata, protetta dai cristalli come una reliquia in una teca, la scaletta di legno è ancora la medesima per la quale il proprietario di quest'umile casa scese inquieto al primo allarme della catastrofe; la mano s'appoggia cui cardini della porta sulla cui soglia giocavano i fanciulli; il torchio ed il telaio, il letto in legno ed il consunto brandello di stoffa, l'arganello col suo cordame intatto, l'armadio con le stoviglie superstiti, la bottega col focolare ancora colmo di carbonella, tutto ciò dopo tanto fluire di secoli, dopo- sì lungo volo di vicende, è ancora vita, ed è quella vita. Per sino la modestia degli spazi ac cresce il senso d'intimità riposante. Le strade sono brevi, i quadri vi raccolti; con un'occhiata s'ab bracciano insulae intere. Si va da casa a casa come s'andrebbe a trovar famiglie amiche; ed anche il silenzio è un silenzio diverso da quello di Pompei: meno augusto, forse, meno solennemente « antico»: un silenzio che il soffio del vento marino percorre senza turbare, afiora, come un'ala soffice, senza penetrare. A poco a poco ilddglmsissstsliEprcdidmzttecsudml desiderio.di vedere e di apprendere si smorza; al custode che ci guida non .si chiederebbe che di lasciarci sostare dolcemente smemorati nella pace d'un di questi solarii, abbandonati al flutto di indecise sensazioni. Il sole brilla sui viridari, la fontanella della Casa dell'Atrio a Mosaico fruscia sommessa come venti secoli fa. E tutto il mondo, tutta l'esistenza sembran racchiusi in questo canto lieve, in questa luce tepida che si insinua fra le penombre dell'atrio. E' l'autentica voce di Ercolano che parla allo spirito da lontananze riposte. Se Greta Garbo... Era una città per raffinati, per coloro che comprendono le gioie del lavoro intellettuale e dell'ozio ntelligente. Ugualmente lontana dallo sfarzo di Baia quanto dal mercantilismo marinaro di Pozzuoli, meglio della vociante e pettegola Pompei rispecchiava l'estetismo allenistico di Neapolis. Non era però, come troppo a lungo s'è creduto e favoleggiato, una città solo di marmi e d'opere d'arte, una sorta di platonica-Accademia dove in ogni pergola orientata a mare s'annidasse un filosofo in meditazione di sistemi. Un clima delizioso, un'aura fresca e pura, una vista magnifica sul Golfo (« oppidum in excelso loco propter mare collocatimi », annotava lo storico Sisenna) facevano di questa piccola città l'asilo ideale dell'uomo di studio, dell'innamorato dei libri e del silenzio. Nulla di strano quindi che la più sontuosa delle ville suburbane ercolanesi appartenesse a quel Lucio Calpurnio Pisane che s'era fatto protettore dell'epicureo Filodemo, e che proprio l'insigne retore palestinese avesse, per incarico del suo mecenate, trasformato la vii la in una stupenda biblioteca — la biblioteca dalla, quale fra il 1750 e il 1765 vennero fuori gli ottocento papiri carbonizzati sui cui testi tanti studiosi si curvarono per anni a decifrarli. Ma è privilegio dell'autentico spirito classico rifiutare ogni forma di artificio e liberamente ac cogliere i più genuini aspetti della vita. Perciò da questi patrizi che qui si costruivano ville pei riposi intelligenti, Ercolano era anche amata per la schietta semplicità dei suoi costumi. Un'esistenza laboriosa e sana vi si svolgeva in pace perfetta. Non rivalità di grandi e piccoli mercanti come a Pompei, non le meschine ansie di primeggiare dei liberti arricchiti; se mai, una nobile gara di artigiani nel fornire i musaici più squisiti, nell'intagliare e decorare armadi e sacelli. Queste piccole industrie erano anch'esse, se pure in grado minore, un modo di esprimersi artisticamente; e nei quadrivi presso le Terme un Filoderno poteva intrattenersi a ragionare con un umile ebanista. Il resto del popolo minuto si dava ulla pesca, come testimonia la gran copia d'ami e di réti venuta alla luce durante i nuovi scavi. Nelle insulae le casupole dei pescatori ercolanesi s' addossavano quindi alle dimore sontuose, e a sera un aspro sentore di pesce fresco giungeva fin nei tablini dei nostri intellettuali. Insomma Ercolano piaceva a quei ricchi pei lo stesso « carattere » di sincero borgo marittimo per cui oggi Cu egttdpatasdvpmsrteviOsfslzdrpri, Amalfi, Ravello continuano a esercitare i loro fascini. Malgrado le eruzioni, il mondo si ostina non cambiare. Se Greta Garbo e il maestro Stokowski fossero nati un duemila anni prima, oggi invece che a Bavello sarebbero probabilmente ad Ercolano, tspiti di Lucio Calpurnio Pisone: e in onor loro il buon Filodemo comporrebbe qualche epigramma per l'Antologia. Dopo il lungo sonno Non molto tempo occorse a quel popolino per radunar gli arnesi della pesca e fuggire. Più colpiti nei loro averi furon gli artigiani, e qualcuno dovette sentirsi stringere il cuore al pensiero che tanta fatica d'ingegnosi accostamenti di tessere musive andasse perduta, in un momento. Quanto ai patrizi la dottrina di Epicuro li ammoniva che la vira è un bene troppo prezioso per condizionarlo a checchessia: abbandonarono le statue stupende, gli amati testi degli antichi filosofi, i deliziosi tavoli marmorei dalle gambe a zampa di leone, e fuggirono lungo la marina. • Allora il. torrente fangoso invase la cavea del Teatro, precipitò ribollendo per le vie, colmò le sale triclinari e gli amabili cubicoli estivi, cancellò nella Casa dei Cervi i fantasiosi Giochi d'Amorini, inghiottì nella Casa del Rilievo di Oreste i mirabili oscilla marmorei sospesi agli intercolumni. Era la fine, era il sonno eterno. Che cosa sono queste parole nella storia lunga degli uomini f Oggi gli oscilla di nuovo ondeggiano alla brezza profumata, di nuovo i gruppi dei Cervi assaliti dai cani, ricuperati intatti nel giardino, rivelano l'incanto della scultura ellenicoromana. E di nuovo dopo due millenni Ercolano ha ritrovato la sua voce più umana. Marziano Bernardi L'ATRIO QELLA CA8A DI ORESTE CON GLI « OSCILLA » SOSPESI AGLI INTERCOLUNNI