I CALZONI

I CALZONI I CALZONI Dentro un raggio di dieci chilometri' tutto intorno a San Probo; da Barello a Micenta, da Celatela Perazzone, non c'era contadino bracciante o birocciaio che non conoscesse l'automobile dalle tendine verdi, la macchina della dottoressa. Erano già otto mesi che la dottoressa Fausta Pinucci era venuta a occupare il posto rimasto libero per la morte del medico condotto di San Probo. I contadini della zona erano restati piuttosto male il giorno in cui avevano saputo che sarebbe venuta, in servizio di condotta, una donna. Farsi curare da un dottore in sottana? Alla sfiducia era poi seguito un sarcastico, divertito interesse: s'erano figurata una donnona con gli occhiali e un po' di barba, e avevano visto arrivare una donnina Giovane, esile, bionda. Mica beisi, no, anzi bruttina, con una misera faccia qualunque, e dei . gomiti che pareva dovessero bucare le maniche. Ma, insomma, un tipetto troppo « civilino », dicevano, per trattare con gente di campagna. Dopo qualche mese, però, "intelligenza, l'energia, la premura, l'impegno, che la' dottoressa aveva dimostrato nell'esercizio della sua professione, a vevano disarmato la tenace diffi- • de. ti za della gente di campagna Sempre in giro, quella brava figliola, al volante della sua mac-' china sconquassata, ' estate e inverno,, giorno e notte, sole o neve, sempre pronta a far chilometri e chilometri per rispondere alla chiamata di un povero^ diavolo che non le avrebbe mai paga fco un centesimo ! Solo nelle ulti me settimane, per merito di qùal che chiacchierone d'à osteria, al l'ammirazione e alla gratitudine della gente, s'era aggiunto un pizzico di cattiva furbizia, una punta di acidula curiosità. Perchè era venuta a stare a San Probo, la biondina? Perchè era andata via dalla città? Una ragazza di ventisei anni, venirsi a seppellire così in campagna ? E lavorare, sacrificarsi a quel modo? Perchè? # * Fausta, uscì dalla casupola dei Rametta, attraversò l'aia a salti per evitare le pozzanghere, si avviò per la carraia tenendosi sul margine dove c'era l'orba. Aveva lasciata l'automobile sulla strada. Prima di salirvi, prese la bottiglia dello spirito, se ne versò un poco sulle dita. Aveva inciso un ascesso al vecchio Rametta. Ora doveva andare dalla parte di Bilucchio, a vinitare la figlia dei Baronti. Chiuse10 sportello. Mise in marcia il motore. Una' carcassa, quella macchina! Un vero somaro a benzina. E da quanti mesi non l'aveva fatta lavare? Nessuno avrebbe più saputo dire di che colore fosse, tanto era coperta, fasciata, corazzata di fango. L'aveva comprata di seconda mano, quando improvvisamente s'era decisa ad accettare la condotta di San Probo. E aveva scelto lei quelle orribili tendine verdi, di un cattivo gusto violento : per dare uno schiaffo all'eleganza, alla bellezza, e a tutti i raffinamenti della vita cittadina... Si. piegò in avanti a specchiarsi, un attimo, in una nichelatura del cruscotto. Brutta, lo sapeva. Ma gli occhi èrano vivi. Intelligenza, orgoglio, volontà. « So lavorare e battermi come un uomo, io! ». ILe piaceva di prodigarsi per gli altri, di sentirsi utile, necessairia, importante. Frenò. Era alla svolta della strada per Bilucphio. Stava per rilanciare la macchiIna ; ma un suono strano, che nel primo istante le parve il sibilo di un pneumatico forato, attrasse la sua attenzione. Fermò. Si volse indietro. Sul sedile posteriore ic'era un viluppo di cenci. Allungò una mano. Un pezzo di carta piegato in quattro sporgeva dalla fasciatura. Lesse: « Signora Idotoressa, lei è tanto bona che guarisce tuti e non domanda soldi, io sono sicura che vorà bene al bambino, che io ci voglio ipure bene, ma i denari dove solilo me lo dica lei e con questa miseria come s i fa. Io ci benedirò sempre e mi firmo una donna ». Bollevò il bambino. Se lo pose Bulle ginocchia. Guidando, poterà cullarlo un poco. Il bimbo cespo di lagnarsi... * * Aveva raccontato ila cosa ai Baroriti. E aveva fatto leggere la lettera in tutte le famiglie dove quella mattina era andata per visite. Li conosceva bene i suoi cari campagnoli. Cuori onesti, spiriti semplici, che le dovevano molta riconoscenza, e che l'avrebbero aiutata a cercare,» a indovinare chi poteva essere la sconosciuta donatrice del neonato. Ma tutti, invece, s'erano stretti nelle spalle. E adesso, a tre giorni di distanza dall'avvenimento, l'opinione pubblica di San Probo e dintorni si schierava compatta contro di lei. Ecco perchè la biondina s'era venuta a esiliare in campagna! In città aveva commesso un errore, ed era dovuta scappar via per tenerne nascoste le conseguenze. Era da otto mesi a San Probo ; otto più uno, nove: il conto tornava 11 bambino era suo. La letterina se l'era scritta da sè, con la mano sinistra, e apposta ci aveva messo gli sbagli. Ma cosa crede va? Di farla franca? Di trattar li da stupidi? Perchè lei veniva dalla città, e loro erano contadini? Fausta capì subito che non esisteva che un modo di avvalo-• rare le sue affermazioni : liberarsi del bambino, portarlo in cittàaffidarlo al Brefotrofio, far vedere che lei non andava mai più a trovarlo. Se continuava a tenerlo con se, dava credito all'accusa. Ma non sapeva risolversi. Le sembrava di commettere una viltà. Come? Dopo tutto il bene che aveva fatto? Così la trattavano ? Malignità, infamie ! Quella era la ricompensa? Il suo orgoglio reagiva, s'impennava.' LaBrio passare una settimana, dueprovava una soddisfazione acre incitante, a entrare nelle case dei contadini con spavalda disinvoltura, a guardarli in faccia con aria-di sfida. Ah, sì? Perchè era una donna? Ebbene, avrebbe dimostrato che lei era più forte, più ardita di un uomo. I contadini si appostavano sulla strada, all'ora in cui di solito passava l'automobile dalle tendine verdi. Non l'avevano mai veduta filare a una simile velocità, prendere le svolte in una maniera che ci s'aspettava di vederla volare di là dal fosso. Ma una sera (eran passati quaranta giorni) dopo aver dato col biberone il latte al bambino, d'improvviso Fausta decise di andare la mattina dell'indomani in città, e di tornare a San Probo sola. Per la prima volta aveva sentito affermarsi nel suo ani; mo, nei suoi nervi, un moto di dura volontà', di rabbiosa insofferenza, contro il bimbo. Sì, bisognava che se ne liberasse. Immediatamente. Perchè capiva che incominciava ad amarlo. E perchè questo sentimento andava a toccare la più segreta e. delicata intimità del suo_ cuorei Perchè la tenerezza per il piccolo svegliava in lei quella che non voleva essere, quella che il suo orgoglio si sforzava di negare, la cdNmcvtecscbnca creatura debole e sensibile, la donna, « Domattina alle sette. No, alle nove. Voglio che tutti mi vedano partire ». Andò a guardarsi nello specchio dell'armadio. Come le avevano sciupato la pelle, quegli otto mesi ai campagna ! E come era conciata, con la giacca rigonfia per i due panciotti di Tana che portava sotto, la sottana stinta e sdruscita, gli scarponi chiodati ! E che puzzo di disinfettante aveva addosso ! Il bambino dormiva. Ascoltò il suo te; nue respiro. Tornò a guardarsi nello specchio. Gli occhi, la bocca. Se l'errore, se la pazzia che aveva commesso in città avessero avuto delle conseguenze, il bambino, quel bambino... Ora si risentiva nelle narici, mescolato col puzzo dell'acido fenico e dell'alcool, il profumo dei fiori nel retrobottega del negozio di Domenico. Un odore acuto e cori-otto, di giardino e di cimitero. Dopo la laurea, mentre faceva pratica all'Ospedale, aveva preso una camera ammobiliata in casa di Domenico. S'era accorta fino dai primi giorni che il fiorista, vedovo, le taceva l'occhio tedei mazzetti di garofani, tre ro¬ se in un bel vaso. Ma Domenico e . riusciva antipatico, odioso. Prima di tutto, in confronto con lei che aveva studiato, era un gnorante, uno zotico. E poi, alto e ben pasciuto com'era, le sembrava che prendesse volentieri delle pose scioccamente stlperbe. Superbo, di che? Di essere un uomo. Un uomo, e basta. Nè bello nè brutto. Un coso forte e audace, con baffi e calzoni. Doveva esser stato il profumo troppo forte (c'erano anche dei gigli e delle magnolie) che l'aveva stordita, che le aveva fatto perdere la testa, quel pomeriggio di giugno, una domenica, nel retrobottega del negozio. Appena entrata, Domenico le aveva afferrato i polsi. A pensarci, sentiva ancora la stretta delle sue dita grosse e calde. Perchè non s'era difesa? Perchè s'era lasciata abbracciare? Dopo, non ricordava di avere, provato nè rimorso nè paura. Ma solo una grande, schiacciante, insopportabile vergogna. Vergogna che un mezzo stupido come Domenico, avesse potuto turbarla, dominarla. Vergogna che egli l'avesse vista così, tremante, perduta, nero. Spesso trovava in- camera vinta: una donna. Il giovedì aveva comprato l'automobile^. lì venerdì aveva scelto le tendineIl sabato era partita per San Probo. Di nuovo posse l'orecchio, a cogliere il ritmo breve e calmo del respiro. Se un bambino le fosse nato dalla vergognosa, avvilente avventura con Domenicosarebbe stato così... Giugno. Ed era ormai primavera... Conosceva la Vicedirettrice deBrefotrofio. Era certa di ottenere l'ammissione del trovatelloAveva indossato il suo vestito migliore. S'era messo un poco dprofumo nel fazzoletto. Era partita da San Probo alle otto. Prima di entrare in città fermò la macchina, per darsi un poco drosso alle labbra e di cipria sulle guancie. Ma veramente le parvdi non riconoscere più se stessnella vile, spregevole, ingannatrice creatura che, arrivata aBrefotrofio, tirò dritto per andare a fermarsi davanti al negozio di Domenico. — Questo è il bambino, vedilìtuo bambino, Domenico. Guarda, come mi hai rovinata, in chcondizione mi hai,messa! Domenico, sposami, sposami ! Bruno Corra

Persone citate: Barello, Baronti, Bruno Corra, Perazzone, Rametta, Superbo

Luoghi citati: San Probo