Vado un momento in Cina... di Italo Zingarelli

Vado un momento in Cina... Vado un momento in Cina... ...ossia da Budapest a HongKong in 48 ore - Un'occhiatina al mondo da 3000 metri di altezza - Gli alberghi che si incontrano per la strada e i loro inquilini - Uolando non si ingrassa nemmeno con molti pasti - La politica degli indiani non deue auer suiluppi oltre tre o quattro parole - Un cambiamento di rotta consigliato dalla uoce del cannone HONGKONG, luglio. Con licenza dì Marco Poto, ho raggiunto la Cina in aeroplano, ma per non darmi l'aria d'aver compiuto impresa paragonabile con quella del nostro grande esploratore, mi affretto a riconoscere che strada facendo ho visto assai meno di lui. Un po' la miopia, un po' quel filare ad una media di 270 all'ora, stando gitasi sempre fra i due e i quattromila metri d'altezza, mi hanno impeditn di scendere nei dettagli. Percorrere dodicimila chilometri in 48 ore effettive di volo (forse meno) significa, del resto, dover rinunziare agli studii. Pensate: lasciato il Danubio a Budapest, ho volato sulla Drava e sul Vardar, sul Canale di Suez e sul Tiare, l'Eufrate, l'Indù, e il Gange, 'l'Irrawaddy e il Fiume rosso. Ora aspetto un piroscafo stando a oriente del Fiume delle perle. Ho attraversato Ungheria, Jugoslavia, Grecia, Egitto, Palestina, Irah, Iran, l'Arabia tutta, l'India, il Siam e l'Indocina, e ho preso il caffè e ho fatto colaz.one o pranzo in quattordici posti diversi. Sebbene l'aereo transcontinentale da me utilizzato sia una nave che sbarca i suoi passeggeri tutte le sere per riprenderli al mattino, non sono però riuscito a dormire che nella poltroncina dell'apparecchio, posto N. 11. prima fila a sinistra. La ragione è la seguente: avendomi il mio mestiere abituato a non andare a letto mai prima dell'una, mi è stato letteralmente impossibile prendere sonno aspettando la sveglia Senno, mosche e doganieri grGtsadmsstBudapest-Belgrado in un'ora e venti. Nel pomeriggio l'aerodromo della capitale jugoslava è una stazione di smistamento interessantissima. Chi va e chi viene, chi sì leva e chi atterra. L'altoparlante non sta mai zitto, e a brevi intervalli chiama, in due o tre lingue: « Passeggeri per Zagabria, Venezia, Torino! Passeggeri per Sofia ed Istanbul! Passeggeri per Bucarest! Passeggeri per Budapest, Vienna, Berlino! Passeggeri per Atene e l'Estremo Oriente! ». Uno dopo l'altro gli apparecchi si portano sulla pista, rombano un poco con maggior fragore, poi si levano per andarsi Ciascuno a scegliere nell'aria il suo invisibile binario. Quello lo diresti un espresso, quello un rapido, questo un modesto treno viaggiatori. Ciao Lola! Ciao Etna! Due italiani: bisogna salutarli. Vola e vola, ecco l'Olimpo, la Tessaglia: chissà cosa direbbero i centauri se potessero alzare il collo verso di noi. L'atterraggio ad Atene rassomiglia a una discesa in un cratere in eruzione. Durante il resto del viaggio mi sono poi convinto che l'univo posto in cui, dì estate almeno, si sta veramente bene è l'ueroplano, il quale si va a cercare, quando gli piaccia, un freschetto da ingelosire Dolomiti e Stelvio. Aggiungi a questo il divieto di fumare a bordo e vedi il vantaggio che ne ricava la salute. La sosta ad Alene rimane dunque per me legata al ricordo del caldo che non mi ha consentito refrigerio nemmeno pranzando in riva al mare e della diligenza dei doganieri che bene esaminando le valigie mi hanno permesso di salvare a- tempo alcuni capi di biancheria a contatto con una bottiglia di dentifricio, il cui tappo non aveva resistito alle oscillazioni dell'apparecchio. Perdere per la bellezza dei denti (così dice la reclame del dentifricio) la paca biancheria che vi autorizzano a portare in un viaggio che comunque dina, sei giorni e non dà modo d'entrare in un negozio sarebbe stata disgrazia immensa, ragion per cui ho deciso di non dire mai, più male dei doganieri. Alla partenza da Atene, alle 4 del mattino, sono spuntale le prime tenute tropicali: elmi e pantaloni corti, calzettoni e magliettine, o camice di tela. Essendo i passeggeri tutti abbrutiti dalla mancanza di sonno, le supreme eleganze sono rimaste assolutamente inosservate e siamo saliti taciturni nell'omnibus che ci riconduceva all'aerodromo. Tenuto fermo, come all'ancoraggio, da corde legate ad anelli fissi al suolo, il nostro apparecchio, coi suoi motori incappucciati, pareva gustasse le delizie dell'ultimo sonno mattutino (durante la notte, un olandese e un italiano, uno dirimpetto all'altro, s'erano riposati così di un lungo volo). Aperta la porta della cabina, prima di noi è entrato un nugolo di mosche presto pentitesi della proditoria invasione: mirabili conquiste realizzate dal genio umano nel campo della chimica e della meccanica (liquido micidiale schizzato da potenti spruzzatori e vigorose palette di gomma con manico di fil di ferro) hanno sbaragliato in brevi istanti le moleste bestie, tanto che all'arrivo ad Alessandria, riapertosi l'uscio del velivolo, un'altra ondata di mosche è entrata rapda per tentar vendetta; ma ha subito uguale sorte. Da Alessandria in poi, ad ogni partenza, il cameriere di bordo — personaggio che per i passeggeri ha le premure di un'affettuosa governante e chiede di continuo se avete fame o sete, o voglia di scrivere una lettera, o di leggere gli ultimi giornali — spruzza prima le mosche e poi, con un liquido profumato, anche noialtri. Un po' di vantaggio al sole vtdfsc1pcdNpglsfscppsgglgVediamo il Canale di Suez da SSOO metri d'altezza, entriamo nel cielo dell'Arabia, facciamo colasione a Lijdda, in Palestina, dove gl'inglesi stanno per finire un ae-\nrodromo che serve per Tel-Aviv.\fiGerusalemme e Giaffa. Siamo in\nterra di sommossa: andiriuteni di | psoldati ed ufficiali, brevi soste di\fautoblinde davanti alle finestre] idel ristorante. Risaliamo a SSOOÌtmetri e per tre ore voliamo sullo ì gsquallido deserto di Siria, rossa-]astro e arido, a volte piatto, a voi- ete irto di colline sabbiose che il\ vi e i i o n i a i e a a l n , , ; a — i e i a o e vento sfalda, e d'una scoraggiante monotonia che né la tubatura dell'oleodotto, nè i neri punticini formali dalle rare carovane rie- Inscscono a rompere. Si balla un po-[ mco; quasi direi: per fortuna. Alle [a16 avvistiamo l'Eufrate, moltoispiù azzurro del Danubio. L'aria elscosì calda, che già al disotto di]rduemila metri è irrespirabile. Nelle vicinanze dell'Eufrate rispunta il verde e si rivedono raggruppamenti di case: nei secoli, l'uomo s'è sempre fermato sulle sponde dei fiumi, scegliendo a preferenza i punti nei quali il passaggio fosse più facile. Ricominciano gli orti, si rivedono bestie pascolanti, pri?na poche isolate, e poi a mandrie. Si rivedono strade, sebbene primitive, e canali d'irrigazione; le linee diritte che segnano il confine fra un podere e l'altro indicano che qui vivono degli nomini, perchè c'è la proprietà. La terra non è più di nessuno, come nel deserto, e c'è chi la lavora. A Bagdad, con una temperatura di 42 gradì, ho dovuto pagare patticsffelcnon un turco, come assolutamente sosteneva, e forse sostiene ancora, un galantuomo fiero d'aver visto questi paesi nell'anteguerra — «li Ita consolato con qualche gentile parola in italiano e i passeggeri inglesi hanno sentenziato che data la somma avevo il diritto di prendere un'altra tazza di tè. A Bagdad abbiamo messo avanti gli orologi di un'ora per la seconda volta e le nostre 17 locali sono venute a corrispondere alle ir, d'Italia: alla fine del viaggio la differenza sarà di seHe ore. Per coloro che mangiano volentieri, questo scherzo con l'orologio serve a bruciare le tappe fra i pasti, ma alle volte io mi domando se arriviamo per aver camminato, ojper avere spostato le lancette. La verità è un'altra: il sole, poverino, ì\on ce la fa a trovarsi alla stessa ora in mille e mille punti diversi del i/lobo e l'umanità, condiscendente, ha ritenuto utile dargli dei punti di vantaggio, come in certe gare. Certo la correzione dell'orologio sì può anche ometterla: però ad Hongkong, ad esempio, il viaggiatore corre rischio di vede cle2/5 v^Wtmn^lso rolmtórdi fermata) sei dollari e mezzo:]il funzionario di. polizia iraniano\— che sarebbe poi un persiuno e e far buio fra le due e le tre, cioè a dire nell'ora in cui Falstajf si recava agli umorosi appuntamenti. L'allegra notte di Basra Fra Bagdad e Basra altra sconfortante pianura, e viaggiare in aeroplano senza aver punti di riferimento è come uno star fermi. Siamo arrivati a Basra, sul Golfo Persico, ch'era calato il sole e il diligente pilota aveva acceso, per non incorrere in contravvenzioni di vigili, i fanali sulle ali ed in codu. Nel crepuscolo le eliche, girando vorticose, descrivevano come un alone, o un arcobaleno. Sull'aerodromo stava fermo il Lisa, l'apparecchio della squadra che ha studiato l'organizzazione della linea Italia-Tokio, e a sentire parlare in romanesco in questo angolo di mondo, Frascati e Gcnzu110 non mi sono più sembrati lontanissimi: ci si va «passando per il Cairo ». A Basra si dorme all'albergo dell'aerodromo, che ha un ristorante illuminato alla veneziana, in un giardino tutto grilli, zanzare e rane. Ho visto pure un gallo. a l e ma era magro, e la notte, appena l'orchestrina ha terminato di suo nare, ho gustato un concerto dì cani lamentanti. Nel giardino, durante la cena, il cameriere ci ha spruzzato le gambe col Flit a più riprese: o l'odore o il bruciore. Il mio compagno di tavola, per rendermi la serata più allegra, mi diceva: — Avete fatto le iniezioni con- tro il tifo, il colera ed il vainolo t — Nossignore, le farò. — Meno male. Non mangiate intanto frutta o legumi non cotti. Attento all'insalata. Quest'acqua è distillata, spero bene. Il pesce quasi quasi non lo toccherei. Guardatevi dal mettervi sudato sotto il ventilatore attaccato al soffitto della camera da letto: il meno che potete buscarvi è una dissenteria. Auguratogli il. buon riposo, sono andato in camera da letto a mettermi sotto il ventilatore. La camera è pure provvista di rige- neratore dell'aria ed ha reti alle finestre. Però le pantofole scottano come se le tirassi a,:l forno, il pigia ma rassomiglia a i.n termoforo, il materasso è una lastra incandescente. Fumo una sigaretta; vuoto la bottiglia di acqua ghiacciata; prendo nn bagno: ascolto i cani ululanti; mi rivesto e scendo ad ammirar le stelle. Un viaggiatore che va a Calcutta Idovrebbe essere abituato, lui) se n'è andato a dormire sul tetto, lasciando nella stanza un pezzo di carta con l'avvertenza di chia- mario alle 3: ma i facchini degli alberghi sul Golfo Persico l'inglese non lo sanno ancora leggere e se i motori del PH-A non avesse- lpcmvsnpasndacagpro fatto un po' di fracasso, il mio]npicale è arrivato sul campo con aria tristissima, avendo fracassato gli occhiali da miope con un tovagliolo afferrato per asciugare il sudore. « Meno male che ho ancora gli occhiali da lettura », ha sospirato. Li ha inforcati, e per farne la prova s'è accinto a decifrare — co?»ie alla leva o agli esami per la patente di guida — le tabelle e le insegne del campo, che sono in persiano. Una proposta derisa e jcomprare compagno sarebbe rimasto sui',sluoghi. L'igienista che mi aveva] delargito i consigli per la dieta tro-\ lsbrppnscs| »fAllo, partenza da Budapest, non avevo mai sentito nominare due r1*»*** ,,elle anali "-vremmo do]™'" fermarci: una era Lydda, in \™««»«« — e ve ne ho già parlato —, l'altra Djask nell'Iran, e ve ne parlo adesso, affinchè anche voi possiate, eventualmente, colmare una lacuna nelle vostre cognizioni geografiche. Djask, la tappa che si fa dopo Basra. consiste in una spiaggia: essendo una spiaggia, non c'è che sabbia. Da lontano, atterrando, s'intravvede un villaggio di case costruite col fango, suppongo, e con le canne. Lo spirito di osservazione viene però in voi, seduta stante, soffocato dall'afa e dal sole che batte spietato. Siccome a Djask bisogna fermarsi per rifornirsi di. benzina, le compagnie di navigazione acrea durante la sosta trasportano i pas seggcri in una casetta nella quale. si può prendere un rinfresco e , f< h"'s/e '«"e\ stracariche di francobolli destina- ti a formare la gioia di amici f'-\latelwi, che chi ne imposta «noLrienes^i/oas.,^ (q sicurezza dell'arrivo. Djask, po-' sticino da raccomandare ai misantropi, abbrevia nei candidati alla \! ,follia il processo d'incubazione del, » — .. _ .... „.• i male. Quando ne ripartite rmgra-t nate 1 Signore e non vi sembra ero che a mondo abbiano ades-l sera angoletti come questo. Djask\aveva un tetnpouna certa impor-ìtanza perchè vi sorge una sta-' zone telegrafica inglese- Marconi l'ha rovinata. I molluschi che il\, [testa al di sopra delle nuvole, che\quasi non mi sono accorto del tra 'a . o l r i n , e a r o n e . mare riversa sulla spiaggia — unici esseri viventi da me accertati sul luogo — non se ne preoccupano. Ho così intensamente pensato a Djask mentre viaggiavo con la .7_'":°_:^te;*?r°^ lo ricordo di aver fatto ridae il capitano dell'apparecchio domandandogli se non sia possibile mettere una ringhiera sui bordi delle ali, in modo da consentire ai passeggeri di uscire, tratto tratto, dalla cabina, per sgranchire le gambe. Le più grandi invenzioni del genio uma.no appena lanciate sono state derise, quindi non è da meravigliarsi che la mia abbia subito la stessa sorte. Col capitano la discussione sull'argomento non ha potuto essere approfondita, limitandosi a bordo lo scambio di jiarole fra equipaggio e passeggeri, per esigenze di servizio, allo strettamente necessario; del resto sarebbe strano permettere ai piloti di aeroplani quello che è a \proimto ai manovratori dei tram ì , i a r La seconda notte l'abbiamo (ra- scorsa a Johdpur, che sarebbe /«capitale del Marnar, o paese dellamorte. Il nome non è allegro. Inaltri tempi gli abitanti erano deiferoci guerrieri, ma adesso hannoun principe dalle larghe vedute,che amando l'automobilismo e l'a- inazione ha voluto ottime strade 6 un aerodromo rome ce ne son elettrici. A ciò si aggiunga che dei due piloti quello che non è al timone vuole dormire, mangiare o leggere un giornale per poter dormire, mentre il marconista è sempre in faccende e il secondo ufficiale non fa che smistare, come in lo e le bestie i fWgane postale, la corrìspon denza ricevuta all'ultima stazione - e „n chp dovrà co„segnare alt ((| suc(.essiva, e i. a e i. o l il a a a -\pochi in India e fuori; vicino al- l'aerodromo il saqgio principe hu\l'pure fatto costruire un alberga dcon ogni comodità possibile c im-\nJislmaginabile, nel quale non manca veramente nulla. Nel camino della stanza da letto (che per fortuna non era acceso) ho notato la trappola per i topi. Nel bagno andava a spasso su, e giù per le pareti una snella lucertola contro la quale non ho osato agire per due motivi: ulapvladell'uomo, in quanto dà la caccia alle mosche, e poi perchè ho letto che gl'Indù non uccidono mai un animale, sostenendo la loro religione che l'anima di un defunto può ritornare sulla terra incar- nandosi nell'animale il più vile. Il servo — cameriere non se ne ve dono — del quale ho sollecitato l'intervento, essendosi la lucertola soffermata sull'asciugamano da bagno, s'è messo infatti a discorrere con la bestiola, e con belle parole l'ha indotta a cambiare posto. Della loro privilegiata situazione gli animali debbono essere consci: per le vie di Johdpur le bianche mucche hanno la precedenza su veicoli e pedoni e nessuno le irrita o le scaccia. Nel bazar, le cui strade hanno la larghezza di vicolettì, le mucche si distendono di traverso e le automobili debbono arrestarsi tutto U tempo necessario per farle riflettere sull'opportunità di alzarsi o meno. L'in tangibilità delle bestie dell'India ha paralizzato ì miei istinti violenti anche a Rangoon, dove — sempre nella stanza da bagno! — alle 4 del mattino ho visto spiccare sopra, una bianca conduttura d'acqua un magnifico scorpione, che se anche fosse stato di cioccolata avrebbe fatto paura al bimbo più goloso del mondo. Ma era uno scorpione tranquillo e in così evidente attitudine di attesa, che lasciando la stanza da bagno e l'albergo, m'è dispiaciuto il non ave| re indovinato cosa volesse. Sulle rive del Gange »ri??iff nerchèm'hanno detto che'. Mfn ìndia la lucer fola è un'amica-sVacstldlsdpsaullpnèsda a e accesi. Voliamo al buio. La notte . lM th.ato , fn .,„ mv„ria profetizza che un \ forte ballo non ci permetterà di ricuperare « sonno perso. Il ballo, \viceversa, non viene. Passa mezL,,om ed n sjie„iio nc„„ ft| ' - •! Siamo partiti da Johdpur prima, del levar del sole, con fari e faiiali'J„,,t,j\glia tempo dopo il freddo che tro! Diamo fra 4 e 5000 metri e presto ,li riaddormenta una laraa diitri-, h - ■' au i »..~io)ie di coperte. Mi sono infine t ddonnentatJ fclJ J calllei.-lere mi ha Vegliati col cuflfè eilsenao Vattermggio prossimo, \accostnto u ,wso al'-}inc'strino „0 ìvisto n Q ' ' Allahabad sorge alla confluenza del G col ó ' \ìonUin(lJdaWaeroporto e di Alla- habad io mi ricorderò soltanto per aver partecipato, alle 8,30 del mattino, ad una colazione composta di minestra, pesce fritto, uova al prosciutto, marmellata, frutta e [caffè. Non è però stato errore, e\g(^cch6 ,„ „,e,{S(, dj. Cfllcutta ' o .succesiva tappa — l'hanno disciol in un batter d'occhio le mosche. l e , e i e a o n i i è m A voler mangiare tutto, questo volo assume il carattere d'una cura per ingrassare, radicalmente diversa da quella consigliata alle anemiche stelle di Hollywood: si vede, comunque, che il cibo compensa l'organismo della perdita di sonno, giacchè nessuno di noi è cresciuto neppure di un chilo. Sùbito dopo Calcutta, vediamo il sacro e grave Gange sfociare col suo immenso delta nel golfo del Bengala e filiamo, sul mare, verso Rangoon, ultima nostra fertnata in India. Quattro ore e mezza di volo. Il cielo non è più azzurro, il tempo non più benigno: nuvole in alto e in basso, pioggia scrosciante. Da quattromila metri scendiamo a mille e proseguiamo come in una gigantesca galleria: sulle nostre teste le nuvole si succedono a dritta e a manca, ad altezza uguale, una dopo l'altra, e fanno l'effetto di quinte appese al soffitto di un palcoscenico superdimensionale. Rangoon ha un aerodromo pic]colo piccolo: il principe del luogo non è evidentemente un entusiasta delle cose moderne e dello sport, come il suo collega di Johdpur, e gl'inglesi non si euruno di migliorare l'aerodromo, perchè le loro [lince non lo toccano. L'atterraggio |é ini» proni di abilità, per decol- iare bisogna avere la previggenza «idi non fare il pieno della benzina, a]A parte simili inconvenienti terninici, Rangoon, con la sua pagoda i\dalla cupola d'oro, il verde dei o[prati, la rossa bordeggiatala della e,]strada che porta dal centro all'ae- j rodromo, è città assai ridente e e ■pittoresca. Ho anche assistito a n una partita di calcio con giocatori e l o n e e -\in costumi i più policromi che passano immaginare: qui diresti che. la gente la vestono non sarti ma pittori. Terra, uomini, cielo formano una meravigliosa tavolozza. Il volto di Hong Kong Addio India: passiamo nel Siam c a Bangkok chi prosegue per Hongkong cambia apparecchio. Lasciato il bel monoplano di lucidi) metallo, la cui méta è Butavia, trasbordo sopra un biplano di vecchia costruzione che fa la spola fra Bangkok e Hongkong e che, stracarico di posta, prende due sali passeggiai, avendo dovuto togliere le poltroncine per collocare resli riboccanti di pacchi e sacchi di lettere. E' come un trasbordare dall'elettrotreno sul trenino d'una linea secondaria. Però fra i due piloti (che formano \l'eqiiipaggia) e i passeggieri (che dai piloti aspettano la colazione, \nel cestino, dovendosi su, questa] Jinea mangiare alla buona) siistabilisce ima certa cordialità di',lappai i. .1 rIl mio-compagno di viaggio e I S.... - | cun indiano il quale non condivide] la mia ammirazione per il ,o,paese non e libera, l'India. Il suo volto si rischiara parlando dj la, mia ammirazione per il suo. e e i o a — — a e, o o alee parlando '. Mussolini e dell'Italia, si fa pcn-■ -soso allorchè mi dice che in India] Vé una percentuale fortissima di] analfabeti. Dopo di che avverte1 che -ìu. argomenti politici non ot-|sogna mai dire più di tre o quat-ìstra parale. Io mi metto a studiare,le agili movenze d'un passeggierodi frodo mostratosi dopo la par- lenza (una, lucertola che corre di- lui cava [msperata per la cabina), luì cava mdi lasca una pietra preziosa che, piccoìina. fa dèi suo meglio per sfavillare e la contempla come se avesse in mano il Gran Mogol. E' un modesto zircone. Bellissimo — esclamo quan- llo m'invita ad ammirarlo — èiper sua moglie? — Niente moglie, fa l'indiano, che deve essere molto evoluto; è per l'amorosa. A wife is not so sweet... Una moglie non è cosi dolce... Cosi ho conosciuto un altro aspetto dell'India. Ad Hunoi flit- rfnriiin fmvm*i Viniiinnn hn ,-n- oociiiri jiancese) l inaiano uà i o- iiifo comperare al ristorante dei-laerodromo una bottiglia di sp«-mante francese dry e una di liquore francese sweet e mi ha pregato di assisterlo nell'operazione, in qualità d'interprete fra lui e l'annamitu al banco. Dopo Hanoi, l'apparecchio fila dritto verso il Goljo del Tonchino: sotto di noi il Fiume rosso, sboccando nel mare, lo colorisce tutto di smagliante rubino e manda schiuma rossastra assai lontano dalla riva. Ma mo.mii limimi u'iwi fluii, iuu qui dobbiamo deviare dalla rotta e n i , normale, che questa è già zona dii/uerra: non vediamo la baia di Alonti con le sue cento isolette,volendo il pilota evitare le batte-rie antiaeree giapponesi ohe in un precedente viaqaio rhaiino circoli-•dato di pericolosi batuffoli, e al- ! lontanandoci dalla costa più c/ietroppo verso Hainan, al sud. es-a, i'Jmfìsu""n badiamo a non spostar-jci troppo verso Human, al sud. es-o sendo anche quest'isola occupata dai nipponici. Malgrado la deviazione, arriviamo da Hanoi a Hongkong in un'ora e mezza. Nella baia e nel porlo di Hongkong niente navi da guerra: giunche cinesi dalle vele nere o giallastre e piroscafi d'ogni Stato e ogni bandiera. Soltanto -"lolm h" stravisto un sommergi-e o, 0 a - r ta al bile e un posamine. G'inglesi non r7neTZntatnSron ftS ig ìlei rontatti con gli stiamen, che si considerano fra guerra e nare e in vitn rninninia continua pace e la vita coloniale continuo- a svolgersicome ieri e come seni- mr sehbenp i iiùinnoneii stono àiàadovZt diSkona e verJ^,^ mo padrone. Italo Zingarelli z l e o

Persone citate: Arabia, Marconi, Mogol, Mussolini, Senno