CHE COSA CERCHIAMO IN UN CAPOLAVORO?

CHE COSA CERCHIAMO IN UN CAPOLAVORO? Quando Parte diventa denaro CHE COSA CERCHIAMO IN UN CAPOLAVORO? Una breve esposizione degli aspetti e dei problemi del mercato artistico quale abbiamo abbozzato nei precedenti articoli non è stata forse inutile per ricordare al pubblico di solito ignaro di quegli aspetti e di quei problemi le molteplici possibilità di raggiri e di abbagli che si celano nel commercio antiquario. Malafede ed onestà, astuzia e candore, specula¬ zione e vanità, facilità eccessiva di attribuzioni ed .identificazioni, trucchi abilissimi e frodi ingegnose, e persino l'incertezza che inevitabilmente regna anche nel disinteressato campò della cultura (citammo in proposito alcuni esempi tipici) perchè ogni apparizione di bellezza è vista e intesa secondo un proprio e personale modo di esercitar la critica e cioè di capire la poesia, sono — l'abbia jho detto — le ombre e le luci di quel bizzarro e forse un po' satanico inondo nel quale l'arte diventa denaro ed i capolavori passano di mano in mano-con quota-, zioni e valutazioni diverse per opera di alcuni uomini o scaltri o sapienti e talvolta la truffa tende le sue reti subdole, ne avvolge gli ingenui, si beffa dei troppo furbi, finché presto o tardi lo scandalo esplode clamoroso. Invece di circoscrivere setnplicemente un panorama, di per sè già abbastanza pittoresco, avremmo potuto condurre una vera e propria « inchiesta » specificando anche maggiormente — a scopo « sensazionale » — nomi, fatti, episodi di cui purtroppo ci sarebbero state prodighe antiche e recenti cronache giudiziarie. Avremmo suscitato polemiche interminabili, repliche e richieste di smentite, un vespaio di pettegolezzi a non più finire. Già tutto il mondo litiga, ed essenziale è che se mai là discussione si elevi dalla miseria di realtà meschine ad un piano teorico ed ideale, e che dalla disamina di una situazione in cui regnano interessi, egoismi, vanità contingenti si possa giungere ad una verità serena ed immanente. Anche da certe malinconiche favole bisogna ad un dato momento saper trarre « la morale »; e «la morale » di quanto finora abbiamo trattato è questa: che cosa cerchiamo in un capolavoto ? Ricordiamo Dossena. Vi cerchiamo un nome immortale, la suggestione che sorge davanti alle pietre miliari del cammino dell'ingegno umano? oppure l'ambizione soddisfatta di un possesso ch'è un titolo di nobiltà e insieme il segno di una potenza finanziaria cui infiniti uomini si umiliano ? o più semplicemente un supremo godimento estetico reso anche più pieno dalla certezza che quella è una delle sommità della espressione poetica? o viceversa non vi scorgiamo che un capitale solidificato in un po' di pittura od un po' di scultura, le quali entrambe domani potranno essere oggetto di un baratto fortunato o di un profitto eccezionale? Chiunque sia stato al Louvre avrà notato il fanatismo con cui la gente si precipita a guardar la Gioconda, la stessa gente ch'è sfilata in fret- ta, distratta davanti alla Vittoria di Samotracia. Quanto v'è dunque di superstizioso e di mitico nella ammirazione per un'opera d'arte? Quali parole definitive si posson dire dell'uomo che contempla la bellezza, se intere generazioni passarono lasciando nell'ombra Giotto o Giorgione? Questi interrogativi che riassumono quanto abbiamo esposto in¬ torno alla psicologia del mercato artistico investono altresì in pieno il vecchio problema della copia e della falsificazione in arte. Tutti ricordano il « caso » Dossena. Sculture acquistate a carissimo prezzo, ammiratissime in musei e collezioni che d'un colpo, rivelatasi improvvisamente la frode, non soltanto persero ogni valore commerciale ma, portate alle stelle ancora il giorno prima, si ridussero ad essere considerate come semplici « curiosità », • come esempi di abilissima misti/lcazione. Eppure le avevano esaminate critici d'arte, esperti, direttori di pubbliche gallerie; e le opere, come realtà estetica, rimanevan le medesime, sia prima che dopo la scoperta dell'inganno. Fuor d'ogni truffa, e specie oggi che l'ambizione delle «scoperte» è diventata una mania, una febbre, ogni giorno avviene l'opposto, solo che qualche storico dell'arte o qualche critico volonteroso ci metta un po' d'impegno: quadri e statue che se ne stavano nell'ombra, paghi della loro attribuzione « di scuola », di un loro nome modesto, d'un tratto balzano alla celebrità per un battesimo prima insospettato. Il discepolo, il collaboratore diventa maestro; o viceversa è l'antico e veneratissimo maestro a ritornarsene con quel dipinto o con quella scultura cheto cheto nei ranghi degli scolari. Un cartellino che si sposta, una correzione al catalogo, e tutto è fatto: viaggi d'andata e ritorno dal Paradiso al Purgatorio. Ma allora cos'è la bellezza ? Una mostra di falsi Recentemente a Vienna il dott. Leo Planiscig ha allestito in alcune sale del Kunsthistorischen Museum del quale egli è uno dei dirottoti, una mostra di falsi artistici: argenterie ed oreficerie, sculturette decorative, piccoli bronzi. Parlando di questa originale esposizione scriveva Giuseppe Delogu suli'Emporium: « Al cospetto di questi oggetti, delle fotografie di altri assenti celebri per le truffe e gli scandali sollevati, tutti i dubbi riaffiorano e si riagitano e si dibattono... Il problema che sembra posto come il più grave e grande, quello che sta alla radice di tutte le cose, è il problema estetico, cioè filosofico; ma a pensarlo un momento esso non esiste. TI problema spirituale dell'opera d'arte è al di là di queste questioni. L'opera d'arte ha un crisma inconfondibile... E' un segno ineffabile dell'opera d'arte quello che ce la fa proclamar tale, che sottrae ed eleva l'opera al di sopra e ben lon tono da quelle incriminazioni. Se questo soffio di creazione in un pezzo qualunque è raggiunto, se il fatto emotivo e lirico è fermato, l'opera d'arte, copia o non copia, da chiunque fatta, è là. Qui il problema del falso e quello della copia si identificano. Lo stesso creatore non può copiare se stesso; è il caso del celebre Bernini e del doppio ritratto del cardinal Borghese; l'originale respira nel marmo; la seconda edizione più polita e raffinata è intontita. Ma un artista fa di una copia (è questo un falso?) un lavoro di creazione nuova ed originale: Tiziano da Raffaello, .Rubens da Caravaggio o dai veneti, e le copie di Delacroix, di Van Gogh, ecc.; è in altri aspetti il problema delle traduzioni. Il problema estetico, teorico, filosofico, dunque non esiste, e chi ne discorre a lungo lo pone male », Priorità dell'invenzione Non esiste? In verità ci sembra una scappatoia un po' spiccia. Le sculture quattrocentesche di Dossena, allora, comprate e lodate per bellissime, perchè diventarono in ventiquattr'ore materia vile, oggetto di sdegno? In un grande museo d'Europa c'è un marmo del più puro Rinascimento toscano sul ! quale non v'è dubbio di autenticità. Questo marmo lo -scolpì in 'giovinezza, per una semplice affermazione di bravura, un insigne scultore italiano tuttora vivente (e da lui avemmo di viva voce il roc¬ conto del fatto) che poi lo abbandonò a un acquirente senza preoccuparsi di dove sarebbe andato a finire. Ora è catalogato e consacrato dalla stessa austerità di quel museo. Poniamo che un giorno l'autore si decida a svelare la piccola mistificazione. Che cosa si ammirerà ancora in quel marmo? La creazione o soltanto un'abilità manuale, un'assimilazione di stile che di per sè non costituisce una realtà poetica? L'emozione estetica ch'esso oggi può procurare non si ridurrà ad un pettegolezzo intellettuale ? Non solo. Tutti sanno che metà delle statue romane son copie di statue greche, e che anzi, per mezzo loro, noi possiamo seguire l'evoluzione della scultura greca. Ma contemplandole ed ammirandole possiamo noi astrarci dal fatto « copia » ? non pensare con rimpianto all'originale perduto che, qualora venisse ritrovato, tosto relegherebbe il duplicato al suo rango di semplice riproduzione? Si afferma che un vero artista fa di qualunque copia un lavoro di creazione nuova e originale. Bi, quando per lui il modello è il pretesto di un'interpretazione personale o quando la puntualità dell'analisi del maestro ch'egli vuole studiare non gli vieta qualche sua propria iniziativa fantastica. Ma chi ha visto a Mantova, alla mo stra iconografica dei Gonzaga, la copia eseguita da Rubens verso il 1605 del ritratto di Isabella d'Este fatto quasi un secolo prima da Tiziano, ha potuto notare che quel quadro poco o nulla ha del Rubens che è grande appunto perchè non è Tiziano; specie se 10 confrontava con la grande tela, 11 presso, dipinta dal fiammingo pel- duca Vincenzo I. Dinanzi a questa ci sentivamo rapiti; dinanzi all'altro restavamo freddi, prò prio perchè, malgrado il virtuo sismo pittorico, sapevamo trattarsi d'una copia. E vogliamo spingerci fino al paradosso; proponendo l'esempio di un capolavoro supremo e celeberrimo, la Nascita di Venere di Botticelli. 8e all'improvviso, da non so quale archivio, venisse fuori un documento che in modo irrefutabile dimostrasse che la Venere degli T7//izi non è l'originale, ma la copia eseguita dallo stesso Botti celli di un originale poi andato perduto in un incendio, continuerebbe quella divina pittura a destare il fascino con cui oggi ci soggioga? Abbandonandoci ancora una volta al suo incanto, riusciremmo a soffocare in noi il rammarico di non trovarci in presenza della creazione autentica, dell' idea prima, dell' ispirazione vergine? Nulla muterebbe della bellezza del quadro; ma mutato sarebbe II nostro sentimento con la nostra suggestione. Come per gli altri amori Ecco perchè, si tratti dei falsi che abbondano nel mercato artistico o si tratti delle copie la cui identificazione ancora affatica l'indagine degli eruditi, il problema estetico dell'originalità, della falsificazione, della riproduzione dell'opera d'arte è un problema che si riconnette con una verità morale. La bellezza come entità astratta sta a sè: non ha bisogno nè di date, nè di battesimi, nè di certezze che siano al di fuori di un risultato raggiunto. Ma quando questa bellezza si pone in rapporto alla venerazione degli uomini, allora, come qualsiasi sentimento umano, ha ha essere valutata secondo una misura morale. L'amore dell'arte è identico ad ogni amore terreno: non può e non deve subire menomazioni; altrimenti, poco o molto, scade. La sua base è la schiettezza, la limpidità, insomma, diciamo pure in senso lato l'onestà. Basta un dubbio per segnare una fine, od almeno una diminuzione. L'opera d'arte come la creatura umana rimangono le medesime: siamo noi che mutiamo, unicamente perchè non possiamo più credere, perchè è venuto meno quel senso di certezza cui tutti gli uomini, inconsciamente se pure vanamente, aspirano. Non è la bellezza d'un capolavoro che muta mutando la sua attribuzione o con la scoperta di una sua non autenticità. E' semplicemente la stima, la fede che noi avevamo in quel capolavoro. Ma ciò basta (e per questo il problema estetico esiste in quanto è un problema morale) a distruggere quanto pri ma esso ci aveva dato. Marziano Bernardi Questi bassorilievi, dei quali l'uno vorrebbe essere un duplice ritratto In marmo imitante lo stile dei Lombardi e l'altro un profilo di stile veneziano del sec. XVI, comparvero alla mostra di Vienna allestita nel Museo di Storia dell'Arte. Sono abilissime falsificazioni eseguite nell'800, che però trassero In inganno eaperti collezionisti. Scoperta la frode le opere non mutavano come realtà estetica: mutava il sentimento che esse negli uomini destavano.

Luoghi citati: Caravaggio, Dossena, Europa, Mantova, Vienna