Dal cerebrale al visivo

Dal cerebrale al visivo Dal cerebrale al visivo Siamo in tanti, oramai, a questo mondo, che siamo tutti divenuti un poco bambini, perchè la massa è sempre' infantile. Oh bella, non c'era altrettanta gente, anche prima? No, moltissimo di meno numericamente, come cifre totali, e sopratutto, ancora meno gente che contasse. La pubblica opinione e il pubblico stesso, erano formati di poche migliaia di persone, sempre le medésime, quelle che in francese si definivano « la corte e la città », ossia, in austriacante italiano, a il colto pubblico e l'inclita guarnigione ». Non dico che nascessero intelligenti, ma finivano omogenei. A furia di esclusioni, immissioni e selezioni ; a furia di provare e riprovare, vedere e rivedere, ascoltare discutere e affiatarsi; con tanto lunga esperienza, così larga possibilità di confronti, e tanta responsabilità di scelta, per stupidi che fossero in origine, bisognava pure ohe accumulassero un'esperienza e affinassero una coltura. Bisognava pure che ragionassero i loro gusti, disgusti e idee generali, formando atavicamente e socialmente una viva e continuativa tradizione critica. Così si sapeva — voglio dire, che l'artista della penna e del pennello sapeva — come era composto esattamente il suo pubblico, a chi voleva piacere o dispiacere, chi sedurre e chi violentare, quali tendenze carezzare e quali storture contraddire, o quali vizii castigare; e quali suoi doni sviluppare, quali mezzi porre in opera per conseguire, quel preciso, premeditato intento. Si svolgeva una corrente di mutua comprensione fra la persona dell'artista, • un pubblico composto di persone, non tutte grandi, ma tutte adulte. Oggi, stampa, viaggi, esposizioni, fotografia, cinemato- frafia, giornale, radio e sport anno allargato a dismisura — letteralmente, senza confini nè limiti di misura — questo pubblico. Non siamo più persone, ma una massa, casuale, diversa e confusa, che di volta in volta ondeggia e muta composizione, rimpicciolendo e annullando l'individuo di tanto, di quanto Io moltiplica nejla sua psicologia collettiva, disattenta e puerile. Oltre a ciò, si realizza il paradosso interamente nuovo, . anzi inimaginabile sino a pochi decenni or sono, della radio e del cinema : veri e propri spettacoli destinati a milioni di spettatori presenti e assenti, isolati e uniti, invisibili, le cui reazioni non si vedono e non si sentono,- ma vanno prevedute, presentite e indovinate. L'alto tenore tecnico della vita moderna, la perfezione dell'ausilio quotidiano con il quale la macchina solleva e soccorre la nostra fatica-, e la consuetudine della velocità, generano costumi e bisogni nuovi. Dalle città, dai sobborghi, dalle campagne, classi sociali sempre più eteroclite e numerose si affollano avidamente a tutte queste fonti del piacere e del diletto, della distrazione e del divertimento. L'aridità del lavoro meccanico e meccanizzato gliene fa sentire sempre più acuto il bisogno, al tempo stesso che gliene crea e rende acccessibili i mezzi. Guai a noi, guai ai superiori piaceri e diletti spirituali, se non sapranno rispondere a questa aspettativa, a questa bambinesca, e forse grossolana, ma ingenua sete ! Può darsi che per appagarla, debbano calare ai livello e irrozzirsi, a loro volta, anche questi diletti spirituali; grave male, di cui non sarebbe difficile rintracciare oggi i sintomi. E' un bagno di linfa cruda, ma però viva. E sarebbe male più grave e irrimediabile, se l'arte si anemizzasee e devitalizzasse in sottigliezze sempre più capillari, divenendo un vano giocattolo per i ricchi. Meglio primitivi, che de' cadenti. Una certa' volgarità plebea, e persino un certo meschino e pretensioso convenzionalismo borghese, sono afflizioni meno definitive e più migliorabili che non 1?inanità del' vuoto. Come, per esemplo. Interessare a quadri o a libri le masse di milioni di gente, eteroclita per lingua, paese e origine, che da ogni terra e ogni ceto affluisce a una grande esposizione internazionale 1 E' un problema importante, che dobbiamo affrontare sopratutto noi, nella previsione del non lontano 1941. Ho visto alcuni spiriti delicati inalberarsi davanti a certi esperimenti e tentativi di soluzione. Per esempio, condannavano la' mostra dei quadri dell'olandese Vincenzo Van Gogh e il padiglione del libro all'esposizione del 1937 come intollerabili imposizioni didattiche. Nell'uno e nell'altro caso, il metodo, visivo, oggettivo e froebeliano, conclude a una vera e propria lezione di cose, di un'evidenza forse elementare, ma efficace. Le sale dell'Esposizione Van Gogh, sono in parte semplice presentazione di alcune sue stupende opere, danneggiate però dal pregiudizio di un assurdo scialbore, che si vuole giustificare con alcune parole del?artista al fratello : « la cornice bianca sta benissimo, perchè, non offrendo alcun rilievo^ forma tutt'uno con la tela ». Nella stessa corrispondenza io ho rintracciato però una significativa lode delle cornici dorate e delle pareti di tono profondo: « Se il mio quadro non risulta a questo modo separato dal resto, è, semplicemente, addirittura da non guardare ». Ditatti, soltanto la cornice dorata isola completamente il dipinto. E non vuol dire, che taluni pittori preferiscano l'altra, per ragioni sopratutto di economia. I buoni artisti sono raramente i migliori giudici per la tnmAtm messa in valore delle proprie opere. In altre sale invece, ad ogni quadro, o disegno, fa corona, sulla parete, la sua documentazione umana e biografica. Anzitutto, . basta quasi a formare una biografia il rosario degli autoritratti, una intera vita di colloqui con se stesso, dove Vincenzo nota tappa per tappa, tremendamente lucido, i progressi della follìa, in agguato alle sue spalle. Accanto a ognuno, sono riportati in caratteri cubitali i passi delle memorie o delle lettere, i dati e le date più significativi per illuminarli. Poi, quell'altro ritratto, fattogli dal fraterno amico Paul Gauguin, a proposito del quale Vincenzo uscì nelle parole strazianti: « Sì, sono proprio io, ir.a io che sto diventando pazzo ». Lo seguiamo nei suoi viaggi, miserie, letizie e scoramenti, e nello tempestose vicende dell'Amicizia col Gauguin, nutrita di ricerche, povertà e lotte, sofferti e combattuti insieme, e poi naufragata nella tragedia eroicomica dell'orecchio, che Vincenzo, oramai periclitante sull'orlo del¬ la follia, si mozzò al mattino, per punirsi evangelicamente della notte trascorsa in una casa troppo allegra, alla cui porta egli consegnò il pacchetto sanguinolente. Le sue copie da antichi e moderni capolavori, corredate dalle fotografie degli originali, con il rilievo delle loro caratteristiche interpretazioni e deformazioni, accusano ed illuminano acutamente il suo stile e il suo temperamento pittorico. Per modo analogo, l'obbiettività della fotografia permette altri raffronti, fra i lineamenti analitici, prosaici e quotidiani di certe persone e di certi paesi, rappresentati invece con la definitiva e commossa sintesi della sua pittura. Ecco, per esempio, la fotografia del Municipio di Auvers, una casa qualsiasi in una qualunque piazzetta di villaggio, fra i suoi bravi due alberi e due paracarri ; ed ecco lo stesso taglio di paese, attraverso la concitata plastica dell'infelice e grande Vincenzo; purificato e glorificato del crogiolo della commozione umana e dell'aspirazione alla divina bellezza. Più singolari appaiono questi procedimenti didattico-visivi, applicati a un abbozzo di futuro museo letterario. L'opera dei maggiori scrittori vi è illustrata in bacheche, ciascuna ordinata dal migliore critico e biografo di ciascun autore. Non è lo stringicuore dei piccoli musei specializzati, dove ammuffisce la gatta impagliata del Petrarca, come ad Arquà nei colli Euganei; dove s'impolverano la catinella, gli occhiali e il calamaio del Manzoni, come nell'abbandono di piazza Belgioioso a Milano. Qui non odora la miserabile carne morta, ma respira la mirabile anima di questi geni, in laboriosa ascesa dalla vita all'immortalità. La fotografia docilmente, rende evidenti a colpo d'occhio i minimi particolari. Ecco, così ingrandito e reso leggibile, il primo quadro della Commedia Vmarta, che Onorato Balzac butta di getto su un grosso foglio di scrittura febbrile, nella vertigine dell'ispirazione ; l'inghirlandano i frontispizi delle prime edizioni delle opere che egli vi elencava; dal progetto alla realizzazione, at¬ traverso il travaglio delle tormentatissime bozze di stampa. Accanto al Giglio nella Valle, si aggruppano in fotomontaggio, ritratti, lettere e ricordi della signora di Bernys, gentile e caduco fiore, transumanato in quel giglio senza tramonti. La signora Zulma Carraud e il colonnello suo marito, presiedono ai racconti militari e provinciali, di cui fornirono elementi. L'imperioso, rapace profilo della contessa Hanska e le raffigurazioni della sua fastosa villa in Polonia, dominano sopra le Lettere alla straniera, e altre opere a lei dedicate. Similmente accade per Victor Hugo, Zola, Daudet, Anatole France. Le dame del « Tempo Perduto » e le a Fanciulle in fiore » dell'anno 1900, spiegano ombrellini, gale e sussiego a occhieggiare le maestose cocotte» e sussurrare ai baffuti cavalieri dell'epoca, intorno alle pagine di Marcel Proust, dove quelle larve si animano di una intensità allucinante, che fu certo contesa alle loro povere vite reali. Margherita G Sarfatti

Luoghi citati: Milano, Polonia