ROOSEVELT e il capitalismo di Amerigo Ruggiero

ROOSEVELT e il capitalismo I»m cariai americana ROOSEVELT e il capitalismo L'errore delle mezze misure e il tentativo di rivincita del denaro — Un triste inverno »i Nuova spinta a sinistra della Casa Bianca P NEW YORK, dicembre. Non è facile prevedere quale sarà la direzione che prenderà la politica di Roosevelt dopo il sopraggiungere della nuova crisi economica che minaccia di superare in estensione e profondità quella stessa iniziatasi ne' 1929. La situazione in cui egli si trova non è bella : deve assistere al fallimento quasi completo del « new deal ». Il quale, liberato da tutt'i fronzoli e le incrostazioni' teoriche cotn cui si era voluto complicarlo e farlo apparire sotto l'aspetto seducente di una nuova dottrina eco nemica, consisteva semplicemente in questo: il governo doveva avanzare il denaro, una enorme quantità di denaro, per mettere al lavoro milioni di persone che l'industria inon era più capace d'impiegare. I miliardi messi fuori dal governo produssero una prosperità fittizia che molta, troppa gente in America scambiò per una ripresa normale della produzione e degli affari. E fin che il bel giuoco durò le cose andarono bene. Il governo stesso s'era fatta l'illusione di aver rimesso a sesto la macchina economica e che dg ora in poi questa poteva procedere con le sole sue forze. La Amministrazione sarebbe venuta ritirando man mano il suo appoggio senza; produrre scosse repentine e il passaggio dell'economia sovvenzionata alla economia libera sarebbe avvenuto naturalmente. Il pubblico non se ne sarebbe neppure accorto. Ma mon appena il governo ha ritirato i primi aiuti e s'è trincerato dietro un programma di economie l'edificio che sembrava solido ed imponente è crollato come un castello di carte. La situazione s'è profilata quale realmente era nella sua nuda realtà: ripresa vera e propria non ce n'era mai stata, quella che passava per tale era dovuta all'azione del governo che attraverso organizzazioni varie aveva assunto in servizio l'immenso inumerò di disoccupati i quali, costretti a battere il marciapiede, sarebbero divenuti in breve tempo un grave pericolo sociale. In sostanza, il «new deal» non aveva apportato mutamenti sostanziali alla struttura economica americana che rimaneva a fondo spietatamente individualista. Tutti gli altri amminicoli di riduzione di ore di lavoro, fissazione dei salari minimi, di contratti collettivi ai quali s'era data importanza eccessiva non modificavano in maniera essenziale la natura stessa del grande capitalismo. Il quale resta quello che è, riuscendo a neutralizzare in un modo o in un altro tutte le misure escogitate per limitarne la potenza, l'indipendenza e il campo d'azione. Quando tutta l'economia e con essa la vita stessa di una grande nazione è basata sul funzionamento del grande capitalismo, diventa pericoloso l'ostacolarlo nel suo procedere o irritarlo con punture di spillo. Non è il governo* cpm'esso s'illude, a dare delle lezioni al capitalismo, è il capitalismo a infliggerle, e severe, al governo. Spesso non esercitando altra azione ostile che quella di ritirarsi nel suo guscio come, la lumaca, attualido la resistenza passiva contro i provvedimenti governativi o incagliando la produzione con l'immobilizzare o infossare addirittura il capitale o, in fine, mettendo in esecuzione la minaccia tante volte fatta balenare da Ford di chiudere gli stabilimenti per un periodo indeterminato. E in questo caso non sono i Ford, i Du Pont e i Morgan che debbono venire a j.,.T ,1 -~i . - n patti con il Governo; è 11 Governo che deve scendere a patti con i grandi magnati e riportarne la peggio. Ammenocchè... ammenócche non si affronti il problema con altri sistemi, ma soprattutto con altra mentalità. Mentalità che non è quella di Roosevelt la quale rimane essenzialmente capitalista e borghese. Di fronte alla immane catastrofe-dì un sistema economico che,non è più capace di funzionare, Roosevelt non ha saputo escogitare altro mezzo per arginarla che quello di moralizzare il capitale. Moralizzarlo per indurlo a cpoperare. In tutto questo suo arrabattarsi contro i trusta e la strapotenza del grande capitalismo si cela l'idea nostalgica di un ritorno dell'America all'era anteriore al formarsi delle immense fortune monopolistiche, all'America della libera iniziativa e della possibilità per tutti di formarsi una modesta ricchezza. E' l'idea che tuttora rende malinconici una gran quantità di americani i quali non si sono formati una idea precisa delle tendenze e delle necessità economiche e politiche dell'epoca nostra. In altri termini Roosevelt non ha trovato ancora il coraggio, ed è-dubbio se lo troverà mai, di far intendere ai colossi della finanza e dell'industria che la loro epo: ca è tramontata come quella dei dinosauri. E ch'essi possono ancora continuare ad esistere per qualche tempo solo a patto di sottomettersi completamente alla linea di condotta che impone lo Stato. In caso contrario lo Stato si troverà nelle necessita di far funzionare per il bene di tutti la colossale organizzazione produttrice di ricchezza che pochi detengono nelle loro mani a proprio esclusivo vantaggio. Invece di far questo egli ha cercato di conciliarselo il capitale, promettendo di non essere troppo severo. In fondo rimane I lidea di corteggiare il capitale perchè esso è sempre il dominatore supremo della Nazione. Si riconosce che la sua tirannia è insopportabile, ch'è dominato dall'egoismo e dalla limitatezza di vedute, ma, allo stesso tempo, che rimane il padrone incontrastato della vita economica e politica del Paese.Si devono a queste concezioni le sterzate a destra che il Presidente ha impresso da qualche tempo in qua alla sua politica, sterzate che hanno meravigliato e disilluso quanti avevano creduto ch'egli avrebbe proceduto senza esitazioni e senza paure, é che il « new deal » non sarebbe stato che il preludio di mutamenti ben più radicali e innovatori di tutto il sistema economico nazionale. Si deve a questa paura di andare avanti e di affrontare il problema in maniera totalitaria che ha fatto arretrare il Presidente di fronte alla minaccia capitalistica. Minaccia? Bisogna intendersi. Il capitalismo non ha fatto sfilare le sue legioni sotto la Casa Bianca. E' bastato chesi mostrasse timido ed esitante a slacciare i cordoni della borsa. Tale azione è stata accompagnata da una propaganda assai abile: come possono i capitalisti e gl'industriali gettarsi a capofitto e con animo aperto in nuove imprese se da un lato si vedono angariati dai provvedimenti governativi e dall'altro terrorizzati dalle imposizioni e le pretese delle unioni ? Non sarebbe ora di far macchina indietro e d'infondere un po' di fiducia negli'affari? Lo «slogan», la parola d'ordine del « business confidence » ha fatto presa ed è quella che ha influito di recente sulla politica governativa. Occorreva invece far comprendere ai magnati della finanza e dell'industria quello che, con una frase tipica pronunziata in una recente intervista, ha fatto intendere l'organizzatore John Lewis : « se le sessanta famiglie che dominano l'America si rifiutano di far funzionare questo sistema, cento milioni di americani lo faranno ». Pare però che l'arresto governativo mirante a far ritornare la « business confidence » non abbia giovato a nulla e si prepara uno dei più tristi inverai che si siano avuti in America dal 1929 a questa parte. Ragione -per cui tutto indica che Roosevelt, come vedremo» nella corrispondenza ventura, sia determinato ad inclinare di nuovo verso sinistra. Amerigo Ruggiero

Persone citate: John Lewis, Pont, Roosevelt

Luoghi citati: America, New York