La Mostra della Montagna vista da uno sportivo di Vittorio Varale

La Mostra della Montagna vista da uno sportivo La Mostra della Montagna vista da uno sportivo Ai tempi, un po' lontani, che gli inglesi avevano qualcosa da insegnarci, uno di loro disse che le Alpi dovevano considerarsi il più vasto campo sportivo d'Europa. Era l'epoca che la corsa per la conquista delle vette dominava le aspirazioni dei ricchi stranieri, i quali, assoldando le guide, davvero portarono un profondo rivolgimento nel modo d'intendere l'alpinismo — fino allora animato essenzialmente dallo scopo esplorativo. Dalla conquista della vetta in sè, al raggiungimento di questa, vetta per altre «vie » più difficili e azzardate della « normale » è breve il passo — si fa per dire che era fatale che così avvenisse, appunto dai paesi del nord muovendo quell'aspirazione a compiere gesti e atti sportivi poi destinati a diffondersi nella misura che si sa. Curiosità soddisfatte Sorto l'alpinismo sportivo — che nulta''Yihnega di quello classicamente inteso, ma che rappresenta nullameno un progresso atletico e spirituale indiscutibile —, è ovvio che nascesse un nuovo bisogno, più che una moda: quello della tecnica, e quello del determinismo storico. Sono parole, forse paroloni questi, ma è pur necessàrio accennarvi, se si vuole intèndere, ed apprezzare per quel che si conviene, gli scopi degli ordinatori della Mostra della Montagna per soddisfare, alla buon'ora!, la curiosità e la sete di conoscenza (e di riconoscenza) degli spettatori, e di quanti sportivi vorranno essere fra questi. E' appunto da sportivo, cioè méssomi in coda — oh, molto in coda — al corteo delle autorità che ieri ha inaugurato la mostra nei vasti locali sotterranei della nuova via Roma, che ho fatto anch'io la mia visita, gli occhi attenti e intenti a cogliere quanto di bèllo e di piacevole fosse offerto ad essi, e l'animo pronto a interessarsi alla documentazione sia storica che tecnica — che m'era stata detta abbondante e sceltissima. Devo dire, per saltare di colpo alla conclusione d'obbligo, devo dire che dalla Mostra si esce soddisfatti f Provatevi anche voi a compiere lo stesso giro che ho fatto io; dando, sì, l'importanza che si meritano, ai pannelli ed ai fotomontaggi di sciatori in azione giù dalle discese classiche del Sestriere e di Cervinia o di baldi alpini e di vigorosi artiglieri in atto di scalare, armata mano, canaloni e qhiacciai; ma appena avvistato qualcosa di veramente, di essenzialmente alpinistico, sùbito mettere il freno a' propri passi — e fermarsi dicendo: — Qui c'è qualcosa di buono. Il buono c'è, davvero, e non è la colonna delle « pietre miliari » a proposito delle quali mantengo le riserve fatte precedentemente, sull'« errore storico » del Campanile Basso aggiungendo la segnalazione di quegli altri che hanno nome: mancanza d'una moderna salica su ghiaccio (che avreobe potuto essere la parete nord, della Dent d'Herens), scambio fra parete NorH C. Grande e C. Ovest di Lavaredo la prima rappresentando il sigillo, di un'epoca — non è la insufficienza e la modestia di quella ricostruzione storica che possono predisporre l'animo a diffidenza o a fastidio: altro c'è, di attuale di vivo di utile, che di colpo richiama l'attenzione dello sportivo e gli parla il linguaggio della chiarezza, della praticità e della documentazione così caro al nostro orecchio di sportivi, nemico della retorica discorsiva e dell'approssimazione degli empirici. Modelli quasi viventi Basta gettare lo sguardo a sinistra, appena entraci nella sala occupata dalle previdenze e dalle provvidenze della Scuola Militare di Alpinismo di Aosta (permeata, mi dicono, di spirito sportivo-agonistico fin nelle pedule de" suoi istruttori guide professionisti o « accademici ») per convincersi della comunicabilità che sùbito viene a crearsi fra l'oggetto esposto e il visitatore, dico fra i modelli degli arrampicatori in azione e il profano — se non è l'alpinista mediocre che ancora ha da imparare come si sale « alla Diilfer» lungo un'impercettibile fessura scavata nella roccia verticale. E' una serie di modelli in legno scolpiti da uno specialista della Val Gardena — quindi competente per atavismo, — che occupa tutta una parete; al termine della quale non ci sarà più visitatore, certo, che ripeterà la tradizionale domanda: « Come fate a buttare la corda? » rivolto agli uomini straordinari, oh ma. non tanto straordinari!, che sanno arrampicarsi sulle placche levigate delle Occidentali o lungo i diedri appena bitorzoluti delle Dolomiti. La progressione dell'azione degli arrampicatori è qui così stupendamente e fedelmente ritratta, e quegli omini piccolini appiccicati sulla roccia rievocano con tanta potenza la ■ realtà, che ieri, solo se mi fossi assorto un po' di più a guardare, certo mi sarebbe parso di ' riudire il soffio rauco del capocordata quando supera lo strapiombo del Camino Adang (riprodotto) o il fruscio della corda lungo il pantalone di velluto a costa grossa quando si scende net vuoto da una delle tante torri dei nostro benedetto Trentino (anonimamente, ma torno a dire fedelmente riprodotte). Non vi saranno più ignari, dunque; e come conoscenza vuol dire comprensione e stima, sta a vedere che si arriverà al miracolo: quello che gli arrampicatori non li chiameranno più acrobati — che suona tanto male, ed è cosi lontano dalla verità. Certo, che anche a vedere soltanto 'sti modelli in formato da mostra un «oh!» di stupore esce dalla bocca di tanti cristiani, giustamente meravigliati che giovanotti rispettabili sotto ogni punto di vista vadano alla domenica a cimentarsi in queste deliziosissime mattane; qualcuno ne avevo, di spettatori avidissimi di sapere, a fianco a me mentre rivedevo il mio caro Còmici (somigliantissimo seppur ridotto a quattro centimetri d'altezza) impegnato nel classico superamento del tetto, che non finivano più dall'esprimere la loro sorpresa. Eh, sì, questi atleti di cui qualche volta leggete il nome nella breve notiziola d'un giornale; compiono davvero ardimenti di questo genere — che lasciano a distanza astronomica le pur valide e onestissime prodezze dei pionieri; ma è proprio una colpa se la gioventù attuale, animata dagli stimoli qui tante volte descritti e sviscerati, disdegna le vie traverse per giungere alle vette e va alla ricerca delle «direttissime » che impegnano fino al parossismo e per più giornate le forze spirituali e fisiche degli arrampicatori? Arrampicatori su ghiaccio Se il tempo, Io spazio e le palanche non avessero fatto difetto agli ordinatori della sezione sportiva, certo che v'avrebbero presentato anche un pezzo di ghiacciaio, anziché un fotomontaggio (del resto di vaste dimensioni) dal quale appare la profonda differenza fra l'uso del ramponi una volta per traversare, o risalire, pendii ghiacciati di normale inclinazione e presentemente per assalire addirittura gli strapiombi — e passare, oltre. Forse è stato per la fretta di approntare ogni cosa pel giorno e l'ora fissata; adesso che n'avranno il tempo, sarà bene che mettano i nomi ed acconce didascalie esplicative sotto quegli arrampicatori da ghiaccio, uno dei quali, quello abbrancato alla parete nella posa più assurda e disperata è nient'altro che Toni Bchmidtt, vincitore di pareti Nord a serie. Le autorità die hanno dato il sigillo dell' inaugurazione erano già lontane; s'erano smorzate le musiche valligiano che, per creare l'ambiente montanino, avevano suonato a perdifiato per più di un'ora) eppure qualche giovanetto ancora indugiava davanti alle vaste pareti della mostra, lo sgiiarào vagante su quelle immagini tentatrici. Uno richiamò la mia attenzione, perchè di colpo lo vidi affrettarsi, quasi di corsa, verso un salone semideserto, sbarrato in fondo da una chiusura di picche. C'era un uomo, laggiù, ap piccicato a metà di quella parete — e due corde, che lo dngevano alla vita, penzolano in già trattenute chissà da chi. — Afa quelli stanno arrampicando! Utilità di questa scuola Certo; ed èquesta la novità della mostra; la sua inserzione nella vita; il suo avvidnamento nella realtà. Oh, dio: so bene che i guardiani della tradizione a questo spettacolo torceranno, esterrefatti, gli sguardi; ma dappoiché tanto olio di ridno hanno ingoiato dai giorni che comindammo a intonare la conosciutissima musica che si sa, boccone amaro più o meno non conta più, ormai, nevvero? Dunque ci sono gli annunciati Evaristo Croux ed Attilio Chenoz, che per diletto proprio ed insegnamento del colto ed inclita, fanno esibizioni di scalata sulle lastre di granito appoggiate, ammucchiate, elevate a foggia di parete. Perchè negare l'utilità di queste prove — anche se l'ambiente è tutfaltro di quello nobile e silenzioso dell'alta montagna? L'intendimento sportivo è, in questo caso, eminentemente didattico: ieri facevano soltanto delle esibizioni, ma dategli degli allièvi — flfittsfo quei giovanetti che dal basso se li mangiavano con gli occhi, sognando, chissà, di trovarsi alle prese con la « fissure Mummery » o col «camino Zsgìmondy» che sono gli obbligatori esami avanti di ■ passare alle superiori classi di Diilfer, di Adolfo Rey, di Còmid e di Carlesso — e quei giovanetti apprenderanno nelle migliori condizioni come si fa ad arrampicare, a forza di dita e di polsi e di caviglie, un moschettone fra i denti e lo spirilo sgombro dalla preoccupazione della caduta. Trasportateli, poscia, sul terreno reale della lotta e della conquista: l'insegnamento della palestra allora si affermerà alla luce del sole — e quel po' di spettacolare, vorrei dire d'istrionistico, che i « puri della montagna » vedono in questo roedòdromo come una profanazione, va là che non sarà da sputard sopra, ma sarà benedetto in quanto ha servito a far superare un passaggio diffidle, a salvare, forse, una vita. Sarei stato tutta la sera, a guardarle all'opera le due guide di Courmayeur; mica ch'io sia in grado, oh mai più!, di far come loro, ma avrei voluto avere qualche anno di meno e un po' più di agilità nelle membra, e mi sarei tolto il cappotto. Ci penserà, certo, qualche animoso novizio onde l'alpinismo torinese è ricco, a pròvarvicisi nei giorni è nelle sere che la mostra rimarrà aperta: mica per la platea, si sa, ma per sè, per imparare, per migliorarsi, per accrescere le file dd valorosi che han tanto bisogno d'infittirsi perchè — a dirvèla in un orecchio — sono scorsine parecchio, in confronto agli stranieri. Mi hanno detto che a dare,-lezioni verranno anche Còmid, anche Cassin,. come dire i maestri dd maestri: scommetto che quella sera, mischiati in mezzo alla folla che fa «oh!», ci saranno anche i cari vecchietti brontoloni che affermano che queste son -profanazioni, ma in cuor loro certo diranno: « Che bravi, che bravi... », fieri dell'italianità di cotali campioni. Magari, dopo che Emilio o Riccardo saranno d'un balzo scesi sulla corda facendo rimbombare l'impiantito, andranno a stringergli la mano. Vittorio Varale LE SUCCESSIVE FASI DEL SUPERAMENTO D'UN TETTO, NEL MODELLINO DELLA SCUOLA D'ALPINISMO D'AOSTA (arrampicatore E. Comici).

Persone citate: Adolfo Rey, Attilio Chenoz, Carlesso, Cassin, Dent, Evaristo Croux, Toni Bchmidtt

Luoghi citati: Aosta, Courmayeur, Europa, Sestriere, Trentino