Giacomo Grosso di Marziano Bernardi

Giacomo Grosso Un grave lutto per la pittura italiana Giacomo Grosso Giacomo Grosso è morto; un'ombra malinconica passa sulla pittura italiana contemporanea; un lutto grave scende sull'arte torinese di ieri e di oggi. Cosi impetuosa, prepotente, quasi,— oserei dire — invadente era stata fino a mesi fa, per cinquant'anni, la sua espressione pittorica; tanto vorace ed insaziabile la sua energia vitale nell'immergersi bramosamente fra gli aspetti più esteriori e facili del bel mondo visivo da lui. amato e goduto con quella sua indomabile passione della forma e del colore appariscente (pen- sate alle sue nature morte, ai suoi broccati e damaschi sfarzosi e 11, sulla tela, fruscianti, solidi al tatto, ai suoi mobili ricchi e dorati riprodotti cento vòlte dietro una figura di donna, - agli splendidi* e sontuosi còrpi femminili ch'egli non esitava a dipingere nudi, morbidi e' rosei con un candore rappresentativo . che lo salvava da ogni accusa di procacità) ; che questa realtà triste e irrevocabile addolora, si, ma soprattutto stupisce. Pare debba essere una sosta; non ci si risolve a riconoscerla una fine.' - Lui e il pubblicò 0 e i a o l l o d e e e i I l ) . . E' ancora esposta nel salone del Circolo degli Artisti l'ultima sua opera, un ritratto del maresciallo Badoglio eseguito quest'estate, uno studio un po' stanco e stento, coi segni già della lunga malattia, ma ancora vigorosamente sostenuto dal sostrato strutturale e disegnativo, mentre il colore ora stride ora s'affloscia, svuotato, diresti, di quell'antica intima forza ch'era il primo vanto dell'artista. Una lotta silenziosa e cupa questo quadro:, una lotta forse orgogliosamente taciuta, fra l'uomo che cedeva ed il pittore che voleva resistere. Ma quando si trattò di tracciare sul basso della tela la scritta dedicatoria, la mano si rifiutava inerte, e sembrano quei caratteri il compito penoso di un bimbo. La mano che aveva tanto narrato, tolto dalla natura generosa e> cedevole le apparenze più vistose, che aveva accarezzato col colore sulla tela i volti delle più belle donne d'Italia e meglio rivelato al popolo le figure di sovrani e di pontefici, di principi e e di condottieri, che aveva frugato nelle fattezze fisiche di un Davide Calandra, di un Leonardo Bietola, di un Giacomo Puccini, di un Lorenzo Delìeani i segreti della loro genialità — quella mano non riusciva più a scrivere poche parole. Miseria d'ogni umano finire; che però si fa più acre e desolante quando più intensi sono i contrasti fra una vitalità resa quotidianamente palese dagli stessi contatti di una data arte con il pubblico, e la fredda immobilità della morte. I suoi contatti col pubblico: ecco un bel capitolo della storia artistica italiana dal 1884 (anno della Cella delle pause) fin quasi ad oggi. Molti artisti — lo sappiamo — molti artisti che ritengono il successo popolare una menomazione della loro fiera.e ari stocratica solitudine spirituale — non concorderanno con noi. Quan do nel febbraio 1936 questo gior naie riunì nel suo salone quaran ta opere di Giacomo ; Grosso, il maggior complesso di pitture dell'artista piemontese che mai fosse stato presentato, e la mostra ebbe un successo grandioso, e in quindici giorni fra accese discussioni e vivaci polemiche fu visitata da circa centoventimila persone, vi fu chi gridò persino alla corruzione del gusto, ed accusò gli allestitori — in lettere scritte a La Stampa — d'aver coscientemente attentato ad una ventennale fatica di educazione artistica delle masse. Ma a parte il fatto della enorme popolarità in Torino di Giacomo Grosso, quel plebiscito di ammirazione o se non altro di curiosità andava spiegato anche come un gesto di reazione di un pubblico ormai stufo d'essere condotto nelle esposizioni a contemplare delle mere esercitazioni stilistiche, ormai desideroso di ritrovare la «rappresentazione» come fine concreto dell'arte e di riaver sotto gli occhi la manifestazione tangibile di un « soggetto », in vario modo e con vario grado di poten- mlttcecgmsstarqcveL za espresso, ma comunque definito, riconoscibile, controllabile — sia pure nelle sue deformazioni ed interpretazioni — su quella realtà oggettiva ch'è patrimonio universale e non soltanto individuale, colloquio e non soliloquio. Questo colloquio, appunto, costituisce il bel capitolo che dicevamo. Un colloquio durato ininterrotto più di mezzo secolo, cordiale, sostenuto, aperto, che lasciava soddisfatti da un lato l'artista, dall'altro l'osservatore, dà un lato il pittore, dall'altro il committente. Circostanza estrinseca all'arte ? o e i i Può essere; ma riscontrabile, comunque, in innumerevoli biografie d'artisti grandi e grandissimi, da Duccio a Canova, da Donatello a Tiepolo. Quella fiducia reciproca s'era stabilita subito: appena superata, cioè, la fase quasi sempre travagliata degli inizi ostacolati dalla povertà; che Giacomo Grosso, nato il 25 maggio 1860, era l'ultimo degli undici figli d'un falegname di Cambiano, ed anche per lui si ripetè, una vicenda comune a tanti esordi artistici: l'adolescenza grama, gli anni dell'Accademia Albertina umiliati da una dura vita di stenti e da una certa incomprensione del suo stesso maestro Gastaldi, la soffitta squallida, lo stomaco troppe volte vuoto, le Insegne per tabaccai e i ritrattini da fotografie eseguiti per cinque lire l'uno. Ma già fra 1' '81 e 1' '83 la carriera del pittore, ancora studente, si delineava sicura; già in quelli anni, condotto a Roma dal conte Panissera, egli conosceva i primi successi di ritrattista fra l'aristocrazia della capitale; e appena ventiquattrenne si affermava clamorosamente a Torino con la Cella delle pazze, acquistata all'esposizione dell' '84 dal conte di Sambuy per il Museo Civico. Undici anni dopo, quando già era stato a Parigi ad innamorarsi di Degas e di Bonnat e ad entusiasmarsi assai troppo di BastienLepage, Bonnat, Carolus-Duran e Gérome, e già aveva dipinto lo stupendo Ritratto del padre (1886), quelli della Sipnora Roppolo e della Signora Redazzi, e soprattutto il delizioso Ritratto in grigio (1894), conquistava senz'altro la celebrità alla Prima Biennale Veneziana col Supremo convegno, un quadro d'indiscutibile cattivo gusto (il cattivo gusto fineottocento, che quando ci si metteva d'impegno non aveva rivali), vincitore del « premiò del ■ pubblico » con 550 voti contro 180 dati alla Figlia di Jorio del Michetti, suscitatore di violente polemiche cui partecipò in sua difesa persino Fogazzaro, e da tempo distrutto da un incendio, ciò ch'è forse bene.anche pel suo autore. c. Il suo stile Ma, vittorie o sconfitte,. Giaco mo Grosso restò da allora il pittore facile, comprensibile, popolare. Dipingesse 1 ritratti della Signora Oitana o di Virginio Reiter, la Femme o le sue portentose'nature morte con fiori, funghi, pesci, frutti più veri del vero, troppo veri, terribilmente veri, ritraesse Conchita Supervia o Arturo Toscanini, il Quadmmoiro De Vecchi o Donna Virginia Agnelli, la Signora Gallo o l'Onorevole Olivetti, il suo stile vigoroso e spontaneo era ormai classificato in quella sua attitudine esclusivamente sensuale che poteva manifestarsi in una rara felicità di accordi cromatici o in una serie di squisite assonanze coloristiche, ora squillanti e festose, ora cadenzate e severe: dalla Nuda al ritratto della Signorina Bassetti, dal Paesaggio di neve della raccolta Musso' al mirabile ritratto del Pittore Scaglia; ed anche questa fedeltà dell'artista' al suo mondo sentimentale, ai suoi schemi rappresentativi, alla sua stessa tecnica, in un'era di mutamenti e di palinodie, di conversioni, di « ritorni », di '« maniere », dava al pubblico il senso della sicurezza, della continuità ' (perchè non dire anche della onestà?) d'una pittura che appariva ormai come una fluente forza naturale, come una limpida vena sorgiva. Se per tanti artisti la discussione s'imperniava sulla loro « intelligenza », per Giacomo Grosso, meglio che per qualunque altro, si doveva parla¬ re di « temperamento ». E che non potesse essere diversamente bastava guardare il Ritratto del padre, quello di Lorenzo Delleani o di Cesare Pascarélla o l'Autoritratto degli Ufllzi: impegni superbi, rabbiosi, di due o tre ore al più, pennellate fulminee eppu'r fermissime, d'una sapienza spettacolosa, d'una precisione raffigurativa inuguagliabile: il vero, furore creativo, anche nella placida e quasi indifferente parvenza del creatore, da cui può sorgere (e talvolta sorgeva) il capolavoro. Volti e caratteri, valori pittorici e valori psicologici facevano tutt'uno, si confondevano; l'artista, immedesimato nel suo soggetto, lo scrutava, lo intuiva, lo rendeva senza la minima sbavatura intellettualistica, con una virilità sorprendente di rilievo, con una sospesa concitazione interna che non escludeva eleganze- squisite e carezzevolmente morbide ( .Ritratto in grigio), con un senso plastico quasi sempre basato sul tono con una abilità di tocchi che in altri avrebbe potuto sembrare virtuosismo, e per lui non era che naturalezza. Impossibile immaginare Giacomo Grosso che esita, che dubita, che .insiste, che rifà, che ritorna sulla tela preso da uno di quei dubbi che sono il tormento di tanti artisti. Dubbi? O l'opera veniva di getto, o falliva con uguale spontaneità. La sua sensualità prepotente non avrebbe ammesso 11 controllo dell'autocritica. . I sòn mach 'n pitór»' e n a e e Ce lo ricordiamo nel nostro salone, due anni fa, mentre s'allestiva la sua mostra. Avremmo voluto talora azzardare un consiglio, una preferenza, un'esclusione. Guardava, crollava 11 capo, e con quella sua voce forte da sordo: «A va ben; a l'è bel». E lo guardavamo allora con ammirazione (vorremmo che si comprendesse il paradosso) per 1 suoi stessi errori di gusto'." Quanti ne com- . mise? Moltissimi. Ma era la sua forza il non saper esitare, il non conoscere il tarlo Insidioso delle sottigliezze Intellettualistiche per cui è naufragata tanta nostra pittura di questi trent'anni, ed anche 'della migliore. Agiva d'impeto, entusiasmato tanto d'un bel nudo di donna quanto d'un bel pezzo di broccato antico, di cui si innamorava sensualmente con uguale Intensità, tanto da porli su .un medesimo piano di godimento estetico e di resa pittorica; il Suo era l'istinto del pittore nato, che vede la natura anzitutto sotto specie di colore, e. nella cosa da dipingere soltanto l'oggetto corno forma in sé perfetta, e non 11 suo significato allusivo, ò la sua funzione d'equilibrio e di rapporto, o il suo valore parziale mà integrativo d'una armonia d'insieme. Era l'anti-intellettuale per eccellenza, cui il mondo appariva un festino splendido, un convito fastoso: bei volti, carni tornite, stoffe sontuose, ambienti ricchi, forme attraenti. Semplici predilezioni estranea forse al fatto artistico, come lo sono le altre per lo squallore, la miseria e la bruttezza. Ma, vivaddio, da queste predilezioni talvolta si era ripagati di tanto grigiore della pittura'attuale. E il pubblico, che anche quando ha fame (e forse per necessità di contrasto) ha sempre preferito le vicende del principi a quelle del miserabili, lo . amava anche per questo. Sapremmo completamente dargli torto? Le ricerche più sottili di molti giovanik la loro esaltazione del puri valori pittorici e del soli elementi decorativi, egli non le condannava, come spesso ai è detto e a torto ripetuto. Il suo occhio espertissimo sapeva scorgere la buona e seria pittura anche là dove molti sedicenti « avanguardisti» restavano, perplessi. Soltanto, a quelle ricerche rimaneva estraneo. Pur. rispettandole (forse con un po' di malinconia) come necessità nuove, capiva che appartenevano ad un mondo estetico diverso dal suo: 11 suo mondo di donne belle, di nature morte opulente, di ambienti capziosi e doviziosi. Ce lo rammentiamo un giorno alla, mostra di un pittore intelligentissimo, maestro di giovani giustamente ammirato. Girò, guardò, sostò a lungo davanti al quadri più discussi e più importanti; poi sedette in silenzio su. una poltrona, perchè era già molto vecchio e stanco. Interrogato pensò un istante; poi disse: «A l'è n'artìsta, un grand artista. Mi... mi i sòn mach 'n pitór! ». E' un grande artista; lo sono soltanto un pittore. In* questa autodefinizione modesta ed orgogliosa insieme è. tutta l'opera, tutta la critica di Giacomo Grosso. , Marziano Bernardi UNA DELLE ULTIME FOTOGRAFIE

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