La cugina brutta

La cugina brutta La cugina brutta — Domani arriva .tua cugina. — Gonda? E io domani me ne vado. — Non si può dire che tu sia una persona gentile!... — Non. ho mai preteso di esserlo!... Madre e figlio abbassarono contemporaneamente le lettere che stavano leggendo e si lanciarono uno sguardo di sfida. Enrico, il figlio, era alto forte, chiassoso, possente, con capelli rossastri, colorito acceso, sopraccigli arruffati e occhi terribili, di un azzurro che mandava lampi e che faceva tremare i dipendenti. La madre era piccolissima e gracile, col viso color dell' avorio e due dolci occhi neri che si abbassavano soltanto in chiesa. Ella chiamava il figlio Chico, come quando era poppante in fasce, e non aveva per nulla paura di lui. — Domani andrai alla stazione a prendere Gonda. —_ Niente affatto, perchè do-' mani andrò in città al ricevimento che danno i genitori di Elisabetta per festeggiare il suo fidanzamento. — Si sposa la bella Elisabetta?... E lo scrive a te, invece che a me?... Amabile « corretto, davvero !... La piccola signora torse la bocca con aria di disapprovazione, mentre il _ figlio, \ sotto il suo sguardo serio, si agitava, impacciato. — Sai, io sono stato il suo confidente, mentre di te ha sempre avuto soggezione. E poi, sapendo che tu ti muovi soltanto per andare in chiesa, avranno creduto inutile invitarti. — Infatti I... Quelle due cugine in secondo grado, una dal lato paterno, l'altra da quello materno, erano venute spesso, da bimbe, a passare le vacanze in campagna, da loro, e subito la bellezza di Elisabetta, appariscente e sfolgorante, anche agli occhi diffidenti dei contadini, aveva fatto passare in ombra ila personcina modesta di Gonda, {quella sua testina castana, dagli splendori nascosti, quel suo visinò irregolare, pieno di bontà e di grazia. « La cugina bella 1 e « la cugina brutta » diceva la gente, per distìnguerle, e la parola t brutta » faceva bollire nelle véne della madre di Chico, il suo sangue generoso, e battere a precipizio quel suo piccolo cuore ardente, ribelle a tutte le ingiù stizie. — Tu aposerai Chico, da gran de, vedrai!... — ella aveva prò messo a Gonda, fin da allora e la sua battaglia durava sempre. — E' la moglie che occorre a •te, è la donna che devi sposare !...' — Mai!... — strepitava il figlio. — Una che si chiama Cunegonda, pensiamo un po' !... E che è conosciuta per brutta e che brutta è, checche tu dica ! Una ragazza che non sa dir quattro parole, nè ballare, nè stare alle' gra. nè cantare ! — Ti paiono queste le qualità di una buona moglie?...- — Ma io la voglio bella la moglie!... La madre lo guardava per un momento al disopra degli occhiali, severa, stringendo le lab bra. poi sparava tran quii lamen te, la sua cartuccia più grossa. — Chico, lo sai, io non sono eterna... Subito Chico diventava furibondo; paonazzo in viso, gettava per aria tutto quel che c'era sulla tavola, si tappava gli orecchi, e dopo aver urlato infinite volte : — Non voglio udire queste ragioni!-.. — se ne andava fuori a litigare con qualcuno, per sfogarsi. ' \ La madre, senza scomporsi, pigliava di solito in quel momento la penna per scrivere a Gonda : « Sai che t'aspetto al più presto, sai che devi venire a qualun que costo. Chico sarà alla sta zione... i. Alla stazione, Chico si trovava sempre. E si trovò anche quel giorno, nonostante la sua irrevocabile decisione di andare in città, per la festa del fidanzamento di Elisabetta. Burberamente, come faceva sempre quando parlava con la cu gina Gonda, le spiegò, condu cendola a casa nella sua grossa automobile, quella che adoperava soltanto per andare in città, che la mamma era un poco dispiacente per la sua decisione di assentarsi quella sera stessa, .e, chissà, forse anche il giorno dopo e quell'altro ancora, ma che, dopo tutto, egli si sentiva in dovere di partecipare a quella festa! la cugina Elisabetta e suoi genitori, erano gli unici parenti che ancora gli restavano da parte del povero papà. — Ma certo !... — disse con la sua vocina mite la cugina Gonda, che si faceva piccina accanto a liti, per non intralciarlo'nelle sue manovre impetuose. — Quel la cara Elisabetta!... Devi fargli anche gli auguri da parte mia. Gli auguri da parte di Gondar... Chico ci pensava, mentre spingeva la macchina a grande velocità, dopo aver depositato la cugina al cancello di casa, e finto di non vedere la mamma che lo Guardava severamente, al disopra egli occhiali. No, gli auguri di Gonda non andavano fatti. Era sicuro ' che Elisabetta avrebbe detto : — Chi ?... Gonda ?... Que la tua cugina brutta?... — E si sarebbe messa a ridere. Perchè Elisabetta, che era bella e gaia come una fata, sapeva anche essere crudele. Era nella sua natura di fanciulla viziata da tutti, di non preoccuparsi mài del la suscettibilità degli altri. Aveva colpito e ferito perfin lui, certo senza volerlo. Quelle grazie, quelle civetterie, quelle moine, per "sentirsi amata, per vederlo impallidire al suo avvicinarsi, per dominarlo con uno sguar do solo!... Sapeva che egli 1' aveva messa così in alto, da non sperare' mai di- raggiungerla con i suoi sentimeli ti e per un poco aveva giocato crudelmente col suo cuore,, corneusDllnqtrzpqsftPadvangmbaispvtdptcirsltnddcsdarmbmtmCnc ' o o o o e e a , i e e a l a e e . a E e a o à a n o a , : a o : a l o a a o e , o a n a o a no e un gatto col topo. L'anno scorso, però, no; l'anno scorso, se Dio'vuole, era stata ferita anche lei, colpita in mezzo al cuore dalla freccia di Cupido, come ai dice nei libri, innamorata pazza di quel Piero (fortunato e maledetto, pensava adesso Chico, con furore) e si era confidata a lui, senza riserve. Egli aveva fatto la parte del confidente con dignità, quasi con eroismo, soffocando, in se, fin l'ultima scintilla del rfran fuoco che l'aveva tanto tormentato. Adesso se lo sposasse il suo Piero, fosse felice, egli glielo augurava di cuore.. Arrivò a notte fatta, scese dalla macchina e trasse fuori là valigia che subito il domestico, aprendo la porta, gli tolse di mano. Gli vennero _ incontro, cinguettando; come in volo, la mamma e le zie di Elisabetta, tutte bionde, profumate, scollate, in abito fùngo, scintillanti di gioielli. — TI nostro caro Enrico, il nostro ragazzone!... Proprio a temi-, po ! Elisabetta la vedrai poi, sta vestendosi, jj Va a vestirti anche tu. La valigia è nella camera verde, in fondo al corridoio. Fa presto!... Nella camera verde Chico lottò valorosamente per domare la camicia dal petto insaldato, per infilarsi le scarpe lustre, chiudere il colletto duro e mettere uno smoking che gli era diventato leggermente stretto, e quella lotta durò tanto che fece poi appena in tempo a entrare nella sala da pranzo, e sedere a una tavola, dove, all'infuori dei padroni di casa non conosceva nessuno. Elisabetta, lunga, mobile, e splendente come una fiamma nel suo abito rosso, lo salutò con un sorriso particolare e un gesto della mano dove scintillava l'enorme brillante dell'anello del fidanzamento. Quel Piero non aveva fatto le cose a mezzo, pensò, con ammirazione e una punta d'invidia, Chico, e guardò il giovane, bruno di capelli e olivastro di pelle, che, seduto accanto alla fidanzata, si volgeva di qua e di là, come snodato, a sorridere e a fare cenni d'intesa. Uno strano disagio si era; nel frattempo, impadronito di Chico, ed egli non sapeva spiegarsene il perchè. Ingoiò le prime cucchiaiate di brodo con una fretta che gli bruciò la gola e sentendosi le fiamme salire alla testa, bevve un bicchier d'acqua con la furia di chi vuole spegnere un incendio. Perchè?... Che cosa aveva?... Poi si rese conto di quel malessere. Aveva capito che, l'anno passato, nelle sue confidenze, Elisabetta si era certo burlata di lui. Sì, perchè parlando di Piero, gli aveva detto più volte: — E' biondo.come un angelo!... Ha la carnagione lattea, gli occhi azzurri... E ora scopriva che Piero era bruno e scuro come uno spagnolo!... — E' sempre stato cobì, Piero ? — domandò, chinandosi verso la sua vicina, una dama attempata e arzilla che rideva a singhiozzi ad ogni momento e pareva intima della famiglia. — E' sempre stato così bruno, voglio dire? — Che Piero ? — fece la vicina, alzandogli in faccia uno sguardo stupito, e nascondendo la bocca con la salvietta, nell'attesa della nuova risatina. — Ma... Il fidanzato. — Luciano, vuol dire?... Ma certo, Luciano è sempre stato così. Fu dopo, ballando con Elisabetta, che Chico chiarì il mistero. — E Piero ? — chiese sorridendo con sforzo. Lei lo guardò di brutto, poi alzò le spalle: — Che ti viene in mente? La storia con Piero è finita da tanto ! _ Egli andò a bere, ma il dolce vino gli pareva amaro come il veleno. Perchè, pensava, non aveva tentato di soppiantarlo lui, Piero, visto che Luciana c'era tanto - facilmente riuscito?:.. Ella avrebbe potuto amare follemente lui, Chico, dopo Piero. E prima di Luciano o di Giacomo o di Felice. O di tanti altri. Scoppiò a ridere e qualcuno, lo guardo stupito. Allora posò il bicchiere e cheto cheto infilò il corridoio, entrò nella stanza verde, s'infilò il cappotto, prese valigia e cappello e sgusciò via, senza nemmeno dar la mancia al domestico, che gli aprì l'uscio, con l'aria scandalizzata. La macchina divorò la strada. Eran le undici, quando la mamma e Gonda, che stavano dicendo il rosario, se lo videro davanti ancora in abito da società, e l'aria tutta contenta di essere tornato a casa. Fu dal modo con cui egli sedette vicino a Gonda e l'obbligò, da prepotente come era, a tirarsi in là per fargli posto, che la mamma sentì la sua battaglia finalmente vinta. ndtFLdttlancsl'lieELmspiTCarola Prosperi qisgnted

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