Intrepido e buono di Angelo Appiotti

Intrepido e buono Intrepido e buono Una sera di questo mese (giovedì 6 luglio o venerdì 7 ci pare), verso le diciannove, Asinari di Bernezzo ci annunciò per telefono la sua partenza per la Svizzera. « Parto martedì. La solita piccola operazione. Desidero salutarti ». Andai, come tanto spesso accadeva, a prenderlo a casa. Lo trovai su una terrazza della sua bella modesta casa di corso Massimo d'Azeglio, seduto su una poltrona, che si godeva lo stupendo panorama del Valentino e della collina. Quella terrazza, tutti I suoi intimi lo sanno, è stata la gioia della sua vita. Asinari di Bernezzo adorava il Valentino, adorava la collina, di lassù poteva abbracciare d'un solo sguardo la verde distesa del parco, il dolce profilarsi di Superga, della Maddalena, dei Cappuccini. Una gloriosa ferita Lo trovai quella sera, nella luce d'oro del tramonto — i tigli di corso Massimo d'Azeglio mandavano fino a noi il loro profumo intenso, così torinese — sereno e lieto come sempre. Non mi spiegò neppure più i motivi del viaggio. L'operazione svizzera, che si ripeteva ogni anno e di cui Lui non amava parlare, piccola trascurabile cosa su cui era inutile soffermarsi, mi era nota da sempre, da quando cioè la battaglia politica fascista mi aveva posto al fianco di Asinari di Bernezzo e mi aveva dato modo di entrare nella sua preziosa ed affettuosa famigliarità. L'operazione si svolgeva, credo di sapere, su una ferita di guerra tuttora aperta e consisteva nella sistemazione d'uno speciale apparecchio in platino che ogni anno doveva essere riveduto e ricollocato; ma tutto ciò io riuscii ad intuire, soltanto intuire, durante la nostra lunga frequenza, poiché, come già ho detto, Bernezzo rifuggiva dal parlare di sè e soprattutto soffermarsi su quanto poteva ricordare il suo valore e le sue eroiche vicende guerresche. Quella sera, l'ultima sera che io lo vidi, (un appuntamento per il lunedi successivo andò a monte per certi improvvisi impegni suoi) ce ne andammo in un deserto cinematografo del centro a rivedere un vecchio film e a chiacchera re di tutto un po', di politica e di arte, dell'ultimo libro e di questioni cittadine, come avveniva da anni. Era in lui la più chiara serenità, faceva progetti per il futuro, volle da me la promessa che mi sarei recato, al suo ritorno dalla Svizzera, a trascorrere qualche giorno alla Spinetta, la bella villa secentesca ch'Egli possedeva presso Cuneo. Non temeva l'opc razione imminente, già tante voi-[te l'aveva superala, la gita a Ber- na si sarebbe risolta in una as- ] senza di quindici giorni e in uni gran dispiacere di lasciare, anche per breve tempo, Torino. E invece dalla Svizzera non sarebbe tornato che morto. E' questa la realtà terribile che ci agghiaccia in questo momento, che ci dà tanto male al cuore, che ci impedisce di parlare di Lui come vorremmo. Gli fummo vicini, per sedici anni con devoto affetto, l'abbiamo se-|guito durante tutte le vicende, talvolta aspre, della sua vita po- litica con una stima che non ave va limiti, con una considerazione senza confini delle sue superbe qualità di mente e di cuore; ed ora siamo qui, infinitamente tristi, a scrivere di Lui, a ricordare qualcosa della sua esistenza esemplare. Che cosa di quella vita ricordare? Essa fu tutta una nobiltà, talvolta eroica, sempre pura, alta, disinteressata. Se ne venne nelle tre misere stanze del Fascio di Torino a dire che egli era un fedele di Mussolini, ch'egli credeva nel Duce, nel periodo più tormentato e difficile del Fascismo torinese. Luglio-agosto '24, la Quartarella, la fuga precipitosa dalle file del Partito dei pavidi e dei traditori. Ed Egli giunse una sera nella povera sede quasi sotterranea di via Bogino a proclamare con tutto l'azzurro che gli brillava sul petto, con l'autorità che gli veniva dal nome glorioso, la sua fede nel Fascismo. Incontrò me, ragazzo, che scribacchiavo ad un tavolo, e due o tre altri camerati, Orsi, De Nardo, Avenati, Cittadini, che discutevano in una altra stanza. Era commissario del Fascio di Torino Ferruccio Lantini, un uomo duro e deciso che aveva saputo affrontare con energia la tremenda situazione politica della città e si proponeva di risolverla con le buone o con le cattive, prima dell'autunno. E la risolvette infatti facendo passeggiare le squadre notte e giorno da barriera a barriera, poi chiamando Demetrio Asinari di Bernezzo alla Segreteria politica del Fascio. L'eroico « Colonnello » Accettare in quel momento l'incarico, mettersi alla testa di tre o quattrocento ragazzi, non più, (tanti erano rimasti nel nostro Fascio), scendere con essi in piazza, salire sui tavoli nelle strade e concionare contro le opposizioni che dilagavano, significava avere un coraggio da leone e credere nell'idea come in una fede. Bernezzo iniziò con calma e con inflessibilità il suo compito. Poche volte la vita politica torinese vide un uomo così cortese e così intransigente, così i fermo sui suoi principi e tuttavia così buono, cosi inesorabile nel col- pire quando la situazione impone-1va misure energiche, così pronto a perdonate quando l'errore nasceva ' da intemperanza giovanile o da| troppo fervida passione. Il Qua- drumviro De Vecchi, il capo del Fascismo torinese, era lontano>combatteva in Somalia la sua bat-Itaglia non meno dura e non meno ìdecisiva; l'eredità di lui, dell'ini- iziatore, era caduta in buone mani. |Quartarella, giunse al discorso deljCon Di Bernezzo il Fascio di To- rino superò, manganellando, La |Tre Gennaio, riprese ad una ad una tutte le sue posizioni. Questa marcia, piena di ostacoli, di imboscate, di inganni, fu lui a guidarla. Fu il Colonnello (cosi lo chiamavano gli squadristi) che riportò il Fascismo nelle case della borghesia che erano state nei momenti di punta della gazzarra matteottiana le più lontane e le più avverse; fu Bernezzo che se ne andò negli ambienti cosidetti perbene della città a dire alto e forte la sua parola fascista, che sfidò senza batter ciglio impopolarità e derisioni e tirò dritto, sereno calmo sorridente, sulla via segnata. Un significativo episodio Un giorno volle che lo accompagnassi, subito dopo la sua nomina alla Segreteria politica, in una visita di saluto ad una altissima autorità cittadina. Egli fu il primo segretario politico del Fascio di Torino che si recò, nei primi giorni della sua attività, a salutare le alte cariche della magistratura dell'esercito del culto e a pre- tendere la restituzione della visita, Non fu una cosa facile, eran tem- pi quelli non molto teneri per si- mili manifestazioni. Fu quel giorno immediatamente ricevuto dal vec- chio signore, una ottima persona dura a convincersi che una rivo- luzione s'era compiuta in un otto-bre lontano e che il Fascismo era diventato governo. Ricordo perfettamente l'episodio, ancora all'orecchio mi risuonano le parole del colloquio. « Sono molto lieta di vederla, marchese di Bernezzo... > « Sono lieto anch'io, Eccellenza. Ma vi faccio osservare che non è il marchese Di Bernezzo che cggi viene a farvi visita, ma il Segretario Politico del Fascio di Torino... » * Lasciamo stare, marchese, queste eoae. Ci conosciamo da tanto tempo, ero tanto amico del generale suo padre. Vogliamo da vecchi amici fare quattro chiacchiere? » Vidi Asinari dì Bernezzo irrigidirsi come sotto una staffilata. Si i aderse ancor più eretta, duramente l'ospite esterrefatto, 1 «In questo caso, .Eccellenza, sulla persona si rivolse al-!"i mio dovere è di ritirarmi». E si j ' ritirò. i| L'episodio, risaputo, fece imito ; chiasso in tutti gli ambienti tori- j »esi e conquistò sempre più al Co-'>nnello le simpatie delle Camicie INeie. Poi ì tempi mutarono, Ber- ì nezzo credette d'aver finito il suo i compito e lasciò il posto di ceni-1 | battimento. Gli piovvero allora ad j Carità ed elimino Per sempre la piaga dell'accattonaggio che in ouee-li anni ininprversav» in Tori-quegu anni imperversava in luii-no, conducendo non contro i po- veri, ma a favore dei poveri, unanobilissima battaglia che pochi ri-cordano; ebbe cinque o sei presidenze di amministrazioni pubbliche e private da cui>non volle maiun centesimo, di cui rifiutò siste- magramente °-li emolumenti r-he mancamente gli emolumenti clic di diritto gli spettavano. Fu dei soldi altrui, specie se dello Stato, implacabile, d'osso un mucchio di cariche, fu |presidente della Congregazicne di un difensore accanito, ieri è morto in una camera d'un cspedale lontano, parliamo del se natore Di Bernezzo che non è più E' terribile per noi che gli abbia mo voluto bene come a un padre, ma è doloroso anche per questa ! sua città ch'Egli ha in vita amato j e servito devotamente. Ancora una -,volta la morte ci sembra ingiusta talvolta persino ringhioso^ Non sta a me il dire ciò che Asinari di Ber-nezzo ha fatto per l'Istituto di San Paolo, la formidabile ascesa coni- piuta sotto la sua presidenza da questo possente organismo banca- rio. Certo è che la sua ammini-strazione è stata energica, intelli-gente, moderna, senza dubbi, sen- senza conc'essio-za compromessi ni. Tutti coloro che lo hanno avvi-cmato in quella sua qualità sanno queste cose. Parliamo di Lui al passato. Di-ciamo -.< ha fatto, ha detto, ha vo-luto*, parliamo di un uomo chee crudele. Ancora una volta ci domandir.mo: « Ma perchè lui, proprio, lui, cosi nobile e così buono?». Angelo Appiotti