II più grande cabarè del mondo

II più grande cabarè del mondo tivai asiatic II più grande cabarè del mondo p gL'immensa anticamera dell'alcova tropicale dove tutto è accoppiamento, fecondità e germinazione è attraversata dalla voce infantile e piangente della ragazza che canta con lo spasimo di una popolazione di schiavi o a a o e a l i o i MANILLA. — Avete notato ? Anche questa parola adottata universalmente per definire un luogo di piacere; anche questa parola che è pronunciata ■ con diversi suoni dalle labbra spagnole, americane, malesi, cinesi: « Cabarè », è d'origine francese. E ha libero corso qui a Manilla come sul mare degli Stretti e l'Oceano Indiano e il Mare della Cina: ovunque gli equipaggi delle navi .sorridono mormorando il nome del Cabarè Sant'Arena, il «più grande del mondo ». Ai margini di Manilla — E non vi vergognate di definirlo col nome di una santa f — Il nome della Santa, non è adottato per indicare il Cabarè: ma il sobborgo di Manilladov'esso si trova. Perchè la puritana legislazione della polista americana vuole che % ritrovi di danza, e le case di piacere, e le arene per il combattimento dei galli, siano situati cinque miglia al di fuori delle mura. — Non è cosi a Nuova York. — A Nuova York non esistono mura. Perciò la strada par lunga al veicolo tradizionale a due ruote, la carromata dei filippini, al quale ci siamo affidati. Esso procede a piccolo trotto. E le automobili gialle, i magnifici tassi americani, ci precedono rombando, investen doci al passaggio con uno sprazzo di polvere e di luce. Pigiati di marinai della flotta ancorata a Canite si sentono trasformati in vetture da corsa e gareggiano in velocità. — \Vanno tutti al Sant'Anna ? — E' probabile: la grande attrazione popolaresca, quella che riempie con la sua aureola esotica le cartoline illustrate, i dischi di grammofono e i cuori trafitti sui tatuaggi dei marinai è il « cabarè più grande del mondo ».• Gli altri ritrovi danzanti di Manilla, sono malinconici e per bene. Più puritani del puritanesimo... — Nessuno di quei giovanotti andrebbe a danzare al Caffè Ronda, o sulla terrazza-giardino del Grande Oriente. Là si va a vedere qualche «numero» famoso: bai levine coreane o havaiane portate alle Filippine dalla deriva dei piroscafi che fanno il giro del mondo. Sono ritrovi molto più vigilati (e molto più immorali) del Sant'Anna. Ora l'aria puzza d'acqua marcia e di risaia, la carromata cammina spedita. Siamo fuori di Manilla: i margini e, ■ più indentro, l'alone di questa città avventurosa e dorata, sono miserabili, Impasti di case-frabaccoli, costruite di bambù e di stuoia con pareti scorrevoli tutte aperte. Se qualche luce è accesa, « intemi » desolati, o galanterie coloniali di un frusto « vecchia Spagna », o decorazioni filippine, si spalancano sull'azzurro della notte. Le donne seminude prendono il fresco in gonnella e i ragazzi giuocano sulla strada, nel cerchio luminoso delle lampade elettriche soffocate dalla vegetazione. E' qui? Non ancora? E', questa la strada? E' questa. Ma lo squallore della povertà incrostato al folclore indigeno non,è il «clima» migliore per avviarci al « più grande cabarè del mondo ». Pesa nell'aria il silenzioso sonno degli indigeni poveri, insensibile al rombo e allo strombazzamento delle automobili. Cascami della civiltà; avvisi pubblicitarii, decorazioni cartacee da villaggio, distributori di benzina, cóme licheni ed alghe dell'occidentalesimo strappati al fondo e riaggrappatisi ai crocicchi delle vie e ai muri fanghigliosi, completano il quadro nella cornice delle palme che sfioccano dall'alto fuochi artificiali d'inchiostro. Di tanto in tanto; a un crocicchio, appaiono monumenti commemorativi coi fantasmi di gesso dei rivoluzionari fucilati o massacrati dalle diverse reazioni: spagnola, americana. Appartengono al periodo eroico della battaglia navale di Cavite. Oggi i rintocchi e i singhiozzi delle musiche negre, 'arrivate qui come un contrabbando, fondono nello stesso ballo i vincitori e i vinti. La tristezza, spesso la lugubre follia dèlie canzoni negre, costituisce il miglior mastice di coesione per i figli e le figlie del dopoguerra. 1 repertorii delle danze occidentali avevano esaurito tutto, lo stock della loro malinconia; sdsqploustliqpbp«mucenvdnbptodsrcdrlmsisurniricntsftvmm a a a MANILLA. ANTICA Csi è dovuto ricorrere ai sedimenti di dolore accumulati dai negri in secoli di schiavitù. Anche questo, questo motivo, che filtra per le pareti di tela e sboccia dalle loggie illuminate a palloncini di una rimessa per dirigibile, questo motivo di jazz, è negro. Potato nelle piantagioni della California, germoglia benissimo in questa notte di risaie. Ma come può uscire dalla grande mole cubica di un edificio creato per scopi industriali ? Siamo giunti al Sant'Anna: al « Cabarè più grande del mondo ». Tra i suoni e il silenzio L'interno? Uno scheletro geometrico di Zeppelin o la pancia di una balena? Una mostruosa capacità velata dal fumo delle sigarette e illuminata da lampade di stazione ferroviaria: due parallele di tavolini che delimitano il pavimento dove possono ballare contemporaneamente centocinquanta coppie: e bandiere filippine e americane in pugno alle àquile di legno dorato. Tra un'orchestra e l'altra (le orchestre sono due, cigli estremi della sala rettangolare) c'è tanto spazio quanto ne corre tra le due reti sul terreno delle partite di calcio. E' evidente che lo spreco di ragazze-tassi (due o trecento) riesce a popolare scarsamente l'immenso ritrovo. Queste ragazze, malesi, cinesi, filippine, metiede sono poi contegnosissime e quasi immobili ai loro tavolini di ferro smaltato. Ascoltano, senza capire una parola, le dichiarazioni amorose e le spiritosaggini dei marinai americani e dei turisti che le invitano a ballare. Nel sussulto ritmico, e nelle strappate energiche dei sassofoni, questo campionario femminile d'ogni razza asiatica si rimescola lasciando una scia di sudore ferino e di profumi francesi di poco prezzo. Sono tutte piccine, smaltate di belletto, avvinghiate al ballerino- con mani magre e graffianti. I suonatori meticci e filippini badano a due tsfdrDmcgàadef CHIESA SPAGNÒLA. e i e o e , e i o e e o a i i i e tre istrumenti per volta e, con essi, pescano parole d'amore e afrodisiaci sentimentali ai due fiumi musicali che sboccano in questa foce paludosa venendo dalle grandi sorgenti del Montparnasse parigino e dell'Harlem neviorchese Dalle finestre aperte, negli scarsi momenti in cui le musiche tacciono, entra il ronzio confuso e il gracidio delle risaie, il vellutato ànsito della notte tropicale che avvolge poco lontano le palizzate del nuovo Ippodromo di Manilla e i baraccamenti degli indigeni con qualche fanaletto indicatore fermo alle'case di piacere e agli alberghetti equivoci. Poi la musica, le grida di trionfo di tre marinai che reggono un loro compagno a spalluccia, riportano l'attenzione su quella moltitudine danzante, sulle stesse bandiere americane e filippine tra le aquile dorate, gli avvisi pubblicitarii dei « Sandwiches Club » e l'avvertimento: « Questo stabilimento è condotto sulla base della pronta cassa. Nessuna eccezione. La Direzione ». /I tutto- ripercosso nelle specchiere che, all'altezza d'un uomo, incorniciano la sala. Mr. Carson . « La Direzione », il proprietario, l'organizzatore, il Direttore, l'inventore del « più Gran Cabarè del mondo » è un italiano. Un lavoratore accanito e orgoglioso conosciuto a Manilla non soltanto per la vasta pubblicità del. suo « Stabilimento », ma anche per la sua generosità spontanea e incalcolabile, soprattutto verso i connazionali. Connazionali? ■ Diciamo ex-connazionali perchè il signor Carson (quale sarà il suo.nome di origine?) è, da quarant'anni, cittadino americano. E' uno dei tanti italiani buttati al largo dall'Ita Uetta ottocentesca, l'Italia della pellagra e della malaria che si liberava a scrollate della crescente superpopolazione meridionale come di molesti pidocchi. E, una volta liberatasi, li lasciava per¬ i a i l o e e a i e i e e e i è a e n e, è o o a lo r di tti a a ie oa r¬ dere i suoi figli, come neonati esposti al brefotrofio della carità anglosassone! Poco importa se dimenticavano la lingua paterna e mutavano cittadinanza e nome. Si salassava di questo sangue generoso, laborioso e prolifico con un'indifferenza che rasentava il Cinismo. Esportava, vergognandosene, i « cafoni » che poi mandavano in Italia oro, oro. sonante di dollari e sterline guadagnati a mutar la faccia del mondo con le strade, con le ferrovie, con gli sbarramenti e coi grattacieli. Mr. Carson ha fatto un po' di tutto questo prima di aprire a Manilla, dove è venuto soldato, questo Stabilimento. E la sua imbarazzante modestia davanti a me, è accresciuta dal sentimento vergognoso d'aver dimenticato tutte le parole della lingua italiana, di aver dovuto placcare spirito e linguaggio e gesti con la vernice dell'internazionale plutocratico. Non più « si >: « yes ». Tornare in Italia? Un sogno! Venti giorni di navigazione! Quella vecchia matrigna ch'egli ha conosciuto fanciullo, ora ha il volto e il cuore di una madre? Veramente? E' possibile? Non inteneriamoci, Mr. Carson: gli italiani non devono intenerirsi soprattutto nel «più gran Cabarè del mondo ». — Lei non beve vischi? — No, grazie. — Non beve birra? — No, grazie. — Non balla? — No, grazie. — Anch'io sono morigerato come lei: ma voglio farle un omaggio! Quale omaggio può fare un italiano a un italiano? Mr Carson a Raffaele Calzini? Un canto. Può fargli omaggio di un canto. Ecco, chiama uno dei suoi cento camerieri e, questi, una delle sue trer centocinquanta ragazze-tassi. La cantatrice E' nata in un'isola di questo arcipelago dei vulcani e dei tifoni: Ita diciassette anni, ma ne mostra una ventina. E' vestita alla moda di Manilla: d'una gonnella color pesca, mentre il busto è chiuso in quel tipico trasparènte giubbetto intrecciato e ricamato di fibre di ananas che dà alle donne una leggerezza volante e luccicante di libellula. Dentro quell'astuccio rigido e trasparente si vedono le braccia le spalle la gola nude, il seno seminudo, patinati d'un co lor fanghiglia. Ha degli occhi di coleottero, un casco denso fitto di capelli lucidi come il corallo nero, e tagliati in diadema da una corona di fiori polposi e profumatissimi che paiono di celluloide. Risponde appena qualche parola spagnola e sta sulle sue, superbissima nella sua timidezza di selvaggia. Di grazioso, a guardarla bene, non ha niente, ma la modellazione delle reni e la fecondità e la voluttà come pigiate nel suo bacino carnoso e largo, emanano un fascino cupo e bestiale. E' vicina all'orchidea che s'ingrappola penzolante nelle foreste vergini, ai bufali dall'occhio violaceo cavalcati dalle donne e dai bambini sulle alzaie dei fiumi: è fatta di essenze e di tenebre tropicali, accumulate da generazioni. Si sono raffinate e fuse in lei, negli anni della sua biografia così meschina e così povera. E' nata in un vil¬ laggio sulla riva d'un fiume, è stata battezzata da un prete filippino in una chiesa di fango. E' figlia d'uno di quei pescatori che vivono in case di palafitte e percorrono lagune e fiumi con zattere armate di reti, e pescano la notte alla luce di lampare immerse nell'acqua. Ha percorso tutte le scale di questi mestieri agricoli: il tabacco, il riso, là zuccherò, il cocco. E' superstite di miserie e di malattie; fermentata da sensualità precoci. Qualcosa o qualcuno l'ha buttata sull'orlo di questo baraccone frivolo e immenso. Destinata a fare la taxi-girl e ballare col primo venuto (un peso, dieci danze; . Finché la sua gola, il suo cuore, le viscere del suo popolo le hanno dato una voce: questa che canta. «Sulle rive d'un fiume...» Per farsi udire nell'immenso e afono baraccone, ha avvicinato alla bocca il solito portavoce di cartone che copre metà del suo viso d'una maschera circolare: — Sono nata sulla riva di un fiume... Piccola antenna umana che diffonde con una voce bianca stupenda, lunghissima, un melanconico motivo assai simile a un tango; e pare il richiamo di un'ornati' te abbandonata, dal fondo di una foresta insondabile. Il canto si alza fino a un gorgheggio, più vicino ài cuore della natura che al cuore dell'uomo. Strade lungo quel grido, campagne lungo quel grido, fiumi lungo quel grido. Li ho visti ieri sotto un cielo ardente per chilometri e .chilometri; tutti ugualmente tristi, rigogliosi e deserti. Questa canzone li riassume, li diffonde, entro la grande baracca festosa di bandiere e di stelle filanti: — Assomiglio alla sua spuma che cammina cammina... L'immensa anticamera dell'alcova tropicale dove tutto è accoppiamento, fecondità e germinazione è attraversata dalla voce infantile e ■ piangente delia ragazza che canta con lo spasimo di una popolazione di schiavi. Tutti hanno cessata di danzare e quasi di muoversi per ascoltarla: le specchiere riflettono fantomaticamente la popolazione di ragazze-tassi, di marinai e di turisti vestiti di bianco. Lei, per buttare più voce, e più spasimo si divincola col busto inarcato sulle belle reni e si torce le mani dietro la nuca dalla quale è caduta la coroncina di fiori: — La spuma che corre al mare anche nella notte nera, nella foresta nera, nella maledetta bufera... S'intenerisce perfino la ronda — di notte — della .marina americana, apparsa in questo momento sulla porta del «più gran Cabarè del mondo ». I cinque impassibili ed erculei poliziotti, guidati da un caporale, lasciano che il canto finisca prima di procedere al rastrellamento dei marinai ubriachi. - Grazie per l'omaggio, Mister Carson. Raffaele Calzini nCamrnlrlfnr MANILLA. ANTICA CHIESA SPAGNÒLA. «SONO SULLA FIUME.,

Persone citate: Mister Carson, Mr Carson, Raffaele Calzini

Luoghi citati: California, Filippine, Italia, Manilla, Nuova York, Spagna