La prima notte di Bonga

La prima notte di Bonga . a i VIAGGIO NELL'OVEST ETIOPICO La prima notte di Bonga Dove Tarzan ha costrutto nella foresta la sua casa di liane? — Incontro con un pioniere della' colonizzazione italiana in A. O. e : ; a e i o i o a e e è e e e a e i e e r . o i , è e e vano, urlando e gesticolando, centini e e a . (Dal nostro inviato) BONGA, (Ovest etiopico), / gennaio. Bonga, nome rotondo. Tu ci ricordi l'Africa d'altri tempi, sei il villaggio di capanne vigilato da selvaggi in lancia e scudo che sognammo da bambini sui libri di avventura. Attorno a te è la cintura delle palme da cui cadono i datteri gonfi di zucchero; i bananeti rovesciano sul tucul del povero negro i loro grappoli fragranti. E' nell'aria il profumo acuto delle spezie e dei leoni rari, dei fiori strani che sbocciano in una notte dalla tua terra grassa e rossa; il sole ti. tortura e ti bea dall'alto, non sai se la sua violenza sia una gioia o un tormento. Bonga, ultimo lembo d'Africa, romantico rifugio per anime nostalgiche del passato, attorno a te tuttavia scorrono i fiumi popolati d'ippopotami e di coccodrilli e la foresta che ti fascia risuona ancora del barrito dell'elefante, il leone domina le tue radure, la pantera balza sull'orme dell'antilope che fugge atterrita. Forse nei recessi del tuo bosco vive Tarzan nella sua casa di liane; e il cacciatore galla l'ha visto un mattino trasvolare da ramo a ramo, gli ha scoccato una freccia, ne ha sentito il grido rauco di richiamo risuonare in echi intuiti sotto la volta degli alberi. Al vespero, sulle soglie dei tuoi tucul, vengono abbaiando gli sciacalli alla ricerca di cibo; quando è notte.e le nuvole nascondono la luna, il leopardo ama indugiare fra le tue capanne, assapora l'acre odore di carne che trapela dai chiusi recinti ove dormono i tuoi uomini e le tue mandre. Grandi fuochi illuminano le stelle quando il sole è scomparso tra gli alberi della foresta e sulle tue povere cose l'ombra, è scesa dominatrice e paurosa. Li accendono i negri per propiziarsi gli spiriti maligni; sono dieci, sono cento, uno per ogni tucul, enormi torcie divampanti nella notte come in un immenso bivacco guerriero. Arrivo a Bcnga Bonga, piccolo villaggio di capanne agli estremi confini del nostro mondo, dopo te è la giungla insuperabile, da te s'irradiano le piste che i cammellieri han tracciato nei secoli lungo gli itinerari del sud, sei l'ultimo fortilizio I bianco verso il deserto, la savana le la foresta. Da te non può partire che una speranza e l'uomo che ti abbandona volgendo ad ovest lo sguardo conserverà nel cuore la tua visione come l'ultima parvenza amica di questo mondo feroce e sanguigno. Siamo giunti a Bonga verso sera dopo una giornata densa di emozióni e di fatica. Il lettore che ci ha seguiti nel nostro cammino ricorda l'avventura della foresta e la comica cavalcata nella solitudine meridiana. Il muletto comprato a Shabe, povera vecchia bestia straziata di piaghe e di fatica, all'ultima curva della pista, quando già i lumi di Bonga splendevano come fari nella notte senza stelle, stramazzò al suolo e noti si rialzò più. Dal mattino non aveva mangiato e non aveva bevuto, aveva ostinatamente rifiutato l'erba e l'acqua dei ruscelli durante le brevi soste nella foresta; era certo malato, le nove ore di cammino e di scudisciate l'avevano finito. Povero mulo, umile amico della giornata più strana della nostra vita, nostro salvatore e nostro compagno fedele; quando già il riposo era vicino, era morto. Precipitò sulla terra rossa come un macigno, si irrigidì nelle gambe stecchite, non emise un lamento. La sua carcassa segnò una macchia più scura nella notte fonda, la sella arcuata le disegnò in groppa una gobba, parve la carogna di un, cammello abbandonata nel deserto. Said, giovane ne¬ grprchmlatuLountuinteinEstvavecatutaadumasl'asctrcil'incherénsimsi' «tudacicdseda raulamsecaribBriscrotua nodatadavim« vquafdised'I gro superstizioso, mormorò incomprensibili parole di scongiuro, poiché porta male la morte di un mulo; e cercò di slacciare la sella da dui, a Bonga, avrebbe potuto ricavare un centinaio di lire. Lo dissuasi dall'inutile fatica con uno scapaccione; ero esasperato, tutto quel giorno andava di male in peggio. Per fortuna il villàggio non poteva distare più di un chilometro, in mezz'ora vi saremmo giunti. Ero affamato, ero sudicio, ero stanco da morire. Chi avrei trovato a Bonga t Erano oramai le venti, ora tarda nella nòtte africana; certamente sbarrati tutti i tucùl e impossibile avere là ospitalità di un indigeno. Sapevo, per averlo incontrato il mattino (le due macchine si erano incrociate mila pista} che il residente era assente, chiamato a Gimma dall'autorità del governo, non conoscevo la esistenza a Bonga di altri bianchi, aU'infuori degli ufficiali del presidio attendati presso l'abitato ma a cui, a quell'ora e in quello stato, non avrei voluto chiedere aiuto. La prospettiva non era allegra, camminando andavo éntro di me ruminando questi pensieri, imprecavo alla mala sorte, maltrattavo Said che mi trottava silenzioso al fianco. ' « Tucul stare bianco » Giungemmo finalmente al primo tucul di Bonga. Silenzio, notte fonda, fischiar di grilli, sibilante, pre cipite, dai fianchi della collina su cui ha sede il paese. Dissi a Said di precedermi, mi sedetti, il Mau ser fra le ginocchia, sull'erba madida: «Vai a quel lume — dissi a Said — e chiedi se mi ricoverano per questa notte ». Attesi una mezz'ora. Il tucul, da cui brillava il lume, pareva a due passi ma l'oscurità inganna, una cosa sembra vicina ed invece cammina cammina, non ci arrivi mai. Said ritornò, raggiante. « Tucul stare bianco. Stare bianco molto buono. Bianco dire venire essere mangeria ». n giovanotto era felice della scoperta, era felice di questa parola « mangeria » con la quale, in tutta l'Africa italiana, da Tripoli a Chisimaio, gli indigeni esprimo no il loro continuo ossessionante desiderio di cibo. Said mi guidò alla capanna. Sul vano della porta, l'alta figura atletica illuminata dai raggi violenti del petromax, vidi un uomo sui trent'anni, che mi tese la mano, affettuosamente. « Marco Boella, torinese ». Mi parve di sognare. Un torinese, e a quell'ora, in quello sperduto paese africano, che mi dà la mano, mi dice di entrare nella sua casa, for se mi offre del pane, un bicchiere d'acqua, magari un pezzo di for¬ tticpcrdcdpzdbinoimdcqstrndlbscbtugagranGcmEgbrfsnctl'efsudiasudchtrdèprasctnv maggio, mi toglie dalla mia soliudine che oramai dura da troppe ore, mi ridona la vita? Non so quale dei due sia stato più felice dell'incontro; ma tutti e due eravamo egualmente commossi e le prime parole furono difficili e lene. Mangiai, bevvi anche un bichiere di chianti; poi Marco Boela mi raccontò la sua storia. L'audace impresa « Mi sono stabilito a Bonga do* pp la guerra, che feci con la « B8 Ottobre ». Come mai ho scelto questo paesettot Non lo so neanch'io. Venni qua un giorno col mio reparto, subito dopo l'occupazione di Gimma. Mi innamorai di questi boschi, di questa terra, di questo cielo sempre azzurro e sempre caldo. A Torino ho una azienda (e mi disse quale, un grosso caffè del centro) ho una famiglia, ho delle persone a cui voglio bene; scrissi che avrei tardato un poco, che sarei tornato più tardi. Mi sentii subito legato all'Africa, indicibilmente; sentii di cominciare ' qui la mia nuova vita. Non è. stato facile vivere fino ad oggi fra questi negri, in questo povero villaggio. Cominciai a costruirmi una capanna, poi mi volsi attorno a vedere ciò che si poteva fare. Tuto si può fare qui. Poche terre al mondo credo siano ricche come queste. Come lei vedrà, tutt'attorno a Bonga è la foresta, ove crescono le piante più belle e più rare: orchidee, felci, ginepri,/olivi selvatici e una vegetazione 'arbustiva impressionante, di cui il caffè costituisce la specie predominante. Pensai che col caffè si potevano fare grandi cose, mi feci dare una picccla concessione e mi son messo al lavoro. Dire: ini son messo al lavoro, è una cosa semplice; ma farlo, e farlo sul serio, con caparbia volontà di .riuscire, anto semplice non è. Un bel mattino me ne andai a visitare la concessione. Quattro ore di muletto, poi a piedi tanto spessa e invalicabile senza la scure era là foresta. Vidi un terreno magnifico, distese immense di caffè selvatica, macchie folte di alberi che si dovevano abbattere sé si voleva procedere a una coltivazione razionale. L'impresa mi parve quasi disperata, pensai un istante di abbandonare tutto e di tornarmene n Italia. Ma poi a poco a poco ogni ostacolo diventò superabile, mparai a guardare al complesso dei problemi che si presentano a chiunque voalia in Africa creare qualcosa di serio e di duraturo con sguardo sereno, con cuore paziente. Mi avvidi che qui è inutile correre, che ogni questione va risolta negli anni, che le impazienze, il desiderio di resultati immediati, la corsa al più veloce su cui abbiamo sino a ieri impostato la nostra vita, sono sentimenti e cose che bisogna" qui assolutamente bandire. Mi misi al lavoro con metodo e con tranquillità. Assoldai una ventina di negri, feci giungere dall'Italia i primi strumenti agricoli, ogni giorno volli raggiungere la mia piccola meta, il mio resultato sicuro.. Oggi, dopo un anno di lavoro, la mia concessione è florida, è vasta, è redditizia. Già ho raccolto i primi sacchi di caffè, già, dalle macchine di Gimma, esce fumante il mio espresso. E' una vita dura, ma piena di gioia; come vede, dormo su una branàina, mangio scatolette, lavoro dieci ore al giorno; ma sono felice della mia vittoria e mi sostiene la speranza di poter tornare presto, e ricco, alla nostra città... ». Marco Boella non è che uno dei tanti italiani che han guardato al'Impero come a un campo duro' e serio di lavoro, non come a una facile palestra per improvvise speculazioni. Non crede d'essere un eroe, pensa di fare, col proprio dovere, i suoi interessi. Rimcirrà in Africa, sianio certi, molti anni ancora, la sua impresa attingerà, sicuramente, mete lontane. E' un' uomo solido, è compagno a quanti da Mogadiscio a Gambela, nei campi, nelle ■«miniere, nelle foreste han votato la loro vita a questa terra che sarà dal nostro lavoro redenta e bonificata. . Ho voluto dire di lui, come già di Bassignana e Balma, perchè mi è parso alto e nobile il suo esempio; perchè veramente, nel povero tucul africano, ho respirato atmosfera di Fascismo, di Fascismo in atto. E mi è parso anche che lo sguardo del Duce, dalla fotografia appesa sopra la brandina da campo, sorridesse approvando: Angelo Appiotti IL TEATRO DEI BURATTINI sulla piazza di un villaggio galla. Mentre fotografavamo, attorno all'artista indigeno si ammassavano, urlando e gesticolando, centinaia di Galla. (Foto Appiotti). IL NOSTRO INVIATO CON IL TORINESE COL. CORRADO. COMANDANTE DELLA ZONA DI BONGA