Luigi Filippo di Filippo Burzio

Luigi Filippo Luigi Filippo Nel 1830 e '31 rispettivamente, a distanza di un anno appena uno dall'altro, due eventi similari, accadono, sebbene con modalità diverse, in Francia e in Piemonte: cessano cioè, per estinzione o per cacciata, le vecchie Dinastie e due rami cadetti, entrambi da circa due secoli stac cati dal ramo principale, le so stituiscono : gli Orléans in Francia, i Carignano in Piemonte. I due nuovi sovrani, Carlo Alberto e Luigi Filippo, sono, come tipi umani, quanto di più diverso si possa immaginare, e non simpatizzano: mistico ed ipocondriaco il primo, mentre l'altro è l'opposto ; eppure entrambi sono figure altamente rappreseli tative dell'Ottocento, di cui sim noleggiano due caratteri, in certo modo complementari. Carlo Alberto è l'Ottocento cristiano' romantico, Luigi Filippo l'Otto' cento scettico-borghese erede, sia pure con. significative varianti, del volterianesimo ; l'uno richia ma Chateaubriand e i neo-guel fi, l'altro Balzac. Entrambi poi sono, com'è noto, tipi abbastanza problematici, ed io confesso che per lungo tempo l'enigma Luigi Filippo mi appassionò più dell'enigma Carlo Alberto, che mi sembrava più facile, e anche di cojui che passa comunemente Ser la sfinge patentata dell'800, i apoleone III. Il curioso è, infine, che entrambi, non solo cominciano insieme la loro carriera nel '30, ma la finiscono insieme nel '48-49, sic che il periodo del loro fiorire coin cide con quella singolare fase di incerta calma, d'instabilissimo equilibrio, di fuoco sotto la cenere e di bagliori nell'ombra che intercede fra le due grandi esplosioni, di cui la seconda, sopratutto, costituisce come l'acme del secolo e gli dà il suo maggior si gnificàto. In Luigi Filippo sono ugualmente interessanti la psicologia dell'uomo e il valore politico del regno. L'uomo è, dicevamo, abbastanza problematico nella sua apparente semplicità e bonomìa, benché senza dubbio le circostanze esteriori abbiano enormemen te contribuito ad accrescere la complessità nativa della sua fi gura. Se Carlo Alberto è l'italo Amleto, diremo che l'antiromàn tico Luigi Filippo è una sorta di Mefistofele senza satanicità, ma non senza un cordiale machiavellismo. Il patetico della sua posizione sta sopratutto nel fatto che, Re instaurato da una Rivoluzione che ha abbattuto un altro Re, egli è «costretto! a dare alla sua nuova regalità dei caratteri paradossali, che la differenzino nettamente dalla precedente (nonché da ogni "normale concetto monarchico, sia pure all'inglese), in modo da giustificare il mutamento, e conferire così al nuovo regime una, ragion d'esse re quanto più è possibile definita e palmare. E' qui, evidentemente, la chiave dell'ostentazione a borghese» della Monarchia di luglio; del re che se ne esce a piedi con l'ombrello sotto il braccio; com'è stato osservato più volte, l'assunzione di Luigi Filippo è la risultante di due op poste paure: la borghesia, appena cacciato Carlo X, si affretta a fare un altro re, per paura della Rivoluzione ; poi, appena fatto il nuovo re, si affretta a minarne la posizione e ad esautorarne il prestigio, per paura della Monarchia. Il frutto di questo doppio giuoco è un capolavoro di equilibrio instabile profondamente interessante; è il a Regime di luglio», cioè quel jutte milieu che, nonostante tutto, piacerà poi à Cavour. Per il monarca, personalmente, la delicatezza della sua posizione è poi ancora accresciuta dal fatto che egli è cugino del Re spodestato, ilquale "ha colmato di onori e, al momento della catastrofe, gli ha tacitamente affidato l'erede ; si aggiunga la tradizione della sua Casa òhe, frondista come tutti i rami cadetti rispetto ai primogeniti, ha, con Filippo-Egalite, trescato con la Rivoluzione, addirittura fino al regicidio ; senza che, peraltro, ciò abbia salvato il padre dalla ghigliottina, ne il figlio dall'esilio. Ce n'è abbastanza, non è vero? per giustificare le invettive di Chateaubriand contro il «traditore». Più in là di Luigi Filippo, in fatto di «democratizzazione» della regalità) non si può andare; dopo bisognerà, se mai, far macchina indietro, » * In uno scorcio singolarmente efficace, uno degli ultimi e più autorevoli biografi di Luigi Filippo, Pierre de la Gorce, riassume tutti questi elementi antitetici che confluiscono nella figura del «Re borghese ». E' il 1832, il momento in cui, dopo avere provveduto al più urgente, egli si decide con ripugnanza, cedendo alle, insistenze di Casimir Pélier, a trasferirsi, dalla residenza avita del Palais-Royal, alle Tuileriea di malaugurio. «Lo splendore del palazzo non fa che sottolineare le singolari vicissitudi; ni che l'hanno portato, già quasi vecchio, fino al rango supremo. Madame de Genlis. che ha presieduto alla sua educazione, gli ha insegnato i gusti che conven■ono ad' un principe, insufflanJogli insieme le massime che distinguono un repubblicano. A più di quarant'anni di distanza, quale soggetto di meditazione per il re, quand'egli rievoca la sua vita ! Si rivede i membro del club dei Giacobini ; ha combattuto a Jemmapes sotto Dumouriez, ha inteso, sili massacri di settembre, le confidenze di Danton. Gettato più tardi in esilio, e in un esilio doppiamente doloroso, poiché tutti gli emigrati sfuggono il figliò del regicida — egli ha conosciuto, non soltanto la povertà ma la miseria.; ha dato, per vivere, lezioni di matematica a Reichenau. Si seguono poi le sue traccie in Svezia, in America, in Inghilterra, in Italia. Un giorS si è posato su lui, ha sposato Maria-Amelia, principessa delle Due Sicilie, nobile di razza, e più di cuore. La Restaurazione gli ha restituito il suo rango: se Luigi. XVIII ha diffidato di lui, Carlo X lo ha colmato di onori. Ha egli cospirato? Assolutamente no, ma, lo volesse o non, è stato pei malcontenti un polo di attrazione... Tante impressioni diverse, sovrapponendosi, gli hanno composto l'anima più complicata del mondo. Egli ha bel farsi all'Hotel de Ville il cortigiano della moltitudine, mettersi umilmente alla scuola di Lafayette, chiamar le guardie nazionali : «camerati », e gli studenti: «amici miei» — egli non può dimenticare che è principe, principe della casa di Borbone, e discendente di Enrico IV. Quando, dopo il saccheggio di St.-Germain-l'Auxerrois, egli si rassegna, sotto l'impeto del clamore popolare, a cancellare i fiordalisi dal suo blasone, è fremendo che consuma'il sacrificio; e più tardi, in colloqui con Arago, Odilop Barrot, Laffitte, lascierà sfuggire il grido del stppncsaulsz1ndpzgNtcdmrtgrmmt suo orgoglio ferito... Per un altro singolare contrasto questo principe, così geloso della propria origine regale, porta sul trono tutte le preoccupazioni del più calcolatore dei borghesi... Questo sovrano così preso di mira dagli attentatori è il più umano degli uomini. La filantropìa del secolo XVIII gli ha insufflato la sensibilità, e le proscrizioni rivoluzionarie l'orrore del sangue». La rivoluzione del febbraio 1848, che travolge il fragile trono di Luigi Filippo, starebbe a dimostrare che tutto questo capolavoro di pazienza e di astuzia è stato vano; ma un simile giudizio non*sarebbe eccessivo? Nella crisi del '48 non fa difetto al Re l'usata abilità quando, contemporaneamente, impone le dimissioni all'inviso Guizot, formando il ministero Thiers-Barrot, e affida là difesa della capitale all'energico maresciallo Bugeaud, quasi per offrire all'insurrezione l'alternativa del compromesso o della lotta ad oltranza; ma poi non osa accettare la lotta, e dal compromesso scende im¬ mediatamente allabdicazione e alla fuga. Esclusiva mancanza di coraggio fisico, o non piuttosto anche collasso morale, dovuto alia cattiva coscienza del qnasiusurpatore che, portato al trono da un'insurrezione, si è quasi ssmpre oscuramente aspettato che un'altra insurrezione dovesse sbalzamelo? E, al di là ancora di questa- ragione personale, non sarà da ravvisare nel suo contegno un episodio di quella crisi generale dell'autorità, che fu uno dei drammi dell'Ottocento? Non solo, infatti, Luigi Filippo, ma. da Carlo X a Guglielmo II, anche i re legittimi se la svignano senza colpo ferire. Due grandi forze fondano l'autorità politica, l'acerrima volontà di dominio, la religiosa persuasione di una missione: ora. in quasi tutti gli uomini del secolo scorso, ci fu carenza di entrambe; la religione non c'era più, la nietzschiana « volontà di potenza » non c'era ancora. In difetto di esse, la Monarchia di Luglio fu uno dei tentativi più riusciti (a par^ te il secolare esempio inglese) di gscpsmdedtqslsslpamarrepb governare ugualmente. Il personale emerso da questo regime — sopratutto Thiers e Guizot — è nettamente superiore a quello della seconda Repubblica, del Secondo Impero, della Terza Repubblica. Nella instabilità intrinseca, ci sono però Ministeri (come quello di Guizot) capaci di durare ben otto anni; e sotto di essi la Nazione conosce una prodigiosa fioritura economica, mentre anche il prestigio esterno è quasi sempre salvato. Le «masse» non erano ancora apparse all'orizzonte, perchè l'industrialismo era appena ai suoi inizi ; il suffragio ristretto faceva del Parlamento un club di élite*, sia pure vàrie e diffuse ; il savio Re arbitrava le differenze. Il suo «demonismo» (se tale può chiamarsi) consistette nel rinunciare al fumo (il fasto regio) per stare all'arrosto dell'effettivo potere politico che, pur dissimulato, esercitò sempre: e fu dunque piuttosto una sorta di demiurgia borghese e antieroica. Filippo Burzio

Luoghi citati: America, Francia, Inghilterra, Italia, Piemonte, Svezia